Il
M5S è cresciuto nei consensi raccontando bugie, promettendo mari e
monti, seminando consapevolmente illusioni a piene mani come la
chiusura dell’Ilva, il blocco della Tap e della Tav e tanto altro
ancora. Si è fatto paladino di tante battaglie sociali e civili,
dando a intendere che, una volta al potere, quelle battaglie
sarebbero state vinte. Poi i dirigenti del M5S, una volta
arrivati al governo, hanno cominciato a fare marcia indietro dalle
bellicose posizioni precedenti, ma non perché si siano trovati ad
affrontare problemi più grandi di loro, non per impreparazione
governativa o culturale, nemmeno per difficoltà
oggettive
internazionali (ad esempio le presunte penali da pagare per la Tap,
ecc.). Semplicemente perché – nonostante il M5S sia nato come
valvola di sfogo di settori sociali subalterni – i loro interessi
di politici borghesi al servizio della borghesia italiana trovano
espressione e legittimazione nelle scelte reali attuali e non nelle
chiacchiere populiste di ieri.
È
allora normale che, in queste condizioni, i nodi delle promesse non
mantenute e delle illusioni tradite arrivino al pettine. La ventata
di “aria fresca” portata dal M5S nel “dibattito democratico”,
che ha in parte incanalato e quietato il malcontento sociale, si sta
risolvendo in una “puzza politica” tanto mefitica quanto quella
prodotta dall’ex Ilva, quell’aria malsana a respirare la quale
anche il M5S sta condannando la città di Taranto, i Tarantini e in
particolare gli operai dello stabilimento siderurgico e i proletari
domiciliati accanto a questo.
Una
“puzza” che non pochi iscritti ai meetup grillini, così come
altri che hanno votato M5S, sentendosi traditi dai vertici del
movimento, non sono più disposti a sopportare. Fra i primi alcuni
attivisti di Taranto (come Massimo Battista, operaio Ilva ed
esponente del Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti
eletto consigliere comunale, che lo scorso settembre ha lasciato il
movimento dichiarandosi indipendente in polemica con Di Maio sulla
questione Ilva), che a febbraio hanno accolto cinque deputati
tarantini – che avevano fatto il pieno di voti promettendo la
chiusura delle fonti inquinanti (in primo luogo il siderurgico) e la
riconversione economica – al grido di “Traditori, vergogna, siete
morti a Taranto! Ci avete preso in giro tutti. Siete venuti a parlare
di chiusura davanti alla fabbrica. Poi vi siete alleati con Salvini e
dite che è colpa del Pd se la fabbrica continua a produrre. Siete
spariti da Taranto e ora sparirete anche da Roma”.
O
come gli attivisti che, insieme con i comitati No Tap, a San Foca, la
marina di Melendugno dove approderà il gasdotto Tap, hanno bruciato
le bandiere M5S e le foto dei suoi politici (soprattutto di Di Maio e
della ministra per il Mezzogiorno Barbara Lezzi) e stracciato le
tessere elettorali in segno di protesta contro il via libera del
governo Conte all’opera con l’avallo di Di Maio. Di Maio e Lezzi
che prima delle elezioni politiche a San Foca avevano promesso e
giurato che avrebbero bloccato il gasdotto e poi hanno inventato la
penale di 20 miliardi di euro, da pagare nel caso in cui non dovesse
essere realizzato, come scusa dietro la quale hanno nascosto il loro
voltafaccia.
“#notinmyname,
non in mio nome, non con le nostre energie, non con i nostri sogni.
Il tuo partito sta governando e male l’Italia. Beppe, questa volta
il Vaffa è tutto per te”. Così alcuni attivisti pugliesi hanno
contestato Grillo, a Bari per uno spettacolo, gridandogli “Ci hai
tradito!”. Contestazione ripetuta a Foggia e a Lecce, dove Grillo è
stato definito “traditore e infame per non aver mantenuto le
promesse elettorali sulla cancellazione del gasdotto Tap”. Una
contestazione ripresa poi a Roma, dove un gruppo di attivisti ha
accolto il comico al teatro Brancaccio urlando: “Ci avete tradito,
Grillo si dimetta da Garante. Avete tradito i nostri valori per le
poltrone, siete diventati dei portavoce di Salvini”.
I
nodi arrivano al pettine, dunque. Ma, c’è da chiedersi, di che
cosa si meravigliano gli attivisti della prima ora o gli illusi della
seconda ora, che cosa si aspettavano da un uomo, Grillo appunto, che
nel 2013 sul suo blog elogiava il piccolo e medio imprenditore come
“uomo dell’anno”: “Un po’ martire, un po’ eroe, testardo,
cocciuto, indipendente, orgoglioso. Qualche volta suicida. Talvolta
in fuga oltre confine, in Svizzera o in Carinzia, per salvare la sua
azienda e i suoi dipendenti. In mezzo a operai e impiegati, come uno
di loro. Il piccolo e medio imprenditore italiano è l’uomo
dell’anno”. Così scriveva Grillo, un “post” accompagnato da
una finta copertina di “Time” che raffigurava il piccolo e medio
imprenditore nelle vesti di san Sebastiano trafitto! Dall’elogio
del piccolo e medio padrone al diventare mulo che tira la carretta di
tutto il capitalismo italiano il salto è un semplice “oplà”! E
di questo c’è da meravigliarsi?
L.R. - operaicontro
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