Il punto non è che che la Giunta regionale della Lombardia sia stata inefficiente, ma che abbia agito nell’ambito di una logica politica che ha deliberatamente fatto a pezzi la Sanità pubblica, ha finanziato quella privata con oltre il 30% delle risorse pubbliche, che, per favorire i privati, ha desertificato la medicina di base.
Il punto è che fedele a questa linea di condotta, la Giunta Fontana ha portato la regione alla catastrofe sanitaria, e non rendendosene conto, ha tentato di gestire la drammatica
situazione con alterigia, retorica e fallimentari coup de theatre, come il flop dell’ospedalone nei padiglioni del Portello o la strage del Pio Albergo Trivulzio.
situazione con alterigia, retorica e fallimentari coup de theatre, come il flop dell’ospedalone nei padiglioni del Portello o la strage del Pio Albergo Trivulzio.
Coerentemente alla logica per cui il profitto è tutto, le associazioni degli industriali hanno caodiuvato le scelte della Regione: non sono state mai chiuse del tutto le fabbriche del bresciano e della bergamasca.
Come dice Guglielmo Forges Davanzati: “In sostanza, la malattia italiana consiste nell’avere una bassa domanda interna non compensata da una dinamica della domanda estera di importo sufficiente. La crisi sanitaria – e le guerre commerciali in atto – ovviamente amplifica questo fenomeno, giacché riduce le esportazioni nette. Va poi aggiunto che parte delle nostre esportazioni non sono altro che vendita di prodotti intermedi alla Germania o ai Paesi satelliti, così che la nostra crescita finisce per dipendere anche dagli ordinativi che arrivano dal nord d’Europa (*).”
La polemica se toccasse alla regione o al Governo prendere la decisioni di istituire “zone rosse” è una porcheria degna della più sfacciata propaganda, tanto più che Fontana ha simulato fin da principio una pantomima secessionista, come a dimostrare la superiorità organizzativa della Lega nei confronti di Roma pigrona.
Addirittura, si sono pervicacemente convocate conferenze stampa in competizione oraria con quelle della Protezione civile, che si sono poi dimostrate il palcoscenico della prodezze matematiche dell’assessore Gallera.
Dunque, Fontana è stato efficiente nel perseguire una politica sanitaria sbagliata, nell’essere completamente succube alle volontà delle aziende che volevano consegnare le commesse – per paura di perdere fatturato e ordini, che sono venute prima della salute degli operai e delle loro famiglie, e dei loro vicini -, ligio alla consegna della propagandaantigovernativa, che è stata la perniciosa linea di condotta della Lega di Salvini, di cui Fontana si sente perfettamente organico, dimenticando che un presidente di Regione rappresenta la Stato, non la leadership di un partito.
Una delle cose più nauseanti dell’emergenza Covid-19 è stata l’invenzione della categoria politica dei “Governatori del centrodestra”.
La strage avvenunta nelle Rsa, il numero di morti a casa, tra atroci sofferenze, perché non c’erano posti letto, sono reati di cui Fontana forse risponderà davanti ai giudici. Dovrebbe farlo anche davanti alla sua coscienza, ma questo è un problema – e che problema! – tutto suo.
Ma il fatto è che la gestione dell’emergenza ha messo a nudo che non solo il famoso “modello Lombardia” era un bluff, un trucco per spillare soldi sulla salute dei cittadini, e riceverne dalle casse della Regione, ma che tutta la Sanità pubblica italiana ha subìto da anni l’attacco delle privatizzazioni non solo delle prestazioni, ma anche del personale medico e paramedico, reso precario. Quando muoiono insieme pazienti, medici e infermieri significa che il sistema da sbagliato passa a criminale.
Ecco allora che puntare il dito contro la Giunta Fontana è accusare quella classe dirigente che in Italia ha gestito la privatizzazione della Sanità pubblica, è accusare le politiche neoliberiste, che hanno tagliato welfare, schiacciato i salari, fatto a pezzi i diritti, prodotto disoccupazione e lavoro nero, è accusare l’imprenditoria italiana per l’ingorda miopia.
L’uscita dalla pandemia è in realtà l’ingresso in una nuova durissima crisi economica. “L’economia italiana – dice ancora Guglielmo Forges Davanzati – arriva alla pandemia del coronavirus già in recessione e soprattutto in una traiettoria di declino che data almeno dalla svolta dei primi anni novanta. Si tratta di un arco temporale lungo, caratterizzato da una continua caduta della domanda interna e del tasso di crescita della produttività del lavoro. E si tratta di una stagione caratterizzata dalla sostanziale assenza di politiche industriali e dalla fiducia nelle privatizzazioni e nella deregolamentazione dei mercati, in particolare del mercato del lavoro.”
La novità è che la risposta non si cerca più nell’austerity, come è avvenuto con la crisi del 2008. Ma i consistenti finanziamenti pubblici annunciati non possono rimanere nella mani di chi ha condotto l’economia e la società di nuovo in un baratro.
Il protagonismo delle istanze della base della società, cioè della classe lavoratrice, del precariato, delle donne, dei giovani disoccupati o malpagati, ma anche le intelligenze della ricerca scientifica, dell’ambientalismo, della creatività sono condizioni essenziali per svoltare la lunga gelida stagione del liberismo.
Va organizzata e dispiegata una forte iniziativa politica per spingere a una corretta, lungimirante distribuzione dei finanziamenti pubblici promessi.
Mentre puntiamo il dito contro i responsabili, dobbiamo ricucire l’ordito di una nuova prospettiva economica e sociale, il tessuto di una nuova visione della politica.
(*) G. Forges Davanzati, Il rilancio della domanda interna per uscire dalla recessione, “Nuovo Quotidiano di Puglia”, 6 giugno 2020
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