lunedì 1 giugno 2015

pc 1 giugno - A proposito di guerra: tra USA e CINA i venti spirano sempre più forti...

Oltre alle guerre già in corso in varie parti del mondo attraverso le quali i vari paesi imperialisti cercano di ritagliarsi fette sempre più grandi di mercati dove vendere le proprie merci e procurarsi materie prime e forza lavoro a basso costo, la crisi da sovrapproduzione, che non demorde, ufficialmente dal 2008, spinge ad ulteriori pressioni tutti i paesi imperialisti alla ricerca di profitti, e ciò porta inevitabilmente all'accentuazione della guerra di classe tra proletariato e borghesia e guerre sempre più in grande stile... guerre di rapina contro i paesi cosiddetti poveri, e guerre tra i vari paesi imperialisti, appunto, perché non basta agli imperialisti dividere fino a smembrarli per metterli sotto controllo diretto interi paesi (Afghanistan, Iraq, Jugoslavia, Siria, Libia... solo per citarne alcuni) nella crisi più profonda dal 1929, è necessario andare ancora più avanti...

Lo scontro che viene riportato dalle pagine di Repubblica di ieri (1° titolo: “Pacifico, alta tensione tra Usa e Cina - Il Pentagono: “Pechino deve fermarsi”) è tra quelle che adesso vengono definite le prime due superpotenze - ufficialmente gli Usa hanno un prodotto interno lordo di 16mila miliardi – quanto tutta l'Europa messa insieme - e la Cina seconda con 8mila miliardi (2° titolo: “La sfida tra due superpotenze nel mare dove transita la nuova ricchezza del mondo”)

Le dichiarazioni (e i fatti) dei responsabili di questi due paesi innanzi tutto, sono pesantissimi e dicono più di quanto normalmente passa, anzi non passa, dai mezzi di informazione di massa.

Ashton Carter, segretario americano alla Difesa: “fermare immediatamente e permanentemente costruzioni e rivendicazioni contrarie sia al diritto che alle norme internazionali”. E riferendosi alla Cina ha sottolineato che “c'è un Paese che si è spinto oltre e più rapidamente degli altri, costruendo in 18 mesi più ettari di tutti i pretendenti messi assieme”.
Hua Chunying, portavoce ministero degli Esteri cinese: “nessuno ha diritto di dire alla Cina cosa fare”, e gli USA: “ricorrono a silenzi selettivi e a due pesi due misure per gettare benzina sul fuoco nel Pacifico nel tentativo di contenere la Cina”;
Zhao Xiaozhuo, colonnello del governo cinese dice che non ha nessuna intenzione di “obbedire agli ordini degli USA, decisi a gettare nel caos l'Asia per difendere i propri interessi”; e il Quotidiano del Popolo, il principale quotidiano cinese mette la ciliegina sulla torta: “Se la linea Usa è che la Cina deve fermarsi e obbedire ... una guerra nel Mar cinese meridionale è inevitabile”... il resto lo mettiamo in grassetto in quello che riportiamo degli articoli.



“A settant'anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, il Pacifico minaccia di ritornare il palcoscenico dello scontro globale tra le super-potenze economiche del secolo” così comincia il giornalista il suo articolo che poi è tutto un susseguirsi di analisi più che preoccupate: “A riaccendere la miccia del conflitto per il controllo di una delle aree commerciali ed energetiche più ricche e strategiche del pianeta, sono gli arcipelaghi contesi del Mar cinese meridionale, che si aggiungono a quelli del Mar cinese orientale. Pechino considera propri gli atolli delle Spratly, Nansha in mandarino, rivendicati anche da Vietnam, Filippine, Taiwan e Brunei. La stessa rivendicazione viene avanzata dai cinesi anche per l'arcipelago Diaoyu-Senkaku, conteso a Giappone e Taiwan.Washington, alleata dei Paesi asiatici che si sentono minacciati dall'espansionismo cinese, sostiene che al contrario le isole della discordia si trovano in acque internazionali e che dunque nessuno ne può disporre come fossero casa propria. A infiammare lo scontro, riaperto da mesi, l'improvviso irrigidimento degli Usa, decisi a elevare una disputa regionale al livello di conflitto internazionale. La scorsa settimana il Pentagono ha inviato a sorvolare le Spratly un jet di sorveglianza P-8A della propria marina, respinto dall'aviazione cinese. Ieri, a Singapore, il segretario americano alla difesa, Ashton Carter, ha puntato il dito contro Pechino, intimando di “fermare immediatamente e permanentemente costruzioni e rivendicazioni contrarie sia al diritto che alle norme internazionali”.

“Nell'ultimo anno, incurante delle proteste, la Cina ha accelerato la realizzazione di piste d'atterraggio, porti, caserme, edifici, strade e fari sulle isole contese. Militari e civili stanno trasformando in isole artificiali gli scogli a pelo d'acqua, bonificando i fondali sabbiosi meno profondi e sfruttando la barriera corallina per costruire infrastrutture. Immagini della sorveglianza Usa hanno rivelato ieri che Pechino ha posizionato armi pesanti su almeno una delle isole artificiali ultimate ai primi di maggio, smentendo l'assicurazione di una bonifica “ad esclusivo uso civile”. Carter ha ammesso che avamposti in arcipelaghi contesi sono stati realizzati anche da Vietnam, Filippine, Malesia e Taiwan, ma riferendosi alla Cina ha sottolineato che “c'è un Paese che si è spinto oltre e più rapidamente degli altri, costruendo in 18 mesi più ettari di tutti i pretendenti messi assieme”.
E la risposta del governo cinese “è stata di una durezza che ha pochi precedenti. Il portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, ha dichiarato che “nessuno ha il diritto di dire alla Cina cosa fare” e che gli Usa “ricorrono a silenzi selettivi e a due pesi due misure per gettare benzina sul fuoco nel Pacifico nel tentativo di contenere la Cina”. Il colonnello Zhao Xiaozhuo, a Singapore, ha definito “prive di fondamento” le accuse di Carter, assicurando che Pechino non ha alcuna intenzione di “obbedire agli ordini degli Usa, decisi a gettare nel caos l'Asia per difendere i propri interessi”. La tivù di Stato ha definito l'avanzata nel Mar cinese meridionale “la realizzazione della più importante linea avanzata della nazione”, osservando che “dal punto di vista della sovranità, costruire sugli atolli equivale a realizzare infrastrutture in una qualsiasi regione cinese”. Il governo ha giustificato la proiezione marittima sostenendo che “la Cina si trova ad affrontare una serie di gravi e complesse minacce alla propria sicurezza” e che gli avamposti serviranno anche ”per farsi carico delle nuove responsabilità internazionali”....

“...Washington e Pechino stanno ricominciando a giocare al vecchio gioco da adolescenti di chi 'sterza per primo per evitare lo scontro frontale'” Continua preoccupato l'altro giornalista, “Con la differenza che qui non si tratta di automobili tra le mani di ragazzi incoscienti, ma di portaerei nucleari, sottomarini, cannoni a lunga portata, missili. E vie di navigazione dalle quali transitano la nuova ricchezza del mondo e il futuro della prosperità asiatica.”
In apparenza, mai tante nazioni e ora tante potenze si azzuffarono per così poco. Lo sfarinamento di scogli, isolotti, atolli, terre che affiorano e sprofondano con l'altalena delle maree nel Mar Meridionale della Cina in acque neppure del tutto conosciute e segnate nelle carte, formano tutte assieme neppure due chilometri quadrati di superficie, sparpagliate in 150 mila chilometri quadrati di acque, la metà dell'Italia. Le Spratly, battezzate così dall'ammiraglio inglese Richard Spratly che andò a incagliare in secca una delle sue navi nel 1843, non hanno abitanti indigeni, ma soltanto piccoli insediamenti militari, piazzati dalle nazioni che le reclamano come proprie - Cina, Vietnam, Filippine, Malaysia – e pescatori che si rifugiano nelle poche calette mentre infuriano i monsoni, qui particolarmente feroci.
“Ma la loro posizione geografica, e le circostanze della storia politica dopo la Seconda Guerra Mondiale, hanno fatto di questa collezione di rocce e coralli il catenaccio che chiude il Mar Meridionale della Cina e lo renderebbe, se Pechino riuscisse a impadronirsene e a trasformarle in avamposti militari, il mare interno della Repubblica Popolare. E nel Grande Risiko sulla scacchiera del mondo, il controllo cinese di queste acque sarebbe, per gli Stati Uniti che dalla resa del Giappone nell'agosto 1945 si considerano i signori del Pacifico, dall'Asia orientale alla California, l'inizio della fine per la loro egemonia.
“Gli incidenti, le mosse, contromosse e le parole dei due avversari e partner sono ancora soltanto shadow boxing, 'pugilato di ombre', ma ogni gesto sembra avvicinare il momento in cui qualche colpo arriverà davvero.

“Quando i ricognitori e i satelliti hanno rilevato cantieri per costruire basi aeree cinesi con piste ricavate dal mare su una delle isolette, protette da batterie di cannoni costieri – in una lontanissima riedizione della scoperta dei missili sovietici a Cuba mezzo secolo fa Ashton Carter, il ministro della Difesa, ha subito sfatto sapere che avrebbe inviato una flotta navale di superficie e sottomarina davanti a quell'installazione. E a poche miglia dalla costa, proprio in faccia ai cinesi, spiegando che 'gli Stati Uniti intendono restare la principale potenza militare nel'Asia Orientale per decenni a venire'”.

“In quella che per ora sembra il preludio a una Guerra Fredda in salsa di soia, e proprio nelle acque davanti a quel Vietnam dove 160mila tecnici e assistenti militari cinesi affiancarono Hanoi nella guerra vera, il brontolio del Risiko strategico si confonde con il rumore di un possibile conflitto finanziario ed economico che sarà, alla fine, il motore della resa dei conti. I cinesi hanno lanciato una loro superbanca internazionale di investimenti, alla quale hanno aderito anche tedeschi e russi , per intaccare l'egemonia del dollaro moneta di riserva del mondo, molto irritando gli Usa. Obama, ora accusato di avere troppo a lungo ignorato la Cina, altro classico refrain delle polemiche interne americane, ha concesso al premier giapponese Abe di allentare un poco le briglie alle forze armate nipponiche, allargandone competenze e sfera di azione, ben sapendo che il Giappone, da sempre, è il nemico storico della Cina. E niente disturba i cinesi come la possibile rimilitarizzazione dell'impero Yamato.”

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