Sentenza storica: per la Corte di Cassazione la Marina Militare è responsabile della morte di due marinai a causa dell'amianto “respirato” sulle navi: reso noto il dispositivo della sentenza del 6 novembre scorso. Rimandato il processo per la terza volta alla Corte di Appello di Venezia.
Non
c'è alcun dubbio: per la III Sezione della Corte di Cassazione i
vertici della Marina Militare, 5 ammiragli (in origine 6) sono
responsabili della morte per mesotelioma pleurico di due marinai, per
essere stati esposti all’amianto senza le dovute protezioni, in quanto
non sono state applicate le leggi a salvaguardia della salute dei
lavoratori.
Si apre,
quindi, un nuovo capitolo nella complessa vicenda processuale alla
ricerca della giustizia per la morte del capitano di vascello Giuseppe
Calabrò, di Siracusa, e del meccanico Giovanni Baglivo,
di Tricase (Lecce), deceduti nel 2002 e nel 2005, entrambi a Padova, dove erano stati ricoverati per la gravissima patologia.
di Tricase (Lecce), deceduti nel 2002 e nel 2005, entrambi a Padova, dove erano stati ricoverati per la gravissima patologia.
E' questa, infatti la sostanza della sentenza del 6 novembre dello scorso anno, i cui dispositivi sono stati resi noti ieri: “Una
sentenza clamorosa- ha dichiarato Fulvio Aurora, responsabile delle
vertenze giudiziarie di Medicina Democratica- con cui la Corte di
Cassazione ha di fatto respinto la sentenza di assoluzione del 16 marzo
2017, esattamente due anni fa, della Corte di Appello di Venezia e ha
rinviato, per la terza volta alla stessa Corte di Appello di Venezia, ma
in altra composizione, il processo contro i responsabili della Marina
Militare per la morte dei due marinai. E questa volta le motivazioni
sono stringenti e non lasciano molti spazi al nuovo procedimento.”
Viene
confermato, infatti, che i due lavoratori sono deceduti per amianto,
per responsabilità del datore di lavoro (gli ammiragli della Marina) che
non hanno preso le precauzioni di legge. Non solo, ma vengono anche
respinte le teorie che stavano alla base della prima assoluzione: viene
confermato che rimanendo i lavoratori in servizio e quindi esposti, la
latenza, il tempo cioè che intercorre dalla esposizione fino alla
manifestazione della malattia, veniva anticipata, di fatto anticipando
il decesso. Al tempo stesso, e questo è l'altro fatto rilevante, con la
sentenza della Corte di Cassazione è stata annullata la condanna al
pagamento delle spese processuali per le parti civili Medicina
Democratica e Associazione Esposti Amianto”.
“Si
tratta di una grande vittoria ha sottolineato Laura Mara, avvocata di
parte civile- che contribuisce a fare chiarezza in un panorama
giurisprudenziale di legittimità e di merito alquanto 'disorientato'.
“Non è mai accaduto prima- ha aggiunto Maura Crudeli, presidente
nazionale di AIEA, è una sentenza storica, che ci dà una spinta per
proseguire nelle tante battaglie, da un capo all'altro della penisola,
per il riconoscimento dei diritti dei lavoratori, e rendere giustizia
alle troppe vittime di gravi patologie causate dall'amianto".
Le
navi militari, è arcinoto, erano piene di amianto: non poteva essere
che il personale addetto non venisse in qualche modo e in varia misura
contaminato, né poteva essere sufficiente qualche risarcimento a chi dei
colpiti lo richiedeva. “Giustizia avrebbe voluto- ha aggiunto
Aurora- che una importantissima Amministrazione statale come la Marina
Militare riconoscesse il torto e facesse il possibile per bonificare o
dismettere le navi, piuttosto che mettere in atto strenue difese per
farsi dichiarare innocenti. Invece, in occasione del secondo processo,
noto come Marina Militare bis, il Tribunale di Padova ha assolto gli
ammiragli responsabili e quindi le vittime, i famigliari e le loro
associazioni dovranno fare ancora ricorso e si vede il tempo che ci
vuole per giungere ad una qualche forma dichiarata di giustizia!”.
Con
questa sentenza quindi le responsabilità sono acclarate, ma il processo
non è ancora terminato pur essendo iniziato nel 2011. Queste in sintesi
le tappe: in primo grado il Tribunale di Venezia aveva pronunciato una
sentenza di assoluzione (22/03/2012); in seguito la Corte d’Appello di
Venezia aveva cassato la sentenza, ma al tempo stesso prescritto i reati
(14/07/2014); la Corte di Cassazione con sentenza 3615 del 5/11/2015
annulla la sentenza della Corte d’Appello e la rinvia ad altra sezione
che conferma la sentenza di assoluzione di primo grado. Il processo
torna quindi per la seconda volta in Cassazione, il 6 novembre scorso,
annulla questa seconda sentenza assolutoria (16/03/2017) e la rinvia per
la terza volta alla Corte d’Appello di Venezia, ma in altra sezione.
Le tappe della vicenda processuale
Con
il rinvio alla Corte d’Appello di Venezia sarà complessivamente la
quinta volta che questo processo dovrà tornare nelle aule di un
tribunale: 2012, processo a Padova, con prima sentenza di assoluzione;
2014, processo in Corte d’Appello a Venezia, con sentenza di sostanziale
conferma assolutoria; 2016, processo in Corte di Cassazione, su ricorso
del Procuratore Generale di Venezia e parti civili, Medicina
Democratica e AIEA, con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia; 2017,
secondo processo in Corte d’Appello di Venezia, con nuova sentenza di
assoluzione perché il fatto non sussiste e per estinzione del reato; – 6
novembre 2018 sentenza Corte di Cassazione di annullamento di
quest’ultima sentenza di assoluzione, con rinvio per la terza volta alla
Corte di Appello di Venezia per un riesame in altra Sezione del caso:
un rinvio deciso perché di fatto la Corte d’Appello veneziana non si è
attenuta alle indicazioni dettate dalla Corte Suprema di Cassazione in
maniera vincolante su alcune questioni di diritto, mandando assolti gli
imputati! Un vero e proprio inaccettabile paradosso.
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