Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio
17/01/2018
Ancora una volta, ieri a Milano, tre operai sono morti sul lavoro.
Secondo le prime ricostruzioni sembra che i primi due lavoratori - Arrigo Barbieri, 57 anni, responsabile di produzione e Marco Santamaria, 42 anni, elettricista - appena scesi nel locale sotterraneo, profondo due metri, che contiene il forno in cui si scalda l'acciaio; abbiano perso subito i sensi a causa dell'aria satura di gas. Un altro operaio - Giuseppe Barbieri, fratello di Arrigo - resosi conto del pericolo, ha chiamato aiuto e con Giuseppe Setzu, 48 anni, nel tentativo di salvarli scende nella camera sotterranea: i due, a loro volta, rimagono intossicati. Altri due lavoratori cercano di portare aiuto ma l'ambiente saturo di gas li costringe a indietreggiare (rimarranno intossicati). In quattro rimangono intrappolati nella camera a gas nella fabbrica . «Lamina Spa» di via Rho 9 a Milano. Tre sono uccisi subito e uno è in condizione gravissima.
Quando si lavora e si vive quotidianamente fianco a fianco per un salario da fame, quando la solidarietà con i propri compagni resta l'unica possibilità di difendersi dallo sfruttamento, può anche succedere che non si esiti a portare aiuto anche in situazioni di pericolo.
Ancora una volta, nel disperato, generoso, tentativo di salvare la vita ai compagni di lavoro degli operai perdono la vita. Al momento non sappiamo se la strage operaia poteva essere evitata con adeguate misure di sicurezza o se i padroni, come spesso accade, hanno risparmiato anche sulle misure antinfortunistiche.
I morti sul lavoro non sono mai una fatalità e non dipendono dal destino, sono parte della brutalità e della violenza del sistema capitalista.
Davanti a questo ennesimo omicidio di massa ora si sprecano le solite lacrime dei rappresentanti di governo, istituzioni, padroni e sindacati, che parlano di morti bianche: come ricorda oggi il Corriere della Sera, nel 2017 (dati Inail, per difetto) 591 lavoratori: e noi ci chiediamo quanti padroni sono in galera per questi morti di lavoro.
Coloro che piangono oggi lacrime di coccodrillo sono gli stessi che ogni giorno, in nome dell'aumento della produttività e del profitto, in nome del mercato, costringono milioni di lavoratori a lavorare in condizioni pericolose.
Al di là delle chiacchiere istituzionali di circostanza è sempre l'aumento dello sfruttamento la causa principale dell'aumento degli infortuni e dei morti sul lavoro, perché nel sistema capitalista il profitto vale più della vita degli esseri umani e gli operai non sono altro che carne da macello. Il nemico è in casa nostra e si chiama profitto, non fatalità.
Nessuno oggi rappresenta gli operai e - anche se siamo coscienti che solo abolendo lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, la classe operaia può liberarsi - è arrivato il momento in cui gli operai stessi si auto-organizzino per difendere la loro vita, i loro interessi, rivendicando che senza sicurezza non si può lavorare.
Le nostre più sentite condoglianze ai famigliari dei lavoratori uccisi dal capitalismo.
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