Nel
momento in cui ci si trova di fronte all’emergenza sanitaria e ad una
crisi economico – finanziaria che minaccia sviluppi imprevedibili di
impoverimento generale il governo aumenta le spese militari in un quadro
di inversione tra la debolezza della politica estera e la messa in
mostra di potenza bellica. Un insieme che ci riporta a tempi lontani,
quelli di un imperialismo fuori dal tempo.
Il quadro complessivo dell’economia italiana è ben disegnato dal rapporto ISTAT uscito in questi giorni:
L’attuale
scenario di previsione si basa su una serie di ipotesi che riguardano
il profilo infrannuale del commercio internazionale, dei consumi e degli
investimenti soprattutto con riferimento alla ripresa che è attesa
realizzarsi a partire dalla seconda metà dell’anno.
In
questo approfondimento, utilizzando il modello macroeconometrico
dell’Istat, MeMo-It, si offre una possibile quantificazione di uno
scenario alternativo legato a una riduzione del commercio
internazionale. Si propongono anche due ulteriori simulazioni: la prima
presenta una stima degli effetti di un incremento della spesa pubblica
in investimenti in ricerca e sviluppo (R&D) mentre la secondo valuta
l’impatto di un possibile miglioramento della disuguaglianza
sull’andamento dei consumi delle famiglie.
-
Per quanto riguarda l’evoluzione del commercio mondiale si è quantificata l’ipotesi di un rallentamento più pronunciato del commercio mondiale nel 2021 derivante dalle difficoltà connesse alla ripresa dei tradizionali processi produttivi connotati dalla presenza delle imprese italiane all’interno delle catene del valore.
L’ipotesi
è stata valutata in termini di scostamento rispetto allo scenario di
previsione presentato nel Prospetto 1. Un rallentamento del commercio
mondiale, pari a 5 punti percentuali rispetto allo scenario base
determinerebbe una flessione sia delle esportazioni (-5,3 punti
percentuali) sia, in misura minore, delle importazioni (-1,9 punti
percentuali), provocando un rallentamento della crescita del Pil pari a
1,1 punti percentuali.
Nel
2019 in Italia la quota degli investimenti totali sul Pil era pari al
18,1%, decisamente inferiore alla media dei paesi dell’area euro (21,9%)
e a quella dei principali paesi europei. Tale valore, seppure in
recupero negli ultimi anni (era 16,9% nel 2015), rimane decisamente
inferiore ai livelli del 2008 (21,3%).
Negli
stessi anni la quota degli investimenti mostrava decisi segnali di
recupero ai valori pre-crisi per l’area euro (era 22,8% nel 2008), la
Francia (23,6% lo stesso valore del 2019) e la Germania (20,3% nel 2008 e
21,7% nel 2019). La Spagna, caratterizzata dal crollo degli
investimenti in costruzione durante la crisi finanziaria del 2009
costituisce l’unica eccezione (27,8% nel 2008 e 20,0% nel 2019).
La
contenuta ripresa della spesa in investimenti italiani degli ultimi
anni è stata caratterizzata anche da una ricomposizione a favore di
quelli in macchinari e attrezzature, una evoluzione difforme rispetto ai
principali paesi europei.
Questo
comportamento ha acuito la distanza italiana rispetto agli investimenti
in proprietà intellettuale (PRI) che includono quelli in ricerca e
sviluppo e software e che risultano maggiormente legati agli aumenti di
produttività.
L’Italia
ha registrato una dinamica degli investimenti in PRI nettamente più
lenta rispetto agli altri paesi nel periodo successivo al 2007. Ponendo
uguale a 100 il valore degli investimenti in PRI a prezzi concatenati
del 2008, nel 2019 il livello dell’Italia risultava pari a 125 mentre
per l’area euro (161,2%) e per i principali paesi europei il livello
raggiunto era decisamente superiore (141,2% in Germania, 141,1 in
Francia e 136,6% in Spagna,
Un quadro complessivo che fa concludere, sempre secondo la versione dell’ISTAT: “Il
quadro previsivo presenta complessivamente diversi rischi al ribasso
connessi in parte a un ulteriore proseguimento del deterioramento delle
condizioni del commercio internazionale. Questi eventi sono considerati
come shock esogeni all’interno del modello macroeconomico e
difficilmente manovrabili all’interno delle politiche nazionali”.
Ebbene,
all’interno di questo drammatico quadro complessivo, in tempi di
isolamento fisico e di distanziamento sociale, dopo aver raccontato
favole sui finanziamenti europei cosa decide il governo italiano:
aumentare le spese militari.
Ecco di seguito (da Repubblica.it)
L’Italia
rinforza le sue missioni nella lotta al terrorismo islamico. Aumenta in
maniera significativa lo schieramento nel cuore dell’Africa, mettendolo
tutto nelle mani dei francesi. Potenzia il contingente anti-Isis in
Iraq, mandando anche una batteria di missili per contrastare
“l’assertività iraniana”. Un cambiamento rilevante per la nostra
politica estera, che ci vede diventare protagonisti nei due fronti più
caldi del pianeta, mimetizzato tra le righe e i tecnicismi in lingua
inglese delle 649 pagine del Decreto Missioni appena approvato dal
governo.
IRAQ
Dal
punto di vista politico, questo forse è la decisione più rilevante.
Contrariamente ad altri partner della coalizione anti Daesh, noi
manteniamo tutti i 1.100 militari presenti: pure gli elicotteri
schierati per proteggere i lavori alla diga di Erbil restano. Il nostro
peso quindi cresce, confermandoci come il secondo Paese occidentale dopo
gli Usa per numero di uomini e mezzi. Si parla di “nuove esigenze
operative dettate dallo sviluppo della campagna militare e del
deteriorarsi del quadro regionale che risente della crescente
assertività iraniana” che ci portano ad aumentare “le capacità di difesa
degli asset nazionali”.
Che
significa? Che i nostri reparti avranno una vocazione più combattiva.
La presenza è rivolta principalmente ad addestrare le reclute irachene e
curde, sempre includendo il mentoring ossia la presenza in azione dei
nostri soldati al fianco delle truppe locali. Più in generale però le
unità italiane saranno capaci di reagire da sole ad eventuali attacchi.
I NUOVI MISSILI
Per
questo mandiamo in Kuwait, dove si trovano i caccia e i droni
dell’Aeronautica che spiano i movimenti dell’Isis, una batteria
terra-aria di missili Samp-t. Sono un’arma che in qualche modo ha una
valenza strategica: il più avanzato sistema anti-aereo di fabbricazione
europea, in grado anche di intercettare missili balistici come quelli
lanciati dall’Iran nella rappresaglia per l’uccisione del generale
Suleimani. L’ombrello missilistico italiano avrà quindi il compito di
proteggere non solo il nostro stormo ma tutto il Kuwait da eventuali
attacchi iraniani: un’evoluzione molto rilevante della nostra presenza
nel Golfo, dove i venti di guerra non sono per niente sopiti.
IL SAHEL
Via
libera alla Task Force Takuba: elicotteri e forze speciali italiane si
aggregheranno ai francesi nella campagna contro le milizie islamiche in
Mali. Si tratterà di 200 specialisti con otto aeromobili: probabilmente
quattro elicotteri da trasporto e quattro micidiali A-129 Mangusta da
combattimento. Ufficialmente, si dovranno occupare del soccorso ai
feriti. Ma vengono indicati nel documento come “enabler” – ciò che
permette – il contrasto anti-terrorismo.
Anche
in questo caso è previsto il mentoring, ossia la presenza dei nostri
istruttori nelle azioni sul campo delle forze africane. Cambia pure il
contingente nel confinante Niger, che cresce fino alla consistenza di
295 militari, con 160 veicoli e 5 elicotteri. Finora agiva in maniera
autonoma, appoggiandosi agli americani di Africom.
Adesso
invece nel Decreto si indica il “concorso” con i francesi, integrando
le operazioni in Niger e Mali nel sostegno all’alleato. Tra l’altro, si
prevede il supporto dal cielo con droni e aerei per controllare i
movimenti dei gruppi islamici e le rotte centro-africane dei migranti.
IL GOLFO DI GUINEA
Nuova
spedizione navale per pattugliare l’aerea più colpita dai pirati, che
attaccano mercantili e petroliere, con il sospetto che contribuiscano a
finanziare gli attentatori islamici. Per un mese ci sarà una fregata,
poi affiancata dall’Andrea Doria, una delle navi più grandi della nostra
Marina Militare. Un altro fronte che viene aperto, sempre in stretto
coordinamento con Parigi.
LIBIA
L’ospedale
di Misurata, schierato nell’aeroporto più volte bombardato dai droni di
Haftar, resta ancora al suo posto. Viene incaricata la Marina di
fornirgli protezione con le sei navi di Mare Nostrum, proseguendo
l’attività di ricognizione con aerei e droni sui flussi dei migranti e
sui trafficanti di uomini. Nel decreto viene presentata una nuova
missione per la formazione della guardia costiera di Tripoli,
autorizzata dallo scorso primo maggio.
Si
prevede l’invio di una vedetta della Finanza e di otto fuoristrada
blindati per gli istruttori, che saranno scortati dai paracadutisti del
Tuscania. Tra le iniziative pianificate, la gestione di un cantiere per
riparare le imbarcazioni libiche e la costruzione di una “miniscuola”
per gli equipaggi.
Questa
missione è stata più volte contestata da alcuni parlamentari del Pd e
di Leu, nonché dalle Ong, che accusano le motovedette tripoline di avere
fatto fuoco sui migranti. Allo stesso tempo, il governo Conte la
ritiene indispensabile per il controllo delle rotte dell’immigrazione.
Resta da capire però come sarà possibile conciliare questo impegno con
la situazione di guerra civile in Libia.
LA STRATEGIA
La
lunga introduzione al Decreto presenta una caposaldo: “Il destino
dell’Europa è il destino del Mediterraneo”. Un’equazione che mira a
coinvolgere i partner nella sicurezza del Nord Africa, fondamentale per
l’Italia. Per questo ci muoviamo potenziando due poli di alleanza.
Quello con la Francia, con il coinvolgimento in Sahel.
E
quello con gli Stati Uniti, facendoci carico di un maggior impegno in
Iraq anche in funzione anti-iraniana. Il disegno, non esplicitato, è
quello di ottenere in cambio il sostegno di questi due Paesi
nell’affrontare il cuore del nostro interesse nazionale: la Libia. Dove i
successi raggiunti da Erdogan mettono sempre più in discussione il
ruolo dell’Italia.
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