Dall'intervento alla fabbrica di giovedì scorso
Nell’emergenza coronavirus è giusto rivendicare il primato della difesa della salute e della vita dei lavoratori.
Per
questo è necessario che siano i lavoratori in prima persona che
controllino la situazione dal punto di vista della sicurezza. Non
dimentichiamo che l’emergenza non è affatto finita né possiamo illuderci
e affidarci esclusivamente all'azienda e al governo.
Sono i
lavoratori che devono tutelare in prima persona la loro vita. Ove non ci
siano queste condizioni di sicurezza nei reparti o in altre zone del
lavoro in fabbrica, i lavoratori hanno tutto il diritto di fermarsi e
rivendicare. Vogliamo una postazione medico-sanitaria e di controllo
delle condizioni di lavoro permanente in fabbrica e nella zona
industriale.
Come sapete noi Slai Cobas sc abbiamo sempre chiesto una
postazione ispettiva permanente per il controllo delle condizioni di
lavoro all'interno. Pensiamo che l'emergenza coronavirus debba favorire
questa soluzione.
Noi non siamo d'accordo con la linea della
cogestione con l'azienda seguita attualmente dalle organizzazioni
sindacali confederali, in particolare sulla cassa integrazione, su cui
viene data sostanzialmente mano libera all'azienda. Tenendo conto che
non è stato affatto risolto il problema della integrazione salariale che
permetta ai lavoratori, anche in cassa integrazione, di recuperare
integralmente il salario. Hanno fatto promesse a livello di governo su
questo ma tuttora, nonostante ci siano i fondi per la cassa
integrazione, non ci sono i fondi per l'integrazione salariale che
dovrebbe pagare la Regione, sì che la cassa integrazione possa essere al
100% del salario.
Ora invece la cig per Covid-19 è al 60/58% del
salario, e i lavoratori prendono la miseria di 900/800 euro al mese, che
non bastano assolutamente a vivere con la famiglia. Questo vuol dire
che padroni, Governo e Regione stanno scaricando anche questa volta sui
lavoratori il costo della crisi, dell'emergenza pademica.
Sulle
questioni ArcelorMittal. Siamo dentro un accordo tra Governo e azienda
sul futuro dello stabilimento che doveva essere perfezionato a maggio da
un nuovo accordo sindacale. Ma non sappiamo se dentro l’emergenza
corona virus questo termine sarà rispettato.
Comunque, ArcelorMittal
sta procedendo a tappe forzate verso ulteriori esuberi, (ieri ha
annunciato altri 1000 lavoratori in cig - ndr), con la prospettiva di
tagli definitivi al numero di operai.
Va tenuto in conto che siamo di
fronte a una nuova crisi generale dell'acciaio, una crisi di
sovrapproduzione, in corso già prima della pandemia da coronavirus, che
può diventare ancora più grave per effetto della recessione economica
che tocca l'intera economia nazionale e internazionale. Poche a
settimane fa l’Arcelor Mittal ha dismesso lo stabilimento di Marsiglia e
ha già comunicato che anche lo stabilimento di Novi è a rischio.
Quindi,
è fondamentale che i lavoratori si attrezzino per rispondere alla nuova
richiesta di esuberi strutturali, che l'azienda, anche approfittando
dell'emergenza coronavirus riproporrà.
Rispetto a questa ipotesi
non ci pare che le organizzazioni sindacali abbiano le idee chiare e una
piattaforma che tuteli effettivamente i lavoratori in questa
situazione. In particolare, non bisogna accettare in nessuna maniera la
denuncia di nuovi esuberi strutturali da parte dall'azienda, comunque
siano mascherati. A fronte di piani fumosi di ambientalizzazione, la
sostanza di questi esuberi sarebbe un'ulteriore riduzione
dell'occupazione dei lavoratori dipendenti diretti di ArcelorMittal, che
seguirebbe quella che ci fu dopo l'accordo del 2018, a cui si
aggiungerebbero inevitabilmente licenziamenti e chiusure di Ditte
dell'appalto.
Quindi, dobbiamo ritornare a difendere strenuamente il posto di lavoro.
Siamo
dentro un film dalla fine annunciata, quando a suo tempo ArcelorMittal
aveva parlato di 5000 esuberi. In una maniera o nell'altra, con una
scusa o l'altra, a questo intende arrivare.
Per questo lo Slai Cobas
ritiene che sia necessaria porre in questa fabbrica, come in tutte le
fabbriche che possano avere gravi problemi di occupazione, la
rivendicazione, oltre che della cassa integrazione al 100%, di una
riduzione generalizzata dell'orario di lavoro a parità di paga. Perché è
evidente che in questa crisi generale non devono essere i lavoratori a
pagare e i fondi che vengono dati alle aziende non devono essere senza
condizioni. Il governo dà fondi alle aziende, assicura la piena ripresa
della loro attività e i lavoratori perdono il posto di lavoro. Non può
essere così! Perciò la riduzione dell'orario di lavoro a parità di paga è
una necessità che i sindacati tutti, al di là della loro
auto-definizione, devono porre.
L'altra questione è che i piani
annunciati di ambientalizzazione della fabbrica devono partire
realmente, Non ci è sembrata certo una cosa buona che appena c’è stata
per il coronavirus l’esigenza di ridurre la forza lavoro in fabbrica,
ArcelorMittal ha scelto di sospendere proprio i lavori di bonifica e
ambientalizzazione. Quindi, il rapporto tra operai in organico
ArcelorMittal e gli operai impegnati nell’ambientalizzazione, tra cui si
devono recuperare tutti gli attuali cassintegrati in amministrazione
straordinaria, deve essere rivendicato che sia realizzato ora, perché se
non realizzato ora, la crisi generale dell'acciaio porterà a mettere in
discussione di nuovo la stessa vita dello stabilimento.
Altra
questione è la rivendicazione che ci sia un provvedimento massiccio di
prepensionamento, utilizzando i benefici amianto e utilizzando
l'emergenza inquinamento nella nostra città. Noi stimiamo che circa 2500
lavoratori potrebbero andare in prepensionamento, attraverso misure
straordinarie da adottare nel contesto della crisi di Taranto e della
crisi coronavirus.
Quindi, i lavoratori non possono stare ad
aspettare, né tanto meno si può iniziare uno sciopero, una lotta, senza
sapere esattamente che cosa vogliamo e dove vogliamo andare. In questo
senso, riteniamo che questo mese debba essere il mese in cui si torni a
fare le assemblee in fabbrica, perché non possiamo accettare che i
lavoratori siano solo oggetti. Devono essere soggetti che determinano
sia le condizioni di sicurezza, sia la nuova frase che la fabbrica sta
per attraversare.
Per questo, lo Slai Cobas rivendica che le RSU,
le organizzazioni sindacali, tengano entro il mese assemblee sui
problemi su cui dobbiamo concentrare l'attenzione: l'effettiva sicurezza
in fabbrica, che deve diventare permanente così come la postazione
medico sanitaria per ogni emergenza; la cassa integrazione al 100% del
salario, con integrazione che deve essere definita con governo e
Regione, perché nessun operaio perda un centesimo in una frase in cui i
soldi non bastano e i salari sono comunque taglieggiati, perché nel
silenzio del Governo si è permesso un generale aumento dei prezzi dei
generi di prima necessità di cui ci accorgiamo ogni giorno quando
facciamo le file al supermercato. Quindi il salario va tutelato e la
prima tutela, dato che c'è e ci sarà una cassa integrazione che
coinvolge la gran parte dei lavoratori, è che questa cig copra realmente
il 100% del salario; bonifica e ambientalizzazione della fabbrica
richiamando al lavoro i cassintegrati.
Altra questione è quella
della nuova fase della crisi della siderurgia, che già sta portando alla
dismissione di alcuni stabilimenti in Europa della ArcelorMittal.
Dal
mese scorso l’Arcelor Mittal non è più il primo produttore di acciaio a
livello mondiale ed è evidente che sta scaricando la sua crisi sui
lavoratori. Le crisi di sovrapproduzione di acciaio e recessione
mondiale comportano nuovi esuberi, comunque mascherati, che l'azienda
tornerà chiedere anche nello stabilimento di Taranto. Per questo i
lavoratori si devono attrezzare per tempo per rispondere seriamente,
perché, a Taranto e nell'emergenza generale della crisi da coronavirus,
tutto ci possiamo permettere tranne un ulteriore taglio
dell'occupazione.
È tempo di chiedere non solo che genericamente
gli organici non vengano toccati, ma che ci sia, come abbiamo detto, una
riduzione generalizzata dell'orario di lavoro a parità di paga, che è
l'unica soluzione che, in tempi di crisi, può garantire l'occupazione
dei lavoratori. Così come va posta con urgenza un provvedimento
straordinario che favorisca il prepensionamento dei lavoratori, con
l'estensione dei benefici amianto, dei “25 anni bastano in siderurgia”, e
con una legge Taranto anti-inquinamento, che deve prevedere
risarcimenti .
Si tratta di obiettivi che i lavoratori devono
rivendicare e che i sindacati devono raccogliere, se vogliamo realmente
pensare di uscire vivi, non solo quanto a salute ma vivi anche quanto al
lavoro e al salario da questa crisi generale che l'emergenza
coronavirus ha amplificato.
Non la fase 2, è la “fase 3” il
problema, perché frase 3 vuol dire: “se c’è la crisi, la pagate voi
lavoratori!”. Se c'è la crisi, gli organici si riducono. Se c'è la
crisi, la sicurezza va di nuovo a farsi benedire, Questo significa fase 3
ed è a questa fase che dentro la fabbrica bisogna prepararsi, chiedendo
verità alle organizzazioni sindacali. Perché i sindacati confederali e i
loro rappresentanti parlano con lingua biforcuta per dire una cosa ai
lavoratori e un'altra cosa ai padroni. Il che significa dire
apparentemente no in fabbrica, mentre si dice sì ai padroni.
Non ci possiamo fidare di Governo, padroni e sindacati.
Bisogna
pretendere assemblee, per fare chiarezza, per dire la nostra, farci
ascoltare e ascoltare, in cui i lavoratori possano esprimere la loro
piattaforma e possano prepararsi alla nuova fase che si presenta.
Superata,
almeno per ora e a quanto pare, la fase più acuta dell'emergenza e
restando rigidi sulle misure di sicurezza, è tempo che la parola passi
ai lavoratori riuniti in assemblea.
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