e una parte del PD è pronta a dargli manforte
Il ministro Paolo Zangrillo: «Askatasuna va chiuso subito, Lo Russo pensi alle periferie»
. Ospite della redazione del Corriere Torino, l’esponente del governo Meloni si dice «sbalordito» del progetto di legalizzazione del centro sociale messo in piedi dalla giunta torinese di centrosinistra.
Ministro, perché Askatasuna la preoccupa così tanto?
«Io condivido parola per parola le riflessioni della procuratrice generale Lucia Musti,
che in modo molto lucido ha invitato a non sottovalutare gli atti di
violenza che da mesi ormai accompagnano le manifestazioni di piazza».
Il progetto di recupero dell’immobile di
corso Regina Margherita non nasce forse con l’intento di restituire
alla legalità un luogo della città lasciato a se stesso da trent’anni?
«La
storia degli ultimi anni ci conferma che attorno ad Askatasuna esiste
un coerente contesto di violenza che ha portato il Piemonte a essere un
punto di riferimento per l’antagonismo nel nostro Paese: quello non è un
centro culturale».
Andrebbe sgomberato?
«Di fronte
alla reiterazione della violenza occorre avere il coraggio di alzare le
mani e prendere atto che c’è un problema e va superato subito».
Lo Russo ha più volte ricordato che non
spetta a lui ordinare lo sgombero, anzi ha detto che se la polizia e
l’autorità giudiziaria intendono procedere «non devono chiedermi il
permesso, possono farlo quando vogliono». Perché il governo, di cui lei
fa parte, non ordina lo sgombero?
«Il primo cittadino non ha il
potere di sgomberare, è vero. Ma se Lo Russo si muove nella direzione di
un dialogo con quella realtà, diventa difficile per le istituzioni non
fare i conti con la sua posizione».
Stefano Esposito: «Zangrillo dica al governo di sgomberare Askatasuna a Torino, ma Lo Russo rescinda il patto»
L'ex senatore del Pd: «Dalla destra solo propaganda, parte della sinistra è connivente»
«Zangrillo dice che bisogna chiudere Askatasuna? Sono d’accordo, lo faccia sgomberare». Se c’è qualcuno, a sinistra, che non può essere certo tacciato di connivenza con il centro sociale di corso Regina Margherita, quel qualcuno è Stefano Esposito, 55 anni, già senatore del Pd, da sempre paladino del «Sì» all’Alta velocità Torino-Lione e fiero avversario (tanto da essere stato sette anni sotto scorta) della galassia antagonista torinese.
Esposito, ha ragione il ministro Zangrillo a rimprovera al sindaco Stefano Lo Russo di non volere lo sgombero di Askatasuna?
«Anziché
fare propaganda spicciola, Zangrillo dovrebbe andare dal suo collega
ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, e costruire insieme una
operazione congiunta di ripristino della legalità, sgomberando Casa
Pound a Roma e Askatasuna a Torino».
Un colpo a destra e uno a sinistra: pari e patta?
«Un’operazione
che sarebbe compresa a tutti i livelli e sui cui nessuno, a destra come
a sinistra, potrebbe puntare il dito. In caso contrario, ci risparmino
la loro vuota propaganda».
Ammetterà però che a sinistra c’è sempre stato un certo atteggiamento di accondiscendenza nei confronti di quel centro sociale?
«Da
una parte abbiamo avuto in questi anni una sinistra un po’ troppo
timida, e in qualche sua parte anche connivente; dall’altra parte, però,
c’è un centrodestra che pensa – secondo me sbagliando - che su questa
vicenda si possa fare propaganda per guadagnare qualche voto».
Dica la verità: lei c’è l’ha con Askatasuna per la lotta No Tav?
«No,
io non ce l’ho con loro. E non dimentichiamo che Askatasuna nasce prima
dell’innalzamento del conflitto in Valle di Susa. Io penso che quel
centro sociale rappresenti un problema non per me, ma per tutte le forze
politiche e le istituzioni: in quel luogo viene teorizzata una
strategia che prevede l’applicazione sistematica della violenza come
strumento politico di lotta contro lo Stato».
E per questo lo Stato dovrebbe intervenire?
«Già, ma per quel mi riguarda considero questa mia battaglia persa».
Si è sentito solo a combattere questa battaglia a sinistra?
«Magari
sbaglio, ma io non ricordo nessuno in questi anni che si è unito a
questa battaglia per la legalità. Le posizioni politiche di Askatasuna
sono legittime, ma se per esprimerle si usa la violenza contro la
polizia o gli operai della Torino Lione, creando un clima di tensione
continuo, ecco, allora io penso che questo non sia democraticamente
accettabile per nessuna forza politica».
Che cosa pensa del tentativo del sindaco Stefano Lo Russo di riportare alla legalità quel centro sociale?
«Non l’ho capito, sinceramente».
Non pensa che possa essere un modo per uscire dall’angolo dopo trent’anni di occupazione?
«Al
di là della mia personale contrarietà all’operazione, credo che Stefano
abbia tentato con coraggio di affrontare un tema che per decenni è
stato ignorato da tutte le amministrazioni che si sono succedute a
Palazzo Civico. Ha sottoscritto un patto per la legalizzazione di quel
luogo, un patto che prevede come condizione essenziale la rinuncia alla
violenza. Eppure, finora non è cambiato nulla. E Askatasuna continua a
essere attore protagonista di tutte le manifestazioni di piazza violente
in città».
A questo punto, non crede che Lo Russo potrebbe far valere il mancato rispetto di questa clausola?
«Io
credo di sì, lui ha ragione a dire che il problema non è l’edificio, ma
noi sappiamo che quel luogo è centrale per chi pianifica quel tipo di
metodo politico violento che poi vediamo applicato nelle piazze. Il
sindaco dovrebbe andare oltre la battuta e prendere il toro per le
corna, cominciando a richiamare i garanti di quel patto alle loro
responsabilità, visto che con quel patto la città si è impegnata, a nome
di tutti i cittadini, quelli favorevoli e quelli contrario».
Nel comitato dei garanti ci sono il
segretario della Cgil Piemonte Giorgio Airaudo, l’ex magistrato Livio
Pepino, cantanti Max Casacci e Willlie Peyote, i professori Marco
Revelli e Angelo D’Orsi…
«Non mi interessa neanche chi sono i
garanti. Ma se hanno scelto di fare da garanti, allora devono essere
chiamati a far rispettare le condizioni di quel patto. A meno che non si
voglia far passare il messaggio che in questa città c’è qualcuno più
uguale degli altri che può permettersi qualsiasi cosa, perché c’è un
certo milieu della sinistra salottiera che lo copre».
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