domenica 4 febbraio 2024

pc 4 febbraio - Il matrimonio fra sionismo e imperialismo - un contributo

Il matrimonio fra sionismo e imperialismo

Marc Vandepitte | iacenter.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

11/01/2024

L'autore è un antimperialista belga, collaboratore di Investig'action, Rebelion, Solidaire e altre riviste. Ha contribuito con questo articolo al meeting per il Centenario di Lenin del 21 gennaio a New York.

Il genocidio che l'esercito israeliano sta perpetrando oggi a Gaza non è un errore, ma la logica conseguenza di un progetto imperialista e coloniale nato alla fine del XIX secolo: Il sionismo. Per comprendere correttamente ciò che sta accadendo oggi, è necessario capire le origini e le poste in gioco di questa ideologia e movimento.

La questione ebraica

Da sempre, il popolo ebraico vive disperso in tutto il mondo. Anche secoli prima della caduta di Gerusalemme in mano all'Impero Romano (70 d.C.), 3,5 milioni di ebrei vivevano in diaspora, mentre solo mezzo milione risiedeva in Palestina.

La situazione delle varie comunità ebraiche nella diaspora era molto diversa. Alcune erano prospere e libere. In quelle regioni, i notabili ebrei occupavano persino posizioni di autorità. In altre, gli ebrei vivevano ai margini della società, erano oppressi ed erano facilmente oggetto di antisemitismo.

Alla fine del XIX secolo, il capitalismo era in grave crisi. Ampie fasce della popolazione erano impoverite. Per promuovere l'unità nazionale e distogliere l'attenzione dalla crisi, l'establishment aveva bisogno di un capro espiatorio, e all'epoca erano gli ebrei. Ci furono focolai di antisemitismo sia nell'Europa orientale che in quella occidentale. La Russia zarista fu scossa da brutali pogrom [antiebraici] nel 1881, e in Francia ci fu l'affare Dreyfus alla fine del XIX secolo.

In quel periodo sono state formulate due risposte a questa ondata antisemita. Per gli ebrei progressisti come Karl Marx e Moses Mendelsohn, la battaglia doveva essere condotta sul campo contro tutto ciò che era reazionario. Altri, come Theodor Herzl, il fondatore del sionismo, scelsero di fuggire. Secondo loro, i problemi degli ebrei potevano essere risolti solo in uno Stato ebraico tutto loro. Questo fu subito il fulcro del sionismo.

Scarso sostegno all'interno della popolazione ebraica

Inizialmente furono prese in considerazione diverse località per la creazione di uno Stato ebraico, tra cui Uganda, Kenya, Argentina e Palestina. Alla fine la scelta cadde sulla Palestina. Questo Paese aveva il vantaggio di poter utilizzare i miti della Torah per mobilitare gli ebrei di tutto il mondo. Inoltre - come vedremo più avanti - questo piano aveva il pieno sostegno dell'imperialismo britannico.

Il sionismo fu creato da una manciata di intellettuali ebrei. Nelle sue fasi iniziali ebbe un sostegno molto limitato. La feroce opposizione a questa nuova ideologia proveniva da diversi circoli ebraici. Il movimento dell'ebraismo riformato, gli ebrei ortodossi e il movimento socialista si opposero all'idea di uno Stato ebraico.

Nel XIX secolo, la borghesia ebraica era per lo più ben integrata nella società borghese e nell'economia capitalista. Pertanto, si concentrava sull'assimilazione piuttosto che sulla segregazione. Trovava insensata l'idea di uno Stato propriamente ebraico, non era affatto in linea con i suoi interessi. Sotto l'influenza dell'Internazionale Comunista, i lavoratori ebrei avevano poco entusiasmo per il sionismo.

Fu soprattutto tra la piccola borghesia e più specificamente tra gli intellettuali che il sionismo emerse e trovò un seguito. La crisi del capitalismo colpì duramente la classe media e all'interno di questo sistema c'erano poche prospettive di risolvere i loro problemi.

In sintesi, nei primi anni, il sionismo era sostenuto principalmente da intellettuali piccolo-borghesi e rappresentava solo un piccolo movimento di minoranza all'interno dell'ebraismo. Prima della Prima guerra mondiale, il movimento sionista non era riuscito a diventare un attore importante all'interno dell'ebraismo.

La migrazione in Palestina auspicata dai sionisti era di dimensioni altrettanto piccole. Tra il 1881 e il 1925, quasi quattro milioni di ebrei emigrarono dall'Europa. Ma solo l'1% di loro cercò rifugio in Palestina all'epoca.

Il sostegno imperialista e nazista

Se i sionisti ricevevano scarso sostegno dagli ambienti ebraici, potevano contare sulla Gran Bretagna. Alla fine del XIX secolo, l'imperialismo era in pieno sviluppo e uno Stato ebraico in Palestina faceva comodo agli imperialisti britannici, per diverse ragioni. 
Gli inglesi volevano il controllo del Vicino Oriente. Uno Stato ebraico in quella regione, sotto l'influenza britannica, poteva essere molto utile a questo proposito. La Palestina è strategicamente molto importante per la sua vicinanza al Canale di Suez (aperto dal 1869), che fornisce l'accesso alla via più breve per l'Asia. Dal 1935 in poi, il petrolio ha giocato un fattore altrettanto importante. La fornitura di petrolio dall'Iraq al Mar Mediterraneo passava anche attraverso la Palestina.

Alla fine del XIX secolo, l'Impero Ottomano si stava esaurendo e in questo vuoto c'era la possibilità concreta di formare uno Stato arabo grande e forte. All'inizio del XIX secolo, l'egiziano [Pascià ottomano] Muhammad Ali aveva già tentato di costruire un forte impero arabo che, oltre all'Egitto, comprendesse anche la Siria e parti del Sudan. Con la creazione di uno Stato ebraico, gli inglesi volevano impedirlo.

Infine, con la creazione di uno Stato ebraico, gli inglesi volevano impedire alla Francia, un importante rivale imperialista, di impadronirsi di questa regione strategica. Sotto Napoleone (Bonaparte), la Francia aveva già tentato di annettere l'Egitto e la Siria.

Nel 1838, gli inglesi aprirono il loro primo consolato a Gerusalemme. La missione prevedeva di incoraggiare informalmente gli ebrei a venire in Palestina, promettendo di proteggerli. Quasi 60 anni prima che i sionisti ebrei tenessero i loro congressi, gli inglesi non solo apprezzavano l'idea di insediare gli ebrei qui, ma avevano già iniziato ad attuarla.

La Dichiarazione Balfour esprimeva il piano dell'imperialismo britannico di dividere e conquistare la regione della Palestina, promuovendo il sionismo.



Nel 1917, il Ministro degli Esteri britannico Arthur James Balfour scrisse a Lionel Walter Rothschild, membro dell'importante famiglia bancaria ebrea Rothschild in Gran Bretagna. Si trattava di una lettera al movimento sionista, che sarebbe passata alla storia come la Dichiarazione Balfour. In essa si affermava che il governo britannico era favorevole alla creazione di un "focolare nazionale per il popolo ebraico in Palestina" e che avrebbe fatto del suo meglio per facilitare questo progetto.

Le aspirazioni dei sionisti piccolo-borghesi coincidevano con gli interessi geopolitici dell'imperialismo britannico. In larga misura, il sionismo è un prodotto delle grandi imprese britanniche. In ogni caso, senza la Gran Bretagna il progetto sionista non avrebbe mai potuto svilupparsi o raggiungere i suoi obiettivi in Palestina.

Ma non era solo dall'imperialismo britannico che i sionisti cercavano sostegno. Ad esempio, i sionisti tedeschi conclusero diversi accordi di cooperazione con i nazisti. Gli ebrei tedeschi ricchi potevano emigrare in Palestina insieme a [parte del] loro capitale. Con quel capitale ebraico-tedesco, i sionisti in Palestina erano in grado di sviluppare l'infrastruttura economica per ricevere gli ebrei dalla Germania. In cambio, i sionisti tedeschi ruppero il boicottaggio che la maggior parte delle organizzazioni ebraiche in Europa e negli Stati Uniti avevano dichiarato contro il commercio di beni tedeschi.

In Palestina, l'Agenzia Ebraica istituì una commissione per indagare sui problemi degli ebrei in Germania. David Ben-Gurion, [che divenne] il primo Primo ministro di Israele, scrisse a questo proposito: "Non è compito della commissione difendere i diritti degli ebrei in Germania. La commissione dovrebbe interessarsi al problema degli ebrei tedeschi solo nella misura in cui possono emigrare in Palestina".

Grazie a questi accordi, gli ebrei tedeschi "costituivano la classe superiore in Israele" all'epoca.

Dopo la Seconda guerra mondiale, il ruolo di patrocinatore e facilitatore sarebbe stato assunto principalmente dagli Stati Uniti, con l'Europa come socio minore.

Progetto coloniale

Gli ebrei possono essere stati un popolo senza Paese, ma la Palestina non era certamente un Paese senza popolo. Alla fine del XIX secolo, quasi mezzo milione di Palestinesi viveva tra il Giordano e il Mar Mediterraneo. Per trasformare l'area in uno Stato "ebraico", era necessario eliminare la popolazione indigena.

In altre parole, il progetto sosteneva il colonialismo dei coloni, simile a quello che gli europei avevano praticato in precedenza in Sud e Nord America, Sud Africa, Australia e Nuova Zelanda.

Tutti i progetti di insediamento coloniale sono guidati dalla cosiddetta "logica dell'eliminazione", ovvero la logica di far scomparire il più possibile la popolazione nativa. La storia di cui sopra dimostra che questa logica porta inevitabilmente alla disumanizzazione, al disconoscimento, alla pulizia etnica e al genocidio.

Fin dall'inizio, gli obiettivi dei sionisti erano chiari, anche se all'inizio non li dichiararono apertamente. Nel 1895, Theodor Herzl scrisse nel suo diario: "Cercheremo di spingere la popolazione squattrinata oltre il confine, procurandole un lavoro nei Paesi di transito e negandole il lavoro nel nostro Paese. (...) Sia il processo di espropriazione che l'allontanamento dei poveri devono essere eseguiti con discrezione e circospezione".

E non erano solo parole. I sionisti acquistarono il maggior numero possibile di terreni, costruirono la loro struttura statale parallela e crearono milizie.

Gradualmente, la leadership sionista mostrò meno diffidenza e si schierò apertamente a favore di uno Stato ebraico esclusivo. Nel 1940, Josef Weitz, capo del Dipartimento per la colonizzazione dell'Organizzazione sionista mondiale, si sbilanciò un po' di più: "Deve essere chiaro che non c'è spazio nel Paese per entrambi i popoli [arabo ed ebraico]. (...) Se gli arabi [palestinesi] lo lasciano, il Paese diventerà ampio e spazioso per noi. (... ) Qui non c'è spazio per i compromessi.

"Non c'è altro modo che trasferire gli arabi [palestinesi] da qui ai Paesi vicini, trasferirli tutti, tranne forse [gli arabi palestinesi di] Betlemme, Nazareth e Gerusalemme vecchia. Non un solo villaggio deve essere lasciato, non una sola tribù [beduina]".

Anche lo statuto del Likud, il partito di Netanyahu, lascia poco all'immaginazione. Si legge: "Il diritto del popolo ebraico alla terra di Israele è eterno e indiscutibile" e "tra il Mare e il Giordano ci sarà solo la sovranità israeliana".

Si tratta di un colonialismo di popolamento puro e semplice, che tra l'altro si adattava perfettamente allo spirito dell'epoca, caratterizzata dalla spinta colonizzatrice dei Paesi europei. Alla fine del XIX secolo, quasi tutte le aree non colonizzate in Asia e Africa furono invase e colonizzate.

Ad esempio, nel 1870 solo il 10% dell'Africa era di proprietà delle potenze europee. Questo dato sale al 90% nel periodo che precede la Prima guerra mondiale. Alla Conferenza di Berlino (1885), l'Africa fu semplicemente divisa tra i colonizzatori europei.

Il sionismo si inserisce in questo quadro e può, in altre parole, essere considerato come l'ultimo progetto coloniale europeo.

Soluzione a due Stati?

Il carattere coloniale aggressivo è diventato subito chiaro con la proclamazione e la formazione dello Stato ebraico nel 1948. Questo fu accompagnato dalla Nakba ("catastrofe" in arabo): un massacro di massa della popolazione palestinese, la distruzione di 500 villaggi e la deportazione di circa la metà della popolazione palestinese. Una risoluzione delle Nazioni Unite prevedeva il ritorno di tutti i palestinesi espulsi, ma non fu mai rispettata.

Da quel momento in poi si trattò di cercare di ottenere il minor numero possibile di palestinesi nella più grande area annessa possibile. La Guerra dei Sei Giorni del 1967 quadruplicò il territorio di Israele. Occupò la Striscia di Gaza, la Penisola del Sinai (restituita all'Egitto nel 1979), la Cisgiordania (compresa Gerusalemme est) e le Alture del Golan (sottratte alla Siria).

Gli Accordi di Oslo del 1993 e del 1995 hanno rappresentato un ulteriore consolidamento del progetto coloniale. Questi accordi erano destinati a risolvere il conflitto israelo-palestinese. Prevedevano il cosiddetto autogoverno palestinese e avrebbero aperto la strada alla creazione di uno Stato palestinese.

Ma questo autogoverno era una presa in giro. Infatti, questa "soluzione a due Stati" non era altro che una tattica diversiva che ha permesso a Israele di continuare a espropriare i palestinesi. La pace era solo un pretesto per Israele per guadagnare tempo e continuare a costruire insediamenti ebraici.

E questo è successo. Mezzo milione di coloni vivono oggi nella Cisgiordania occupata e il numero è in costante aumento. La vita dei palestinesi è resa il più difficile possibile: vengono umiliati, molestati e derubati. Migliaia di loro, compresi i bambini, sono stati rapiti e trascorrono anni nelle carceri di Israele.

Ma questo è niente in confronto alla Striscia di Gaza. Lì, [2,2 milioni] di residenti sono stati sottoposti a un blocco totale dal 2007 e la Striscia è stata ridotta a un campo di concentramento.

Oggi, rimane solo una piccola parte della Palestina originaria

Completamento o fine del progetto sionista/imperialista?

L'attacco a sorpresa da Gaza e il successivo assedio della Striscia rappresentano un punto di svolta nel progetto sionista. Un ritorno allo stato precedente delle cose è impossibile.

L'esercito israeliano si sta dedicando a una violenza primitiva e barbara, basata sulla tecnologia più moderna, compresa l'intelligenza artificiale. Ufficialmente, l'obiettivo è eliminare Hamas. Ma la gravità e la spietatezza dell'operazione rivelano che si tratta di una scusa per rendere l'area inabitabile e per deportare completamente la popolazione.

Secondo il filosofo antisionista Moshé Machover, anch'egli ebreo, che vive in Israele, questo piano esiste da molto tempo. Nel 2014 ha detto: "[Il regime israeliano] in realtà sta aspettando il momento in cui potranno essere espulsi in modo permanente nei Paesi vicini. Questo sarà possibile solo durante una guerra su larga scala e temo che Israele sia pronto a provocarla".

Sono già trapelati diversi piani per deportare l'intera popolazione di Gaza all'estero. Il Ministro dell'Agricoltura Avi Dichter parla apertamente di "una nuova 'Nakba'".

Non c'è dubbio che l'attuale guerra sia pienamente in linea con l'antico sogno sionista di dominare la regione "dal mare al Giordano".

L'appoggio imperialista a questo sogno è stato chiarissimo quando, poco dopo il 7 ottobre, i leader statunitensi ed europei si sono precipitati a Tel Aviv per sostenere il governo israeliano. Gli Stati Uniti hanno anche inviato immediatamente due navi da guerra, carichi di munizioni e fornito 14,5 miliardi di dollari di aiuti.

Il motivo per cui Israele è così importante per gli Stati Uniti è stato chiaramente affermato da Robert F. Kennedy Jr, il nipote politicamente incoerente del Presidente John F. Kennedy: "Israele è fondamentale per gli Stati Uniti. Il motivo per cui è fondamentale è che è un baluardo per noi in Medio Oriente. È quasi come avere una portaerei in Medio Oriente. È il nostro più antico alleato, da 75 anni".

Ma, per tanta ferocia, i sionisti pagano un prezzo. Come dice l'antropologa libanese Leila Ghanem, Israele sta gradualmente diventando "il Paese più odiato al mondo".

Dall'inizio della guerra, milioni di persone in tutto il mondo sono scese in piazza contro il genocidio a Gaza, i sindacati hanno interrotto le consegne di armi e i funzionari e i soldati israeliani sono stati accusati nei tribunali internazionali e nazionali. Le relazioni migliorate che Tel Aviv aveva con i Paesi della regione sono a rischio.

Per i popoli del Sud globale, il progetto sionista è un anacronismo dei nostri tempi e non ha futuro. L'"eccezione israeliana" deve finire. Il popolo palestinese oppresso, soggetto al terrore ma che resiste a questo "ultimo progetto coloniale", ha acquisito un grande valore simbolico [per le persone che affrontano l'imperialismo].

A seguito di quanto sta accadendo a Gaza, [l'ex Presidente degli Stati Uniti Barack] Obama avverte di una nuova ondata di antisemitismo. È l'ironia della storia: il sionismo, che voleva essere una soluzione all'antisemitismo, ora è esso stesso la causa dell'antisemitismo.

Anche l'imperialismo è in cattive acque. Il sostegno di fatto all'orrore di Gaza smaschera la retorica sui diritti umani e la democrazia. Il contrasto con cui l'Occidente ha trattato la Russia dopo l'invasione dell'Ucraina rispetto al suo sostegno a Israele oggi non potrebbe essere più grande.

La guerra contro Gaza sta accelerando l'inclinazione delle relazioni Nord-Sud. L'Occidente sta diventando sempre più isolato e ha perso definitivamente la sua credibilità tra i Paesi del Sud globale.

Vorrei concludere con le parole di Leila Ghanem: "La battaglia per Gaza è la battaglia di tutti noi". ... Le parole di Miguel Urbano risuonano ancora nelle mie orecchie: 'Dove l'imperialismo concentra le sue forze militari, politiche, economiche e mediatiche, coloro che lo affrontano lo fanno in nome di tutta l'umanità'. La caduta di Gaza sarà la caduta di tutti noi di fronte alla barbarie capitalista. Il merito di questa solidarietà è di aver puntato il dito contro il nostro nemico di classe".

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