"Nel mercato dell'acciaio esplode la sovrapproduzione" - titolano in
questo giorni i giornali, soprattutto quelli vicini al padronato.
Certo
gli allarmismi sono anche volutamente esagerati, al fine di far
passare, come oggettivi, giustificati dalla crisi, drastici tagli di
manodopera, chiusure, vari provvedimenti che colpiscono prima di tutto
gli operai, e al fine di avere misure di sostegno da parte dei governi e
degli Stati.
Ma la sovrapproduzione è vera.
Essa già c'era, ed
ora nell'emergenza coronavirus con la contrazione dei mercati, le
difficoltà delle forniture, ecc, si è chiaramente accentuata.
Da
noi la questione cuore di questa contraddizione è ArcelorMittal. AM "ha
ridotto la marcia dei suoi impianti un pò ovunque in Europa: in Polonia,
in Francia e ovviamente anche in Italia, a Taranto... ma il peggio deve
ancora venire. Soprattutto in un settore che, alla vigilia della crisi,
nonostante un accenno di ripresa, continuava ad essere gravato da nodi
irrisolti relativi alla sovraccapacità produttiva, alla crisi
dell'automotiva e dell'edilizia e ai difficili meccanismi di
salvaguardia dalle importazioni..."; "non possiamo perdere il treno
della competitività - ha sottolineato il presidente della Federacciai,
Alessandro Banzato - appellandosi al governo per chiedere la possibilità
di riaprire gli impianti, nonostante il lockdown..." (ma
l'ArcelorMittal non ha mai chiuso gli impianti in Italia); anche perchè
"...secondo i dati del Worlsteel - nonostante l'emergenza Covid-19 -la
Turchia ha aumentato la produzione del 9,6%, la Cina dell'1,2%...) - da
Sole 24 Ore "Domanda di acciaio in caduta, esplode la sovrapproduzione".
Ma perchè questa sovrapproduzione?
Il
capitalismo va in crisi paradossalmente non perchè non può produrre ma
per "eccesso di produzione". Ma la produzione è troppa sulla base dei
rapporti di produzione capitalistici, essa è invece poca rispetto alla
soddisfazione dei bisogni dell'umanità.
La crisi di sovrapproduzione
mette in luce la contraddizione di fondo del capitale: da un lato il
massimo sviluppo sociale delle forze produttive, delle potenzialità di
soddisfare tutti i bisogni, dall'altro la sua impossibilità per la
proprietà privata dei mezzi di produzione da parte dei capitalisti che
hanno interesse solo a ricavare il massimo profitto, non certo il
soddisfacimento dei bisogni delle popolazioni.
L'enorme sviluppo
delle forze produttive non è controllato e organizzato in relazione alle
esigenze e agli effettivi bisogni della società, ma in seguito alle
condizioni di valorizzazione del capitale.
Quindi la produzione è sociale, ma l'approriazione della ricchezza è privata esistente.
Scrive Marx: “non
vengono prodotti troppi mezzi di sussistenza in rapporto alla
popolazione. Al contrario. Se ne producono troppo pochi per soddisfare
in modo decente e umano la massa della popolazione” Il punto è un altro:
“vengono prodotte troppe merci per potere, nelle condizioni di
distribuzione e nei rapporti di
consumo peculiari della
produzione capitalistica, realizzare il valore e plusvalore in esse
contenuti e riconvertirli in nuovo capitale”.
Dalla crisi i
capitalisti escono sempre sia più forti che più deboli, qui non vediamo
tanto il capitalista singolo ma il capitale complessivo; esso esce più
forte perchè per rispondere alla crisi aumenta la centralizzazione del
capitale, i capitalisti piccoli possono andare in rovina ma a vantaggio
dei grandi capitalisti, aumenta lo sfruttamento, abbassa relativamente i
salari, aumenta la sovrappopolazione relativa, cioè l'esercito
industriale di riserva - i disoccupati, che il capitale utilizza come
forza di ressione per abbassare i salari e far accettare agli operai un
aumento del lavoro; esce più debole perchè per aumentare la produttività
deve aumentare il capitale costante, ma questo riduce relativamente il
capitale variabile, la forza-lavoro che produce pluslavoro e quindi
plusvalore e profitto (dato che invece le macchine sono solo un mezzo,
non producono valore, ma vengono solo usate), benchè alla riduzione dei
lavoratori il capitale risponde appunto con l'aumento dello
sfruttamento, dell'intensità dei tempi di lavoro.
Si dice il
problema è il calo della domanda di acciaio: "Con auto e costruzioni
ferme, la produzione italiana risulta tagliata a marzo del 40,2%... in
Europa la domanda è in flessione media del58%" - da Sole 24 Ore.
Questo
calo era preesistente all'emergenza pandemica, con il coronavirus si è
accentuato. Ma la sovrapproduzione c'è non perchè non ci sarebbe
"mercato", ma perchè scopo delle vendita è realizzare il profitto; non
perchè il capitalista non potrebbe più vendere, ma perchè quanto
potrebbe realizzare dalla vendita non è conveniente per mantenere e
anche aumentare i suoi profitti; da cui, piuttosto che abbassare i
prezzi della produzione i capitalisti preferiscono distruggerla.
Oggi
si fa anche sempre più acuta la guerra commerciale, la feroce
concorrenza tra i capitalisti a livello mondiale, che provoca le crisi
di sovrapproduzione.
Ma qui assistiamo ad un'altra
contraddizione: il capitale è di per sè globale, internazionale, si
spinge nei più lontani paesi dal suo paese d'origine - appunto
ArcelorMittal dall'India all'Europa, a Taranto, come si spinge nella
zone ancora incontaminate, distruggendo foreste, habitat naturali di
animali (vedi pipistrelli) - qui è la vera causa del coronavirus, non
certo nelle abitudini alimentari dei cinesi, come in maniera ridicola
qualche incivile scribacchino ha detto in questo periodo.
Il capitale pretende e lotta ferocemente, con mezzi leciti o illeciti, per il suo posto nel mercato mondiale - scrive Marx: "il
capitale tende a trascendere sia le barriere e i pregiudizi nazionali,
sia l'idolatria della natura, sia il soddisfacimento tradizionale,
modestamente chiuso entro limiti determinati, dei bisogni esistenti, e
la tradizionale riproduzione di un vecchio modo di vivere. Nei confronti
di tutto ciò esso è distruttivo e agisce nel senso di un perenne
rivoluzionamento, abbattendo tutte le barriere che ostacolano lo
sviluppo delle forze produttive, l'espansione dei bisogni, la
molteplicità della produzione e lo sfruttamento e lo scambio delle forze
della natura e dello spirito".
Ma quando si trova di fronte
alla lotta uguale e contraria degli altri capitalismi concorrenti (vedi
nel nostro caso, Cina, Turchia), allora diventa ipernazionalista,
"sovranista", reclama a gran voce il sostegno del governo, dello Stato, o
reclama - come ha fatto ArcelorMittal alla Prefettura di Taranto in
piena emergenza pandemica - che per esso non valgano restrizioni nè alla
produzione nè alla commercializzazione, che sia considerato "servizio
essenziale" - essenziale al suo profitto e difesa nella guerra
commerciale sul mercato mondiale. Salvo poi fregarsene del paese che lo
ha aiutato e tornare ad essere "senza nazione", per andare e fare ciò
che più serve a rilanciare i suoi profitti: chiusura di stabilimenti in
Italia, delocalizzazioni, ecc.
Scrivono Marx ed Engels: “E'
proprio bello che i capitalisti, che gridano tanto contro il “diritto al
lavoro”, ora pretendano dappertutto “pubblico appoggio” dai governi...
facciano insomma valere il “diritto al profitto” a spese della
comunità”.
Vale a dire la classica: socializzazione delle perdite e privatizzazione dei guadagni, sempre usata dai capitalisti anche oggi.
Per concludere.
La crisi di sovrapproduzione attuale fa parte integrante del
funzionamento normale del modo di produzione capitalistico. Non nasce da
imperfezioni del mercato, ma è uno dei più potenti e perfetti prodotti
del mercato stesso.
Gli operai devono rigettare i predicatori
delle "soluzioni", come di accompagnare i lamenti del capitale
mettendosi al suo fianco nella guerra contro gli altri capitalisti,
facendosi anche impotenti replicanti di ideologie razziste (i cinesi
sono quelli che ci mandano in rovina prima con la iperproduzione e poi
col coronavirus...).
Il capitalismo è il problema. E la classe
operaia deve agire di conseguenza per il superamento di questa - come la
chiama Marx - “ultima configurazione servile assunta dall'attività umana", con l'obiettivo di far sì che i produttori assoggettino la produzione – che oggi li sovrasta come una “legge cieca” al “loro controllo comune come intelletto associato”.
PS. INVITIAMO A RICHIEDERE E LEGGERE L'OPUSCOLO "APPUNTI DI STUDIO SU MARX E LA CRISI"
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