martedì 12 novembre 2024

pc 12 novembre - Il presidente Mattarella in Cina per confermare gli accordi commerciali e salvaguardare i profitti dei padroni

 

Prima la Meloni e adesso Mattarella, tutti e due con la scorta di padroni come il presidente di Stellantis Elkann, economisti ecc. ecc. vanno in Cina: è una lunga carovana che ripercorre la via di Marco Polo per fare accordi commerciali con l’obiettivo principale di salvaguardare i profitti dei padroni.

Mattarella, che si è portato la figlia, ci starà 5 giorni, ed è insieme al ministro degli Esteri Tajani (e c’è pure Casini!) per una visita istituzionale e sta incontrando con i maggiori esponenti del governo cinese, innanzi tutto con il presidente Xi Jinping.

L’obiettivo, insieme a tutta una serie di dichiarazioni sui temi più disparati, è stato dichiarato

pubblicamente e ripetuto anche durante la lezione magistrale tenuta da Mattarella, ed è la sostanza, come ha scritto un quotidiano, e cioè, appunto, gli accordi commerciali. E gli affari con la Cina vanno bene: gli scambi commerciali sono passati, dal 2016 al 2022, da 38 a 74 miliardi, mentre gli investimenti dei padroni italiani sono arrivati nel 2023 a 15 miliardi.

Solo il quotidiano il sole 24 ore ha però riportato i particolari di un accordo approvato, appena prima della visita in Cina del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che sblocca i profitti che i padroni italiani fanno in Cina.

Questo accordo, che dovrebbe beneficiare tutte e due le parti, Cina e Italia, e che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2025, è stato siglato nel 2019 e approvato all’unanimità in Italia in questi giorni, e prevede tra l’altro “la creazione di condizioni più favorevoli per le imprese italiane attive in Cina e un quadro normativo più stabile per gli investitori cinesi in Italia.”

Le imprese del capitalismo-imperialismo italiano in Cina sono oltre 1600, secondo il sito InforMercatiEsteri, e sfruttano oltre 170.000 lavoratori, con un giro d’affari superiore ai 27 miliardi di euro.

La questione più importante, quindi, per i padroni riguarda i profitti, in questo accordo chiamati “dividendi”: come fare a pagare meno tasse e come portarli nei loro conti in Italia senza tanti ostacoli burocratici: si parte da una “riduzione dell’aliquota di ritenuta alla fonte rispetto al Dta [regime di doppia tassazione] del 1986, che passa dal 10 al 5 per cento in caso di dividendi di investimenti con partecipazione di almeno il 25 per cento del capitale, quindi con una tassazione dimezzata sui dividendi distribuiti dopo l’entrata in vigore del nuovo accordo.”

È prevista poi “una riduzione all’8 per cento per gli interessi pagati agli istituti finanziari per prestiti di durata minima di tre anni finalizzati a progetti d’investimento, mentre gli interessi pagati o ricevuti da istituzioni pubbliche sono esenti da tassazione. Relativamente alle royalties [nella sostanza ciò che si paga per poter utilizzare un brevetto, per es.], il nuovo trattato fiscale mantiene un’aliquota standard del 10 per cento, con una riduzione al 5 per cento per le royalties su attrezzature industriali, commerciali o scientifiche. Si tratta di un risultato molto atteso dalle aziende italiane in Cina che potranno pianificare in modo diverso le politiche di reimpatrio degli utili.”

Insomma, Mattarella fa ancora una volta il commesso viaggiatore in nome e per conto del capitalismo italiano, e più che ripercorrere l’antica via della seta, percorre la via dei profitti dei padroni.

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