Torna
a divampare la polemica in Turchia a proposito del sostegno del governo
e degli apparati dello stato turco ai tagliagole fondamentalisti dello
Stato Islamico. E di nuovo, come già più volte in passato, non si tratta
di voci ma di prove. A ricordare il ruolo del governo Erdogan nel
dilagare dei jihadisti in Iraq e Siria è stato il quotidiano turco
Cumhuriyet che oggi ha pubblicato alcune fotografie e un video che
accreditano la tesi, finora smentita con veemenza dal governo islamista e
liberista dell’Akp, che all’inizio del 2014 ci siano state consegne di
armi ai fondamentalisti siriani che stanno seminando morte e distruzione
in numerosi paesi dell’area.
Secondo il quotidiano le immagini pubblicate sono quelle riprese da polizia e gendarmeria durante un controllo alla frontiera con la Siria, nelle province di Hatay e Adana, che portarono poi al sequestro del carico di un camion, mentre altri tre riuscirono a passare. Nell'edizione cartacea e sul sito internet,
il quotidiano ha diffuso immagini di alcune casse piene di proiettili di mortaio nascoste in un camion sotto materiale medico, ufficialmente messo a disposizione da un'organizzazione umanitaria ma intercettato nel gennaio del 2014 dalla gendarmeria turca nei pressi della frontiera siriana. L'operazione di polizia si è trasformata in uno scandalo politico quando su internet furono pubblicati alcuni documenti ufficiali in base ai quali gli autocarri risultavano di proprietà dei servizi segreti turchi (Mit) e trasportavano armi e munizioni destinate ai ribelli islamisti che vogliono rovesciare i governi di Baghdad e Damasco.
Secondo Cumhuriyet, i camion intercettati - tre su quattro riuscirono a passare grazie alle minacce contro i poliziotti da parte di alcuni membri del Mit che li scortavano - trasportavano un migliaio di proiettili di mortaio, 80mila munizioni di piccolo e grosso calibro e centinaia di lanciagranate, messi a disposizione da Paesi dell'ex blocco sovietico. Secondo diverse testimonianze, i tir in questione avrebbero fatto almeno duemila viaggi. Ad esempio l'autista del camion bloccato ha testimoniato che il carico era stato scaricato da un aereo straniero e che viaggi simili erano già stati compiuti diverse volte. E' evidente che la quantità di armi consegnate – vendute o forse addirittura donate – alle milizie jihadiste sarebbe di proporzioni enormi.
Il governo, che ha sempre sostenuto che a bordo dei camion ci fossero soltanto degli aiuti umanitari diretti ai civili, ha imposto finora sulla questione un ferreo black out ai media, imponendo la censura anche sui social media. Nel frattempo l'esecutivo ha fatto di tutto per bloccare l'inchiesta, accusandone i promotori di essere i veri responsabili degli aiuti ai jihadisti. La polizia ha finora arrestato un cinquantina tra gendarmi, militari e magistrati coinvolti nel fermo e nel sequestro del camion nel tentativo di addebitare ad alcuni ‘apparati deviati’ il sostegno all’Is e di scagionare l’esecutivo e i servizi segreti.
«Le nostre indagini hanno portato alla conclusione che alcuni ufficiali dello Stato hanno aiutato a consegnare le armi», ha dichiarato il pubblico ministero Ozcan Sisman, che ha avviato le indagini nel novembre del 2013 dopo aver ricevuto una soffiata. Attualmente Sisman, insieme ad un altro pubblico ministero che ha condotto analoghe indagini, Aziz Takci, si trova però sotto processo con l’accusa di aver condotto «ricerche illegali» e di aver rivelato «segreti di Stato».
Addirittura il presidente Recep Tayyip Erdogan ha attribuito la responsabilità dello scandalo alla confraternita dell'imam Fethullah Gülen, suo ex alleato e mentore e ora in guerra con la leadership di Ankara.
Ma le rivelazioni odierne di Cumhuriyet potrebbero rivelarsi un grave problema a pochi giorni dalle elezioni generali del prossimo 7 giugno. Anche perché è tutto da dimostrare che gli invii di armi ai fondamentalisti si sia fermato all’inizio dello scorso anno. Numerose sono le prove e le testimonianze assai recenti di un atteggiamento assai tollerante da parte delle forze armate di Ankara nei confronti dei tagliagole di Al Baghdadi che possono contare in territorio turco di ospedali in cui curare i feriti, di basi dove addestrare i nuovi adepti e di strutture logistiche dove stoccare armi e materiali di ogni tipo, a pochi chilometri spesso dalla frontiera con la Siria.
Secondo il quotidiano le immagini pubblicate sono quelle riprese da polizia e gendarmeria durante un controllo alla frontiera con la Siria, nelle province di Hatay e Adana, che portarono poi al sequestro del carico di un camion, mentre altri tre riuscirono a passare. Nell'edizione cartacea e sul sito internet,
il quotidiano ha diffuso immagini di alcune casse piene di proiettili di mortaio nascoste in un camion sotto materiale medico, ufficialmente messo a disposizione da un'organizzazione umanitaria ma intercettato nel gennaio del 2014 dalla gendarmeria turca nei pressi della frontiera siriana. L'operazione di polizia si è trasformata in uno scandalo politico quando su internet furono pubblicati alcuni documenti ufficiali in base ai quali gli autocarri risultavano di proprietà dei servizi segreti turchi (Mit) e trasportavano armi e munizioni destinate ai ribelli islamisti che vogliono rovesciare i governi di Baghdad e Damasco.
Secondo Cumhuriyet, i camion intercettati - tre su quattro riuscirono a passare grazie alle minacce contro i poliziotti da parte di alcuni membri del Mit che li scortavano - trasportavano un migliaio di proiettili di mortaio, 80mila munizioni di piccolo e grosso calibro e centinaia di lanciagranate, messi a disposizione da Paesi dell'ex blocco sovietico. Secondo diverse testimonianze, i tir in questione avrebbero fatto almeno duemila viaggi. Ad esempio l'autista del camion bloccato ha testimoniato che il carico era stato scaricato da un aereo straniero e che viaggi simili erano già stati compiuti diverse volte. E' evidente che la quantità di armi consegnate – vendute o forse addirittura donate – alle milizie jihadiste sarebbe di proporzioni enormi.
Il governo, che ha sempre sostenuto che a bordo dei camion ci fossero soltanto degli aiuti umanitari diretti ai civili, ha imposto finora sulla questione un ferreo black out ai media, imponendo la censura anche sui social media. Nel frattempo l'esecutivo ha fatto di tutto per bloccare l'inchiesta, accusandone i promotori di essere i veri responsabili degli aiuti ai jihadisti. La polizia ha finora arrestato un cinquantina tra gendarmi, militari e magistrati coinvolti nel fermo e nel sequestro del camion nel tentativo di addebitare ad alcuni ‘apparati deviati’ il sostegno all’Is e di scagionare l’esecutivo e i servizi segreti.
«Le nostre indagini hanno portato alla conclusione che alcuni ufficiali dello Stato hanno aiutato a consegnare le armi», ha dichiarato il pubblico ministero Ozcan Sisman, che ha avviato le indagini nel novembre del 2013 dopo aver ricevuto una soffiata. Attualmente Sisman, insieme ad un altro pubblico ministero che ha condotto analoghe indagini, Aziz Takci, si trova però sotto processo con l’accusa di aver condotto «ricerche illegali» e di aver rivelato «segreti di Stato».
Addirittura il presidente Recep Tayyip Erdogan ha attribuito la responsabilità dello scandalo alla confraternita dell'imam Fethullah Gülen, suo ex alleato e mentore e ora in guerra con la leadership di Ankara.
Ma le rivelazioni odierne di Cumhuriyet potrebbero rivelarsi un grave problema a pochi giorni dalle elezioni generali del prossimo 7 giugno. Anche perché è tutto da dimostrare che gli invii di armi ai fondamentalisti si sia fermato all’inizio dello scorso anno. Numerose sono le prove e le testimonianze assai recenti di un atteggiamento assai tollerante da parte delle forze armate di Ankara nei confronti dei tagliagole di Al Baghdadi che possono contare in territorio turco di ospedali in cui curare i feriti, di basi dove addestrare i nuovi adepti e di strutture logistiche dove stoccare armi e materiali di ogni tipo, a pochi chilometri spesso dalla frontiera con la Siria.
Nessun commento:
Posta un commento