martedì 14 novembre 2023

pc 14 novembre - Oggi a Acciaierie d'Italia/appalto Taranto







 L'atteggiamento inaccettabile di ArcelorMittal/Morselli e del governo Meloni, che mai come in questi giorni si sta rivelando sempre e solo dalla parte di Mittal, dichiarando un giorno una cosa e un giorno un'altra, per coprire quello che in realtà sta avvenendo, sempre e soprattutto contro i lavoratori, e su cui i vari ministri appaiono divisi -Fitto/Urso – ma sono tutti uniti, purtroppo non ci può meravigliare.

Noi l'avevamo detto anche il 20 ottobre alla manifestazione di Roma. Lo sciopero generale era stato necessario perché gli operai facessero sentire forte e chiara la loro voce con il blocco della produzione e con la manifestazione nazionale a Roma. Ma - aggiungevamo - questa mobilitazione era utile non tanto per le risposte che poteva dare il governo ma quanto per unire gli operai dei diversi stabilimenti e portare la loro forza al centro dell'attenzione per dare peso e rilevanza alle loro rivendicazioni.

Niente allora era venuto dall'incontro romano, e niente, o peggio, negli incontri successivi, fatti tra l'altro solo con capi di gabinetto dei Ministeri.
Non si può continuare a dare credito al governo, alle promesse di Urso, mentre altri ministri, Fitto, Mantovano fanno gli accordi segreti con Mittal. E' in corso una trattativa, ormai non più segreta, in cui ArcelorMittal prenderebbe l'intera quota di Acciaierie d'Italia. 

Se questo non avvenisse si pensa a nuova governance che dopo un periodo di transizione commissariale sarebbe garantita da altri industriali dell'acciaio – Arvedi e altri - che stanno lavorando più o meno sotto, sotto perché la situazione vada sempre peggio, proprio per poterla rilevare con facilità e trovarsela consegnata su un piatto d'argento. Le dichiarazioni avventurose del presidente della Federacciai, Gozzi, significano comunque

che al tavolo romano si stanno prendendo decisioni al di fuori dei canali normali di relazioni tra padroni, governo, organizzazioni sindacali.

Il governo sta accettando di fatto tutte le condizioni di ArcelorMittal, le sue esose richieste, come e quando deve produrre, le sue azioni assolutamente illegali verso gli operai, l'uso arbitrario della cassaintegrazione, il peggioramento giorno per giorno della sicurezza, il menefreghismo verso lo stato degli impianti, il non pagamento degli straordinari, senza contare la gravissima situazione nell'appalto a rischio licenziamenti, ecc; Si può ancora parlare, quindi, di passaggio al 60% della parte pubblica, quando il governo si muove come un servo su quello che vuole Mittal, sui suoi tempi, è tirare avanti, con un nuovo sciopero di 8 ore, può essere una mobilitazione impotente; anche la richiesta di nazionalizzazione non sta ora come ora coi piedi per terra, senza mettere in discussione per davvero non un ministro o la Morselli ma tutto Governo Meloni e i /Padroni dell’acciaio

Quanto poi al famoso "piano B", di cui si è parlato anche nell'incontro a Roma del 20 - con il Presidente della Federacciai, Gozzi, dice apertamente che la siderurgia italiana può fare a meno di ArcelorMittal - si tratta di una lotta tra padroni che comunque porterebbe a tagliare posti di lavoro e a condizioni capestro per i lavoratori in materia salario livelli condizioni di lavoro, salute, diritti..

Chiunque prende l'ex Ilva in questo momento deve fare i conti con la crisi di sovrapproduzione dell'acciaio che esiste da tempo, sovrapproduzione per il profitto chiaramente, accentuata dagli effetti della guerra imperialista, della guerra commerciale per la ripartizione dei mercati, l’aggravamento dei costi dell’energia anche con la nuova guerra in Medio oriente scatenata da USA/Israele contro il popolo palestinese e il mondo arabo. Anzi per una sua effettiva ripresa si parla addirittura che essa può essere legata alla produzione del nucleare (altro che acciaio green)

In tutto questo esce fuori sempre la funzione dello Stato nel sistema capitalista/imperialista: socializzare le perdite- privatizzare i profitti!
In questa questione che dura da anni, i vertici sindacali dell'ex Ilva non hanno portato in realtà nè dall'inizio e neanche ora nello scontro con azienda e governo le rivendicazioni necessarie per tutelare realmente lavoro, salario, sicurezza, quindi, i vertici sindacali confederali non possono presentarsi come se fossero innocenti, e oggi meravigliarsi dell'atteggiamento di Morselli e governo, che li trattano come l'ultima ruota del carro, solo per buttare negli incontri qualche informazione che già si legge sui giornali, non per farli oggetto di trattativa reale. 

Le rivendicazioni giuste e necessarie purtroppo solo noi le abbiamo poste dall’inizio e tutt’ora.
Cos'hanno, allora, i lavoratori nelle mani? È possibile ancora cambiare lo stato delle cose?
Sì, ma serve l'autonomia operaia, il potere di decidere ripreso dai lavoratori e imposto con assemblee generali vere ai cancelli delle portinerie Serve la riorganizzazione delle file dei lavoratori. Non è solo un problema di una sigla sindacale, ma di una unità sindacale dal basso che possa togliere potere alle organizzazioni sindacali collaborazioniste per restituire questo potere di rappresentanza ai lavoratori.
Senza costruire questa autonomia, non si può fronteggiare un'emergenza che viene considerata ai limiti della catastrofe sociale, industriale.
Serve una lotta autonoma, prolungata e generale sulla piattaforma operaia che sia da trincea della lotta dei lavoratori fino a risultati concreti.
Lo Slai cobas chiama gli operai alla necessità che soprattutto le avanguardie operaie qualunque sia la tessera sindacale trasformino il dissenso aperto o silenzioso, la rabbia, lo sconforto in organizzazione per una lotta seria, classista e combattiva, che possa anche esercitare una pressione verso i sindacati confederali. Questo in altri paesi ha pagato, pensiamo a quello che è avvenuto in Francia con i recenti scioperi, o con gli operai dell’auto negli USA
La questione ex Ilva, inoltre, è ben dentro la situazione mondiale, la guerra dall’Ucraina al Medio oriente, l'economia di guerra. Con l'acciaio si fanno le armi; quindi esiste un nesso tra la produzione dell'acciaio e la guerra imperialista. La guerra, nel capitalismo/imperialismo, è un'opportunità di profitti per i padroni dell’acciaio, la crisi generale che porta alla guerra comporta anche l'aggravamento della questione energetica, che è una mina interna alla crisi generale dell'industria dell'acciaio. Ma nella guerra degli imperialisti: le morti, le distruzioni, l'attacco ai diritti vitali sono nostri e i profitti sono sempre loro!
Anche su questo terreno la lotta operaia conta tantissimo, ma gli operai non hanno ancora sufficiente consapevolezza di avere anch'essi un'arma nelle loro mani, l'arma del loro numero, della loro lotta; è questa che può incidere non solo all'interno della vicenda industriale dell'ex Ilva, ma può incidere nella dinamica generale delle grandi vicende in corso. Se non ora quando?

SLAI COBAS PER IL SINDACATO DI CLASSE TARANTO – slaicobasta@gmail.com - WA 3519575628

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