martedì 6 febbraio 2024

pc 6 febbraio - Oggi più che mai è necessario leggere questo illuminante scritto di Marx "Sulla questione ebraica"

esso ci fornisce armi teoriche, filosofiche, per comprendere anche oggi le basi del sionismo

Ne riprendiamo l'ultima parte (ma invitiamo a leggere tutto il testo)

"...Cerchiamo il segreto dell'ebreo non nella sua religione, bensì cerchiamo il segreto della religione nell'ebreo reale.
Qual è il fondamento mondano del giudaismo? Il bisogno pratico, l'egoismo.
Qual è il culto mondano dell'ebreo? Il traffico. Qual è il suo Dio mondano? Il denaro.
Ebbene. L'emancipazione dal traffico e dal denaro, dunque dal giudaismo pratico, reale, sarebbe
l'autoemancipazione del nostro tempo.
Un'organizzazione della società che eliminasse i presupposti del traffico, dunque la possibilità del traffico, renderebbe impossibile l'ebreo. La sua coscienza religiosa si dissolverebbe come un vapore inconsistente nella vitale atmosfera reale della società. D'altro lato: se l'ebreo riconosce come non valida questa sua essenza pratica e lavora per la sua eliminazione, egli si svincola dal suo sviluppo passato verso l'emancipazione umana senz'altro, e si volge contro la più alta espressione pratica dell'autoestraneazione umana.
Noi riconosciamo dunque nel giudaismo un universale elemento attuale antisociale, il quale, attraverso lo sviluppo storico, cui gli ebrei per questo lato cattivo hanno collaborato con zelo, venne sospinto fino al suo presente vertice, un vertice sul quale deve necessariamente dissolversi.
L'emancipazione degli ebrei nel suo significato ultimo è la emancipazione dell'umanità dal giudaismo.
L'ebreo si è già emancipato in modo giudaico. 
"L'ebreo che, ad es. a Vienna, è solo tollerato, con la sua potenza finanziaria determina il destino di tutto l'Impero. L'ebreo, che nel più piccolo Stato tedesco può essere privo di diritti, decide delle sorti dell'Europa. Mentre le corporazioni e i mestieri sono chiusi all'ebreo o non gli sono ancora favorevoli, l'arditezza dell'industria si fa beffe della ostinatezza degli istituti medioevali" (B. Bauer, Judenfrage, p. 114).
Questo non è un fatto isolato. L'ebreo si è emancipato in modo giudaico non solo in quanto si è appropriato della potenza del denaro, ma altresì in quanto il denaro per mezzo di lui e senza di lui è diventato una potenza mondiale, e lo spirito pratico dell'ebreo, lo spirito pratico dei popoli cristiani. Gli ebrei si sono emancipati nella misura in cui i cristiani sono diventati ebrei.

"Il pio e politicamente libero abitante della Nuova Inghilterra", riferisce ad es. il colonnello Hamilton, "è una specie di Laocoonte, il quale non fa neppure il più piccolo sforzo per liberarsi dai serpenti che lo avvincono. Mammona è il loro idolo, essi lo pregano non soltanto con le loro labbra, ma con tutte le forze del loro corpo e del loro animo. La terra ai loro occhi altro non è se non una Borsa, ed essi sono convinti di non avere quaggiù altra destinazione che quella di diventare più ricchi dei loro vicini. Il traffico si è impossessato di tutti i loro pensieri, lo scambio degli oggetti forma il loro unico svago. Quando viaggiano, si portano in giro, per così dire, le loro merci e il loro banco sulla schiena, e non parlano che di interessi e di guadagno. Se per un istante perdono d'occhio i loro affari ciò avviene soltanto per ficcare il naso in quelli degli altri".

Invero la signoria pratica del giudaismo sul mondo cristiano ha raggiunto nel Nordamerica l'espressione non equivoca, normale, così che l'annunzio stesso dei Vangelo, la predicazione cristiana è divenuto un articolo di commercio, e il commerciante fallito traffica in Vangelo come l'evangelista arricchito traffica negli affari.
"Colui che vedete a capo d'una rispettabile congregazione ha cominciato col fare il commerciante; essendogli andato male il commercio s'è fatto ministro del culto; un altro ha debuttato col sacerdozio, ma appena ha avuto a disposizione una certa somma di denaro ha abbandonato il pulpito per i traffici: Agli occhi di moltissimi il ministero religioso è una vera e propria carriera industriale" (Beaumont, op. cit., pp. 185, 186).

Secondo Bauer, 
"è una situazione ipocrita, che in teoria all'ebreo vengano rifiutati i diritti politici, mentre in
pratica egli possiede un potere enorme ed esercita en gros la sua influenza politica, che en détail gli viene ridotta
" (Judenfrage, p. 114).

La contraddizione in cui si trova la potenza politica pratica dell'ebreo con i suoi diritti politici, è la
contraddizione della politica e della potenza del denaro in generale. Mentre la prima sta idealmente al di sopra della seconda, nei fatti ne è divenuta la serva.
Il giudaismo si è mantenuto a lato del cristianesimo non soltanto come critica religiosa del cristianesimo, non soltanto come dubbio vivente sulla nascita religiosa del cristianesimo, ma parimenti perché lo spirito pratico-giudaico, perché il giudaismo si è mantenuto nella società cristiana, anzi vi ha ottenuto la sua massima perfezione. L'ebreo, che sta nella società civile come membro particolare, è solo la manifestazione particolare dei giudaismo della società civile.
Il giudaismo si è conservato non già malgrado la storia, bensì ad opera della storia.
Dalle sue proprie viscere la società civile genera continuamente l'ebreo.
Qual era in sé e per sé il fondamento della religione ebraica? Il bisogno pratico, l'egoismo.
Il monoteismo dell'ebreo è perciò, nella realtà, il politeismo dei molti bisogni, un politeismo che persino della latrina fa un oggetto della legge divina. Il bisogno pratico, l'egoismo, è il principio della società civile, ed emerge come tale puramente, non appena la società civile abbia completamente partorito lo Stato politico. Il Dio del bisogno pratico e dell'egoismo è il denaro.
Il denaro è il geloso Dio d'Israele, di fronte al quale nessun altro Dio può esistere. Il denaro avvilisce tutti gli Dei dell'uomo e li trasforma in una merce. Il denaro é il valore universale: per sé costituito, di tutte le cose. Esso ha perciò spogliato il mondo intero, il mondo dell'uomo e la natura, del loro valore peculiare. Il denaro è l'essenza, fatta estranea all'uomo, del suo lavoro e della sua esistenza, e questa essenza estranea lo domina, ed egli l'adora.
Il Dio degli ebrei si è mondanizzato, è divenuto un Dio mondano. La cambiale è il Dio reale dell'ebreo. Il suo Dio è soltanto la cambiale illusoria.
La concezione che si acquista della natura sotto la signoria della proprietà privata e del denaro, è il reale disprezzo, la pratica degradazione della natura, che esiste bensì nella religione ebraica, ma esiste soltanto nell'immaginazione.
In questo senso Tommaso Münzer dichiara insopportabile "che tutte le creature siano diventate proprietà, i pesci nell'acqua, gli uccelli nell'aria, le piante sulla terra: anche la creatura dovrebbe diventar libera".

Ciò che si trova astrattamente nella religione ebraica, il disprezzo della teoria, dell'arte, della storia, dell'uomo come fine a se stesso, è il reale, consapevole punto di partenza, la virtù dell'uomo del denaro. Lo stesso rapporto sessuale, il rapporto tra uomo e donna ecc., diviene un oggetto di commercio! La donna è oggetto di traffico.
La chimerica nazionalità dell'ebreo è la nazionalità del commerciante, in generale dell'uomo del denaro.
La legge senza patria dell'ebreo è soltanto la caricatura religiosa della moralità senza patria e del
diritto in generale, dei riti soltanto formali, dei quali si circonda il mondo dell'egoismo.
Anche qui il rapporto più alto dell'uomo è il rapporto legale, il rapporto verso le leggi, che per lui valgono non perché siano le leggi della sua propria volontà ed essenza, ma perché esse dominano e perché la loro trasgressione viene vendicata.
Il gesuitismo giudaico, il medesimo gesuitismo pratico che Bauer indica nel Talmud, è il rapporto del mondo dell'interesse individuale con le leggi che lo dominano, la cui astuta elusione è l'arte suprema di questo mondo.
Invero, il movimento di questo mondo entro le sue leggi è necessariamente una costante soppressione della legge.
Il giudaismo, come religione, non ha potuto, da un punto di vista teorico, svilupparsi ulteriormente, poiché la concezione del bisogno pratico è per sua natura limitata e si esaurisce in pochi tratti.
La religione del bisogno pratico, per la sua essenza, poteva trovare il compimento non nella teoria ma
soltanto nella prassi, appunto perché la sua verità è la prassi.
Il giudaismo non poteva creare un nuovo mondo; esso poteva solo attirare nell'ambito della propria attività le nuove creazioni ed i nuovi rapporti del mondo, perché il bisogno pratico, il cui intelletto è l'egoismo, si comporta passivamente e non si amplia a piacere, ma si trova ampliato con il progressivo sviluppo delle condizioni sociali.
Il giudaismo raggiunge il suo vertice col perfezionamento della società civile; ma la società civile si compie soltanto nel mondo cristiano. Soltanto sotto la signoria del cristianesimo, che rende esteriori all'uomo tutti i rapporti nazionali, naturali, etici, teoretici, la società civile poteva separarsi completamente dalla vita dello Stato, lacerare tutti i nostri legami dell'uomo con la specie, porre l'egoismo, il bisogno particolaristico, al posto di questi legami con la specie, dissolvere il mondo degli uomini in un mondo di individui atomistici, ostilmente contrapposti gli uni agli altri.
Il cristianesimo è scaturito dal giudaismo. Nel giudaismo esso si è nuovamente dissolto.
Il cristiano era fin da principio l'ebreo teorizzante, l'ebreo è perciò il cristiano pratico, ed il cristiano pratico è diventato nuovamente ebreo.
Solo in apparenza il cristianesimo aveva superato il giudaismo. Esso era troppo nobile, troppo spiritualistico per rimuovere la grossolanità del bisogno pratico in altro modo che mediante l'elevazione nel puro aere.
Il cristianesimo è il pensiero sublime del giudaismo, il giudaismo è la piatta applicazione del cristianesimo, ma questa applicazione poteva diventare universale soltanto dopo che il cristianesimo in quanto religione perfetta avesse compiuto teoricamente l'autoestraneazione dell'uomo da sé e dalla natura.
Solo allora il giudaismo poteva pervenire alla signoria universale e fare dell'uomo espropriato, della natura espropriata oggetti alienabili, vendibili, caduti sotto la schiavitù del bisogno egoistico, del traffico.
L'alienazione è la pratica dell'espropriazione. Come l'uomo, fino a che è impigliato nella religione, sa
oggettivare il proprio essere soltanto facendone un estraneo essere fantastico, così sotto il dominio del
bisogno egoistico egli può operare praticamente, praticamente produrre oggetti, soltanto ponendo i propri prodotti, come la propria attività, sotto il dominio di un essere estraneo, e conferendo ad essi il significato di un essere estraneo: il denaro.
Il cristiano egoismo della beatitudine nella sua pratica compiuta si capovolge necessariamente nell'egoismo fisico dell'ebreo, il bisogno celeste in quello terreno, il soggettivismo nell'egoismo. Noi spieghiamo la tenacia dell'ebreo non con la sua religione, ma piuttosto col fondamento umano della sua religione, il bisogno pratico, l'egoismo.
Poiché l'essenza reale dell'ebreo nella società civile si è universalmente realizzata, mondanizzata, la società civile non poteva convincere l'ebreo della irrealtà della sua essenza religiosa, che è appunto soltanto la concezione ideale del bisogno pratico. Non quindi nel Pentateuco o nel Talmud, ma nella società odierna noi troviamo l'essenza dell'ebreo odierno, non come essere astratto ma come essere supremamente empirico, non soltanto come limitatezza dell'ebreo, ma come limitatezza giudaica della società.
Non appena la società perverrà a sopprimere l'essenza empirica del giudaismo, il traffico e i suoi presupposti, l'ebreo diventerà impossibile, perché la sua coscienza non avrà più alcun oggetto, perché la base soggettiva dei giudaismo, il bisogno pratico si umanizzerà, perché sarà abolito il conflitto dell'esistenza individuale sensibile con l'esistenza dell'uomo come specie.
L'emancipazione sociale dell'ebreo è l'emancipazione della società dal giudaismo

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