CATTIVI PAGATORI L’ultimo tentativo (fallito) di dare esecuzione alla decisione del Tribunale civile risale al 17 febbraio scorso. Quando, si legge nel nuovo ricorso, «mediante atto stragiudiziale», ai ministeri di via XX Settembre era stata notificata una diffida a «provvedere al risarcimento» entro 30 giorni. Tutto inutile. Dal ministero della Difesa e da quello dell’Economia nessuna risposta. Una situazione paradossale che non ha lasciato, ai familiari del sottufficiale scomparso, altra scelta se non quella di rivolgersi al giudice amministrativo per obbligare i due dicasteri ad ottemperare alla decisione del giudice civile, assegnando alle amministrazioni un termine di 30 giorni per l’esecuzione della sentenza. E, in caso di ulteriore inadempimento, di disporre la nomina di «un commissario ad acta affinché provveda in via sostitutiva». Un caso sul quale Domenico Leggiero, responsabile del comparto Difesa dell’Osservatorio militare, non ha risparmiato critiche ai vertici delle Forze armate. «Siamo di fronte ad un atteggiamento di sfida da parte del potere militare lanciata sia al potere giudiziario, perché non si ottempera ad una pronuncia giurisdizionale, sia al potere politico, cui viene offerta una verità manomessa – spiega – I generali mettono il ministro su un carro armato per una bella foto di rappresentanza assicurando che va tutto bene e intanto, come in questo caso, ostacolano la sentenza emessa da un Tribunale. Al ministro riferiscono quello che fa comodo e, qualora si dovesse scoprire che la realtà è un’altra, nessun problema: la colpa ricade sempre sul sergente di giornata».
URANIO KILLER Una vicenda, quella relativa a questo caso, non isolata viste le numerose sentenze già pronunciate su casi di patologie tumorali contratte dai nostri soldati in seguito all’esposizione alle polveri di uranio impoverito. Tra le ultime, quella oggetto di una recente sentenza della Corte d’Appello di Roma, diventata definitiva il 20 maggio, che ha condannato il solo ministero della Difesa a risarcire i familiari di un altro reduce del Kosovo. Affermando non solo l’«inequivoca certezza» del nesso di causalità tra la malattia e la sostanza tossica, ma anche le responsabilità dei vertici militari «per avere colposamente omesso di adottare tutte le opportune cautele atte a tutelare i propri militari dalle conseguenze dell’utilizzo dell’uranio impoverito».
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