Renzi,
leader di un PD sempre più a pezzi e in crollo nei sondaggi, continua a
mettere in mostra il suo distacco profondo dalla realtà. Continuando a
parlare unicamente alle fasce più ricche e potenti della società che
sembrano sostenerlo sempre meno, lancia il modello Macron come
riferimento per il suo ritorno sulla scena. Nel frattempo, ultimo dei
giapponesi, rivendica l'azione di un governo che ha sistematicamente
devastato il mondo del lavoro e della formazione, mentre destinava
miliardi e miliardi di risorse pubbliche al mondo dei banchieri e dei
grandi costruttori edilizi.
Intanto
ancora una volta, bollando come assistenzialismo il minimo sindacale
che i CinqueStelle vogliono assegnare tramite la loro versione di
“reddito di cittadinanza”, il PD ribadisce l'impronta completamente
neoliberista della sua filosofia politica, così come la sua scarsa
capacità di immaginare solamente una retorica adatta per la realtà che
lo circonda. Risultato, l'auto-rinuncia a conquistare un determinante
voto giovanile sempre più appannaggio dei grillini.
Berlusconi,
ormai sempre più soverchiante su Salvini, legge l'aria che tira,
parlando di una campagna
elettorale centrata unicamente sullo scontro
tra cdx e M5S. A pochi anni dalla sua estromissione a colpi di letterine
da parte di Draghi e Juncker, l'uomo di Arcore prova a tornare garante
della stabilità del sistema paese in chiave anti-grillina, descrivendo
il PD come inadatto a questo ruolo. Intanto, capendo di non poter star
fuori dalle chiacchiere su varie opzioni di redditi di base che - in una
discussione che più al ribasso non si può - caratterizzeranno la
prossima campagna elettorale, lancia l'idea del reddito di dignità per
le “famiglie povere”.
Tra le
promesse, anche quella di concedere un aiuto alle famiglie con animali
domestici e un integrazione alle pensioni minime. Sparate che hanno un
senso: il blocco di riferimento di Lega e Forza Italia sembra infatti
sempre più identificarsi con quello degli ultrasessantenni,
maggioritario in termini demografici nel paese. Un blocco sociale che
potrebbe condurre il centrodestra alla vittoria, o quantomeno ad una
posizione di forza nelle trattative del governo che verrà.
DiMaio
intanto non perde l'occasione di battere un colpo in direzione della
classe media bianca e rancorosa del paese, affermando di voler pensare
prioritariamente al reddito degli italiani piuttosto che allo ius soli.
Tra una rassicurazione agli Stati Uniti sulla natura iper-compatibile
del M5S con le esigenze atlantiche e un colpetto all'anima complottista
del paese dei social (vaccini, referendum su euro), i CinqueStelle
tentano di legittimarsi come forza responsabile, in un clima interno da o
la va o la spacca dato che dopo i disastri politici e mediatici della
Raggi, questa sembra l'ultima occasione per i pentastellati.
Insomma,
niente di nuovo sotto il sole dal fronte delle chiacchiere e della
retorica, per rimanere almeno nel campo delle formazioni più accreditate
per una vittoria finale. Quello che lasciano questi cinque anni è però
un paese reale dominato dall'individualismo e dall'atomizzazione, dove
la pervasività della ragione neoliberale si è diffusa
ancora più in profondità all'interno delle giovani generazioni. Il
rapporto Istat sullo stato del paese parla di una società sempre più
invecchiata, dove il distacco dalla politica in tutte le sue forme è
sempre più forte e dove solo il 4,3% delle persone in età di formazione
secondaria ha partecipato ad una mobilitazione.
Una
generazione che ha talmente interiorizzato la precarietà e una certa
visione del mondo del lavoro che sembra avere sempre meno gli strumenti
per poter anche concepire un suo ribaltamento. Questo anche in seguito
ad una azione poliziesca che ha cercato di trasformare ogni questione
sociale in questione di ordine pubblico, impedendo ogni
possibilità di vertenza sociale di poter vincere ed affermare un
precedente. Obiettivo cardine dei governi di questa legislatura è stato
anche sconfiggere in ogni modo l'ipotesi che la lotta potesse pagare.
Quell'idea
che invece si è sedimentata in quei lavoratori e quelle lavoratrici,
sopratutto di origine migrante, che stanno conducendo lotte a livello
molecolare in tantissimi luoghi di lavoro soprattutto nel Nord Italia,
senza però riuscire a legarsi in maniera virtuosa con lotte sociali
estese alle dimensioni territoriali. Un compito di lotta che rimane
necessario per il futuro per chi ancora non si arrende in questo paese.
Sulla pelle dei migranti,
sia sbarcati nel nostro paese sia ancora impegnati nel tentativo di
raggiungerlo, si è giocata la costruzione del consenso delle forze
istituzionali. Queste, nel nulla assordante delle polemiche social hanno
provveduto anche ad inviare centinaia di soldati in Niger,
con la scusa ufficiale di assistere il governo locale nella gestione
dei flussi migratori e la motivazione reale di controllare quote delle
risorse di un paese sempre più oggetto di conquista.
Controllo
interno ed esterno si fondono in un unico dispositivo di governo. I
duri attacchi di Renzi, Alfano e Minniti ai tentativi di
generalizzazione delle lotte tentati dai movimenti di lotta per il
diritto all'abitare, dove i migranti sono in prima linea, sono uno dei
risultati più importanti in ottica sistemica realizzati dal governo. Il
quale, legandone sempre più spesso le lotte alla questione
dell'emergenza migranti, ha cercato coscientemente a confonderli
all'interno di una narrazione orientata sulla paura, la paranoia, il rancore, liberando e sdoganando le peggiori pulsioni xenofobe della pancia del paese.
Lo
stesso Renzi ha indicato al PD la necessità di non lasciare il governo
del paese ai rancorosi, dimenticando che a produrre la devastazione dei
tessuti sociali dei territori è stata in primis l'azione del suo
governo. Non basterà però al PD alcun antifa-washing
o qualche mancetta per recuperare il consenso perduto in questi cinque
anni, che hanno devastato in maniera profonda un partito che da
tentativo di diventare sistema probabilmente ne diventerà articolazione
minoritaria nelle camere.
Da parte nostra il compito sarà tentare di trasformare il più possibile questo rancore in sana ostilità
verso ogni tentativo di costruire una nuova fase di stabilità politica.
Qualunque esito deriverà da questo teatrino elettorale a venire, a
prescindere dalla formazione di un governo o meno, avrà come obiettivo
la pacificazione sociale e la gestione di una società sempre più
diseguale e immersa nelle contraddizioni. Che toccherà a noi cercare di
fare esplodere.
Nessun commento:
Posta un commento