domenica 10 maggio 2020

pc 10 maggio - INTERVENTI DEGLI OPERAI DELLO SLAI COBAS SC NELL'ASSEMBLEA DEL PATTO D'AZIONE

Ieri nella nuova assemblea del "patto d'azione" a cui hanno partecipato circa 200 lavoratori, compagni, e più di 40 sono stati gli interventi, hanno parlato due operai dello Slai cobas per il sindacato di classe, della Tenaris Dalmine e della Ditta 'Maschio'. Riportiamo qui l'intervento di Sebastiano Tenaris Dalmine (mentre in un successivo post quello di "Maschio"), perchè oggi nella necessaria ripresa e nostra "fase 2" sono centrali le fabbriche, cosa succede realmente in esse e soprattutto il lavoro difficile e importante che fanno gli operai d'avanguardia, come i compagni dello Slai cobas sc.
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Buonasera a tutti e tutte,
volevo dare un piccolo contributo sulla situazione dalle fabbriche che sono ripartire anche qua a Bergamo.

Ma la prima cosa che voglio dire e che non mi quadra e non mi piace per niente è la questione del 2 giugno, nel senso che dal mio punto di vista il 2 giugno non c’entra niente con le dinamiche dei lavoratori, a parte che è un giorno di festa, non c’entra neanche niente con le lotte che stiamo mettendo in campo e le denunce che già tanti compagni stanno prendendo, perchè la battaglia che stiamo facendo è appunto quella di non aspettare i permessi ma rompere i divieti imposti da questo stato di emergenza che poi è si riflette anche nei posti di lavoro.
Infatti, e ritorno velocemente sulla questione dei posti di lavoro. Come già è stato accennato anche da Aldo Milani, i settori della logistica sono un esempio ed è da questi settori in lotta che bisogna partire e c’è sicuramente da imparare.
Ma dal nostro punto di vista, rimane comunque la questione centrale, di fronte a questa pandemia
capitalistica, di tornare anche ai centri della produzione capitalistica che sono le fabbriche e alla loro azione dirompente, di cui, come abbiamo visto in breve negli scioperi spontanei, lo stato e i padroni comunque hanno paura. Noi stiamo portando un’attività di denuncia costante per riuscire appunto a ribellarci anche nelle fabbriche, come questione determinante per costruire poi un patto d’azione operaio popolare e sociale che possa veramente rimettere in campo la forza di classe necessaria.
Perchè praticamente i padroni quello che ci stanno dicendo è che dobbiamo imparare a convivere a lungo con il virus, chiaramente per loro convivere a lungo con il virus nelle fabbriche, dove appunto eravamo già rientrati - parlo della Tenaris Dalmine -, vuol dire fare della fase 2 una fase di repressione e di aumento dello sfruttamento. 
L’abbiamo visto nel piccolo ad esempio appunto alla Tenaris, citata in tutti i media a livello nazionale per la produzione dell’ossigeno quando invece questa produzione non era altro che un sistema di sperimentazione per far lavorare squadrette di volontari e di precari per saturare il tempo di lavoro e per spingere sulla produzione, non certo per una produzione sociale.

Ma lo vediamo anche nel tentativo già in atto di scaricare la crisi sui posti di lavoro, perchè comunque il problema è molto semplice: qua se si contesta qualcosa tipo le mascherine non adeguate il capo ti mette in ferie forzate per 15 giorni, o se non rispetti i tempi che hanno tenuto le squadrette durante il periodo in cui ufficialmente era chiusa la Dalmine ma continuava a produrre succede lo stesso. In contemporanea abbiamo già nelle fabbriche, già prima del coronavirus, le aperture della cassaintegrazione, perchè comunque la crisi capitalistica esisteva già e chiaramente questa crisi dell’epidemia l'ha aumentata e accelera i processi dei padroni che comunque vogliono lavorare ad ogni costo. Infatti ci troviamo, e si vede anche dai dati ufficiali, 1300 contagiati e l’aumento dei contagi nei posti di lavoro; quindi non solo gli operai e i lavoratori sono stati prima i più mazzolati, ma sono stati in trincea nei luoghi pandemici, come le fabbriche, dove c’è il rischio contagio.

Adesso si parla di adeguare le condizioni di sicurezza, che sono un punto importantissimo, mascherine e tutti gli strumenti di protezione, quello che però non viene adeguato sono i ritmi di produzione e l’organizzazione del lavoro. E quindi tutti questi protocolli non sono altro che per le aziende e i padroni un adeguamento formale per continuare a lavorare e a scaricare sugli operai questo doppio fardello, perchè praticamente quello che ci ritroviamo d'avanti è un passettino in più, uno sfruttamento ai tempi del virus, dove vogliono attaccare i diritti e l’obbiettivo finale è quello di spingere verso un’oppressione politica e sociale, verso un moderno fascismo del capitale, che ha il suo centro come storicamente è sempre stato anche nelle fabbriche.

Quindi adesso diventa determinante affrontare questa situazione, e tutto dipenderà da noi, da quello che vogliamo mettere in campo. Si parlava appunto dei territori del centro della pandemia, Piacenza, Bergamo, Brescia, noi pensiamo che sia utile nello spirito del patto d’azione cominciare a incontrarci sui territori e a vedere come mettere in campo delle iniziative che rompano i divieti e che costruiscano la forza necessaria per questo. Questo serve non per esempio l'iniziativa del 2 giugno.
Anche perchè al di là di come andrà questa pandemia una cosa che ci ritroveremo sicuramente e  costantemente sarà la polizia nelle strade e la pistola puntata alla testa sugli operai nelle fabbriche per lavorare a qualsiasi condizione, e questo non è accettabile!

Sono condizioni difficili da un lato ma anche favorevoli da un altro lato perchè sappiamo benissimo che dove c’è repressione c’è ribellione e a noi sta appunto il compito di organizzare questa rottura in particolare nelle fabbriche della cogestione fascista sindacal-padronale che ci ritroviamo pesantemente addosso.

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