Nei giorni scorsi mi è capitato di leggere su facebook che il compagno Mauro Gentile, dopo aver ricevuto l'ordine di esecuzione per la carcerazione per i fatti del 15 ottobre, è stato oggetto di minacce e insulti e "promesse" di fargliela pagare per la sua attività antifascista e solidale che stava portando avanti quando era ancora in libertà, anche attraverso il suo profilo fb. Mauro aveva detto di avere ancora qualche mese, prima che venisse
resa esecutiva la pena. Nel frattempo ha continuato a dare costantemente il suo
contributo per lo sviluppo e la crescita della rete solidale, intorno agli arrestati del 15 ottobre. Questa cosa deve avere molto infastidito gli sbirri, che così gli hanno chiuso il profilo facebook e con esso la bocca.
Quindi ora che scrivo, non so se Mauro è ancora libero e non so cosa possa succedergli nel silenzio più totale. Le notizie di cronaca degli ultimi giorni dipingono uno scenario che definire inquietante è un eufemismo: ragazzi che volano dalle finestre delle questure, "suicidi" in carcere... Solo ieri nel carcere di Regina Coeli sono morti di morte violenta 2 detenuti, entrambi in isolamento. E poi questa lettera dal carcere di Marassi , riportata in un articolo da Osservatorio sulla Repressione:
Carcere di Marassi: “Le guardie mi hanno pestato: poi mi hanno imposto di tacere.”
Il giallo di Marassi comincia il 14
aprile a partire dal nero. Nero come le molte sfumature di quel colore
inconfondibile che ti lasciano addosso le botte dopo un pestaggio. Neri e
tumefatti come gli occhi che si ritrova davanti la psichiatra Silvia
Oldrati. Appartengono a Ferdinando Boccia, 36 anni, detenuto nel carcere
genovese per precedenti legati alla droga. I modi evasivi dell’uomo, lo
sguardo basso, l’aria sofferente di chi avverte un male cane soltanto a
respirare, mettono in allerta la dottoressa Oldrati, che subito informa
il medico della sezione, Silvano Bertirotti.
Boccia viene trasferito d’urgenza in ospedale: il referto recita che sono state riscontrate una «contusione cranica, escoriazioni ed ecchimosi al volto, al braccio, all’addome, al gomito e al dorso. Riferite percosse». Bertirotti scrive una lettera sull’accaduto al direttore del carcere Salvatore Mazzeo.
A questo punto, sulla vicenda di Ferdinando Boccia cala un blackout di due settimane: all’interno del carcere si fanno “accertamenti interni”. Ma il 24 aprile, quando la notizia di reato arriva in Procura, del pestaggio di Ferdinando non c’è traccia: la versione ufficiale dell’agente di guardia parla di un piccolo bisticcio tra detenuto (che naturalmente ha provocato) e secondino (che naturalmente si è difeso), una bagattella, insomma. Una lite così piccina e trascurabile, che intanto il detenuto è stato mandato in fretta e furia al carcere di Pontedecimo, e ha ritrattato quello che aveva detto al proposito del pestaggio.
Che cosa è successo a Ferdinando Boccia? Chi e perché l’ha conciato in quel modo? E perché, se le sue condizioni erano talmente gravi, non una guardia o un medico ha presentato denuncia?
Sono tante le domande alle quali deve tentare di rispondere il pm Giuseppe Longo. Di tutti i medici che all’indomani della segnalazione di Silvia Oldrati hanno preso parte a una riunione in carcere, tra i quali la ”torturatrice” di Bolzaneto Marilena Zaccardi, Giuseppe Papatola, Ilias Zannis e, forse, altri due colleghi, nessuno ha sporto denuncia. Così che i cinque medici finiscono nel registro degli indagati. Ma il pm Longo sospetta un peccato di omissione anche tra gli agenti: sei sono coinvolti nell’inchiesta perché forse distrattamente non hanno notato i gentili omaggi che i manganelli hanno lasciato impressi sulle ossa di Boccia.
Man mano che l’inchiesta procede, viene fuori il verbale del detenuto, che racconta la sua versione dei fatti. Ad aggredirlo sarebbe stato l’agente Dario Pinchera, ancora in servizio anche se era stato arrestato nel 2007 per aver sparato a due persone che erano coinvolte (ma che erano state assolte) con lui nel lancio di sassi killer da un cavalcavia autostradale.
Boccia racconta che Pinchera si era molto piccato perché sollecitato a fornirgli la dose di metadone, che non aveva potuto ricevere secondo le modalità previste perché si stava lavando i denti. Dopo un’accesa discussione, gli agenti lo averebbero fatto uscire di cella in modo da consetirgli di andare a prendere le medicine al piano inferiore. Ma a quel punto, con un’imboscata sulle scale, Pinchera esce dal buio e gli si avventa addosso con un «manganello sottile che gli ho visto altre volte portare attaccato alla cintola». Ma insieme a lui ci sarebbero stati «altri due poliziotti», di cui ancora non si conosce l’identità, «che mi trattenevano».
«Mi ha colpito con uno schiaffo – racconta il detenuto – indossava guanti neri. Ha continuato a colpirmi mentre ero a terra e urlavo: “Aiuto, basta!”. Perdevo sangue dalla testa. Sono riuscito a scendere le scale e a raggiungere l’infermeria, ma gli agenti mi hanno impedito di farmi soccorrere. C’erano due infermiere che distribuivano metadone, erano molto spaventate, io urlavo. In una stanza ho visto Don Paolo (il cappellano, ndr), con un detenuto, non può non avermi visto. Mi hanno riportato in cella. Poi è venuta un’altra guardia e mi ha detto: “Facciamo finta che non è successo niente”».
E Pinchera? La versione dell’agente è del tutto differente. Ma la certezza è che il manganello estensibile che ama portarsi dietro non è regolamentare, e gli viene sequestrato insieme a due bombolette di spray urticante.
«Venni contattato da Boccia – racconta la guardia. Mi disse che il medico voleva convincerlo a denunciare qualcosa che non era mai avvenuto». Finiscono indagati cinque medici, per omesso referto, e sei colleghi di Pinchera. «Sono molto amareggiato – dice il direttore del carcere Salvatore Mazzeo – questa vicenda danneggia tutti i nostri sforzi. Chi ha sbagliato deve pagare». «Premesso che nessuno è colpevole fino a condanna definitiva, eventuali responsabili vanno cacciati – dichiara il sindacato Sappe – Questi comportamenti non appartengono al dna della polizia penitenziaria»
Con l’equanimità che sempre lo contraddistingue, il leader del Sappe Donato Capece commenta che «la notizia che 11 tra agenti di Polizia Penitenziaria ed altri operatori in servizio nel carcere genovese di Marassi sono stati destinatari di avvisi di garanzia per il presunto pestaggio di un detenuto è certo notizia che colpisce e amareggia. Ma, fermo restando che una persona è colpevole solamente dopo una condanna passata in giudicato, deve essere chiaro che non appartengono certo al dna della Polizia Penitenziaria i gravi comportamenti dei quali sono accusati i poliziotti».
«Le guardie in servizio nel carcere di Genova Marassi – ricorda Capece – hanno salvato in tempo la vita nel 2014 a 9 e nel 2013 a 8 detenuti che hanno tentato di togliersi la vita».Sulle scale che mettono in comunicazione i due piani, ossia il luogo del pestaggio, dovrebbero esserci in teoria le telecamere della videosorveglianza. Ma a oggi, pare che non esistano riprese che possano documentare l’accaduto. Comunque sia andata, dev’essere chiaro a tutti che Ferdinando Boccia, però, non si è preso a manganellate da solo.
Boccia viene trasferito d’urgenza in ospedale: il referto recita che sono state riscontrate una «contusione cranica, escoriazioni ed ecchimosi al volto, al braccio, all’addome, al gomito e al dorso. Riferite percosse». Bertirotti scrive una lettera sull’accaduto al direttore del carcere Salvatore Mazzeo.
A questo punto, sulla vicenda di Ferdinando Boccia cala un blackout di due settimane: all’interno del carcere si fanno “accertamenti interni”. Ma il 24 aprile, quando la notizia di reato arriva in Procura, del pestaggio di Ferdinando non c’è traccia: la versione ufficiale dell’agente di guardia parla di un piccolo bisticcio tra detenuto (che naturalmente ha provocato) e secondino (che naturalmente si è difeso), una bagattella, insomma. Una lite così piccina e trascurabile, che intanto il detenuto è stato mandato in fretta e furia al carcere di Pontedecimo, e ha ritrattato quello che aveva detto al proposito del pestaggio.
Che cosa è successo a Ferdinando Boccia? Chi e perché l’ha conciato in quel modo? E perché, se le sue condizioni erano talmente gravi, non una guardia o un medico ha presentato denuncia?
Sono tante le domande alle quali deve tentare di rispondere il pm Giuseppe Longo. Di tutti i medici che all’indomani della segnalazione di Silvia Oldrati hanno preso parte a una riunione in carcere, tra i quali la ”torturatrice” di Bolzaneto Marilena Zaccardi, Giuseppe Papatola, Ilias Zannis e, forse, altri due colleghi, nessuno ha sporto denuncia. Così che i cinque medici finiscono nel registro degli indagati. Ma il pm Longo sospetta un peccato di omissione anche tra gli agenti: sei sono coinvolti nell’inchiesta perché forse distrattamente non hanno notato i gentili omaggi che i manganelli hanno lasciato impressi sulle ossa di Boccia.
Man mano che l’inchiesta procede, viene fuori il verbale del detenuto, che racconta la sua versione dei fatti. Ad aggredirlo sarebbe stato l’agente Dario Pinchera, ancora in servizio anche se era stato arrestato nel 2007 per aver sparato a due persone che erano coinvolte (ma che erano state assolte) con lui nel lancio di sassi killer da un cavalcavia autostradale.
Boccia racconta che Pinchera si era molto piccato perché sollecitato a fornirgli la dose di metadone, che non aveva potuto ricevere secondo le modalità previste perché si stava lavando i denti. Dopo un’accesa discussione, gli agenti lo averebbero fatto uscire di cella in modo da consetirgli di andare a prendere le medicine al piano inferiore. Ma a quel punto, con un’imboscata sulle scale, Pinchera esce dal buio e gli si avventa addosso con un «manganello sottile che gli ho visto altre volte portare attaccato alla cintola». Ma insieme a lui ci sarebbero stati «altri due poliziotti», di cui ancora non si conosce l’identità, «che mi trattenevano».
«Mi ha colpito con uno schiaffo – racconta il detenuto – indossava guanti neri. Ha continuato a colpirmi mentre ero a terra e urlavo: “Aiuto, basta!”. Perdevo sangue dalla testa. Sono riuscito a scendere le scale e a raggiungere l’infermeria, ma gli agenti mi hanno impedito di farmi soccorrere. C’erano due infermiere che distribuivano metadone, erano molto spaventate, io urlavo. In una stanza ho visto Don Paolo (il cappellano, ndr), con un detenuto, non può non avermi visto. Mi hanno riportato in cella. Poi è venuta un’altra guardia e mi ha detto: “Facciamo finta che non è successo niente”».
E Pinchera? La versione dell’agente è del tutto differente. Ma la certezza è che il manganello estensibile che ama portarsi dietro non è regolamentare, e gli viene sequestrato insieme a due bombolette di spray urticante.
«Venni contattato da Boccia – racconta la guardia. Mi disse che il medico voleva convincerlo a denunciare qualcosa che non era mai avvenuto». Finiscono indagati cinque medici, per omesso referto, e sei colleghi di Pinchera. «Sono molto amareggiato – dice il direttore del carcere Salvatore Mazzeo – questa vicenda danneggia tutti i nostri sforzi. Chi ha sbagliato deve pagare». «Premesso che nessuno è colpevole fino a condanna definitiva, eventuali responsabili vanno cacciati – dichiara il sindacato Sappe – Questi comportamenti non appartengono al dna della polizia penitenziaria»
Con l’equanimità che sempre lo contraddistingue, il leader del Sappe Donato Capece commenta che «la notizia che 11 tra agenti di Polizia Penitenziaria ed altri operatori in servizio nel carcere genovese di Marassi sono stati destinatari di avvisi di garanzia per il presunto pestaggio di un detenuto è certo notizia che colpisce e amareggia. Ma, fermo restando che una persona è colpevole solamente dopo una condanna passata in giudicato, deve essere chiaro che non appartengono certo al dna della Polizia Penitenziaria i gravi comportamenti dei quali sono accusati i poliziotti».
«Le guardie in servizio nel carcere di Genova Marassi – ricorda Capece – hanno salvato in tempo la vita nel 2014 a 9 e nel 2013 a 8 detenuti che hanno tentato di togliersi la vita».Sulle scale che mettono in comunicazione i due piani, ossia il luogo del pestaggio, dovrebbero esserci in teoria le telecamere della videosorveglianza. Ma a oggi, pare che non esistano riprese che possano documentare l’accaduto. Comunque sia andata, dev’essere chiaro a tutti che Ferdinando Boccia, però, non si è preso a manganellate da solo.
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