Eternit bis: «Vorremmo Schmidheiny in un letto come nostro padre»
Lo sfogo dei figli di Giulio Testore, l'ex operaio della Eternit di Cavagnolo morto nel dicembre 2008 a 82 anni per mesotelioma pleurico
«Vorremmo vedere Schmidheiny in un
letto con l'ossigeno alla bocca, proprio come nostro padre». Così i cinque figli
di Giulio Testore, l'ex operaio della Eternit di Cavagnolo morto nel dicembre
2008 a 82 anni per mesotelioma pleurico, a margine della prima udienza del
processo torinese «Eternit bis», che vede come unico imputato il magnate
svizzero Stephan Schmidheiny, accusato di omicidio colposo. Testore lavorò
all'Eternit, reparto mescole, per ventisette anni, fino al 1982, quando la
fabbrica, senza preavviso, chiuse i battenti.
«Ricordo che mio padre faceva fatica a
respirare - racconta Laura, una delle figlie - e spesso sputava sangue. Quando
tornava dal lavoro appendeva la tuta sull'attaccapanni, era oleosa e piena di
polvere, anche noi per anni abbiamo respirato le fibre di amianto e ora abbiamo
paura di ammalarci». Stamattina in aula gli avvocati di parte civile hanno
ricordato che nel 2020 si potrebbero registrare nuovi casi di mesotelioma,
malattia che si manifesta dopo decenni.
Il processo torinese Eternit bis che
riguarda le morti di due operai dello stabilimento di Cavagnolo è cominciato con
un botta e risposta sulla costituzione delle parti civili. La difesa del magnate
svizzero, unico imputato, accusato di omicidio colposo, si è opposta alla
costituzione a parte civile di alcune associazioni, fra cui Ona (Organizzazione
nazionale amianto) e Afeva (Associazione famigliari e vittime amianto), che
sarebbero nate dopo il verificarsi dei fatti contestati e non avrebbero alcun
collegamento territoriale con Cavagnolo. «La data di nascita degli enti e la
loro ubicazione è irrilevante» ha replicato il pm Gianfranco Colace, secondo cui
«in un processo come questo la presenza della parte civile non altera i rapporti
di equilibrio tra accusa e difesa».
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