martedì 6 settembre 2016

pc 6 settembre - Sulla giornata del 2 settembre a Torino

Torino 2 settembre 2016 chiamata internazionalista: contro obblighi, firme… carcere

Il gruppo di 10 compas entrato nel settembre 2015 negli uffici della Turkish Airlines all’aeroporto di Caselle (Torino), per denunciare la politica terrorista di Erdogan ed esprimere sostegno a chi, in Turchia e in Kurdistan, continua a resistere e a combattere, è stato preso di mira dalla procura di Torino. Il 21 luglio di primo mattino la polizia ha perquisito le case di chi era in casa e notificato a chi c’era, come misura cautelare, l’obbligo di firma al commissariato tutti i giorni, due volte al giorno. Come avevano già fatto altre compagne e compagni di Saronno, Venezia, Torino, della valle nei mesi scorsi … il gruppo sotto tiro ha deciso di non rispettare le imposizioni e hanno fatto ricorso.
Oggi infatti c’è l’udienza, dalla quale è escluso il pubblico, che riesamina l’imposizione dell’obbligo di firma. Compagne e compagni denunciati vanno in aula, dove incontrano Giuliano, ‘computato’, però in carcere per una lotta in
valle.  Lì viene un comunicato (*) che rivendica la ‘visita’ non prenotata alla Turkish Airlines.
 Intanto davanti al tribunale siamo in tantx di Torino, della Valsusa e di altre città a sostegno della protesta, della necessità di rafforzarla; ci si spiega alle persone passanti con interventi, musica, volantini e striscioni con scritte A fianco di chi lotta e resiste” (in testa),  RESISTENZA dalle Alpi al Kurdistan!”
Quando verso le 11 il gruppo di compas esce dal tribunale ci uniamo in corteo, attraversiamo, con canti contro obblighi, carcere… una lunga via che ci porta su corso Francia per portarci su uno spiazzo accanto alla stazione di Porta Susa. Qui su un traliccio alziamo in verticale uno striscione con la scritta “Erdogan assassino”
Nel pomeriggio verso le 17 entriamo nei campi dove c’è il carcere di Torino, ‘Le Vallette’; siamo lì per comunicare a tutte le persone chiuse lì dentro e che tengono la testa alta solidarietà, possibilità di agire insieme – dentro e fuori -, per urlare a Luca e Giuliano che è stato disposto il loro trasferimento ai “domiciliari”. Riusciamo a sentire le urla da dentro, senza capire più di tanto, per la distanza, dovuta anche allo schieramento di polizia lungo la cinta ferrata che corre vicino alla cinta carceraria di cemento. Negli interventi spieghiamo i nostri intenti. Di sicuro Le Vallette è un carcere dove razzismo, sfruttamento, tortura, assenza brutale dell’igiene e della cura medica…
Quel che confermano Luca e Giuliano quando attorno alle 20 escono. Ad attendere la loro uscita trovano una ventina di compas, ci scappa persino un brindisi collettivo… la giornata non poteva davvero concludersi meglio.

Il giorno dopo verso le 13: Annullate le misure a tutti e tutte le imputate per irruzione alla turkish, cade la resistenza e la violenza privata, si procede per violazione di domicilio.

Sempre al fianco di chi resiste!”

(*)

Come è noto, in quest'aula si discuterà la nostra sorte in merito alle misure cautelari comminateci nell'ambito dell'inchiesta per l'iniziativa contro la Turkish Airlines di Torino-Caselle.

La Procura torinese, in particolare nella persona del qui presente pubblico ministero Antonio Rinaudo, è ormai nota a chiunque per il suo accanimento nei confronti di ogni lotta sociale.

Altrettanto noto è il tentativo di genocidio e la brutale repressione del dissenso in corso in Turchia: le purghe, gli arresti di massa, le torture e gli stupri nelle carceri, i bombardamenti e i massacri di civili, sono ormai all'attenzione mediatica internazionale, ben più di quando noi li denunciammo irrompendo nella sede della compagnia di bandiera turca un anno fa. Il procuratore Rinaudo sarà dunque senza dubbio consapevole e fiero del proprio ruolo di difensore del buon nome della Turchia di Erdogan, dei suoi rapporti amichevoli con la Comunità europea, dei traffici d'armi, dei ricatti sui profughi e del suo ruolo di gendarme della NATO. Peraltro, non è difficile immaginare la fascinazione che un ligio funzionario di Stato può provare nei confronti di un Paese come l'attuale Repubblica di Turchia, il sogno realizzato di ogni burocrate di regime in vena di sfogare le proprie frustrazioni su prigionieri e dissidenti.

Le misure restrittive cui siamo sottoposti, del resto, non fanno mistero delle loro motivazioni: impedirci di reiterare le condotte di cui siamo imputati, ovvero sostenere la lotta rivoluzionaria in Kurdistan. A tal proposito temiamo di dover deludere il solerte procuratore: non abbiamo alcuna intenzione di interrompere una solidarietà di cui c'è oggi più bisogno che mai e per la quale, semmai dovessimo rimproverarci qualcosa, sarebbe piuttosto di non esser riusciti a fare abbastanza.

È per questo che la gran parte di noi non sta rispettando le restrizioni ricevute, e vi preannuncia che ha intenzione di continuare a farlo, qualunque sarà la decisione che prenderete in quest'aula. Noi abbiamo già deciso.


Non avendo ancora l'Italia raggiunto il livello di maturità democratica della Repubblica di Turchia, qualche scrupolo sconsiglia ancora di lanciarsi in deportazioni e carcerazioni di massa; è così che, negli ultimi anni, uno stillicidio di misure repressive a bassa intensità, tra divieti, obblighi, fogli di via, è stato messo in campo nel tentativo di soffocare i conflitti crescenti e i movimenti popolari. Il procuratore Rinaudo è ovviamente in prima fila in questa battaglia, ma – ci spiace dover nuovamente deludere le sue aspettative – è una battaglia persa. Non solo tale strategia non sta ottenendo gli effetti sperati, ma sta ottenendo l'effetto contrario, fornendoci occasioni insperate di rilanciare le lotte, di creare nuovi legami, di acquisire forze inedite. Sempre più persone si rifiutano di sottostare ai suoi stupidi divieti, e sempre più gente solidarizza e sostiene chi resiste. Sta diventando patetico, signor Rinaudo. Si metta il cuore in pace, non fa più paura a nessuno.

2 settembre 2016

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