Sfiorano i 100 miliardi di dollari, e solo nei primi tre mesi dell’anno, i profitti dei “Magnifici 6”, e cioè, “Alphabet (Google), Amazon, Apple, Meta, Microsoft e Netflix!
“Il dato – come riporta un
articolo del Sole 24 Ore del 3 novembre dal titolo Big Tech vale 99 miliardi di
utili - implica un rialzo del 12,5% rispetto allo stesso periodo del 2023 … I ricavi sono arrivati a 458,7 miliardi
(erano stati 408,5 un anno prima), con l’incremento del 12,3%. Insomma: i
numeri mostrano l’espansione del business e della redditività netta.”
E per fare questo servono soldi,
infatti, c’è stato anche un “balzo degli investimenti, soprattutto per
dominare lo sviluppo dell’Intelligenza artificiale.” E anche qui si tratta
di miliardi: Microsoft, per esempio, 20 miliardi, di cui 14,9 riferiti ad infrastrutture
e tecnologia; anche Alphabet 13 miliardi, e Meta 9 miliardi, sempre solo
nei primi tre mesi. Sono enormi uscite di denaro che i padroni chiamano
investimenti in conto capitale e che recuperano nel tempo, “vengono
ammortizzati nel conto economico”.
Questa corsa di miliardi trova “spiegazione soprattutto nella volontà di occupare la prima classe del treno diretto verso l’Artificial intelligence (Ai). Un convoglio il quale, per marciare a piena velocità,
richiede ingenti spese sia sul fronte del software che dell’hardware e delle infrastrutture.” Più che di “volontà” correttamente si deve parlare di necessità!Si tratta di investimenti necessari e importanti e non si tratta del mondo “virtuale” come viene percepito dall’immaginario collettivo, ma di software, hardware e infrastrutture, e cioè costruzione di quantità spropositate di computer che devono stare in enormi fabbricati e consumano grandi quantità di energia, per limitarci a questi aspetti, e tutto questo significa fabbriche, produzione, lavoratori, operai…
Gli investimenti in questo
settore se da un lato fanno arrabbiare gli azionisti che non possono dividersi subito
tutto il bottino: “la Borsa – dice il giornalista - crede nell’Artificial
intelligence (Ai) quale cambio di paradigma ma vede anche che le spese ad esse
legate incidono sulla profittabilità”, dall’altro lato gli investimenti fanno
in parte da controtendenza alla crisi economica mondiale in atto.
Di questo settore beneficiano a
loro volta altri settori produttivi che ne assorbono le scoperte e le
invenzioni e le applicano ai loro prodotti, per esempio, ai telefonini o alle
auto. In questo ultimo settore in particolare proprio la mancata applicazione
delle novità elettroniche e informatiche produce sconquassi come alla Nissan che
ha dichiarato espressamente di essere rimasta indietro nell’adeguare le auto
alla terribile concorrenza mondiale, in particolare della Cina ecc. e si
prepara a licenziare 9.000 lavoratori. Mentre per i telefonini valga per tutti
il caso Nokia che di fatto non esiste più.
All’altro polo degli enormi
profitti dei ricchi padroni, quindi, c’è l’enorme povertà del proletariato e
delle masse popolari che si allarga sempre di più, ci sono i licenziamenti.
La povertà crescente vista con
gli occhi dei padroni e dei loro “economisti” che perfino se ne lamentano come
uno dei fattori della crisi è “mancanza di domanda interna”, e cioè la
impossibilità da parte della classe operaia e delle masse di assorbire, di “comprare”
buona parte della produzione.
Come si vede si parla di crisi, ma
chi ne paga le conseguenze è sempre la classe operaia alla quale tocca dare la
risposta, perché nemmeno ad essa è permesso di rimanere passiva, dato che come
dicono Marx ed Engels nel Manifesto, per continuare con la frase citata sopra,
la borghesia rivoluziona di continuo gli strumenti di produzione “quindi i rapporti
di produzione, quindi tutto l’insieme dei rapporti sociali”. Per rivoluzionare
fino in fondo questi rapporti sociali la classe operaia non può che lottare per
strappare il potere alla borghesia!
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