Di nuovo a Torino i due ragazzi arrestati a Kobane: "Ma torneremo"
Sono stati cinque giorni nelle carceri turche per aver cercato di raggiungere la città che ha resistito all'Isis. "Ma lì hanno bisogno di tutto"
Sono rientrati a Torino martedì notte, ma con la voglia di ripartire. I due ragazzi che sono stati per cinque giorni incarcerati in una cella di una caserma di confine tra Turchia e Siria sono alla base, al Gabrio. Il centro sociale occupato di San Paolo da cui è partita a metà maggio la “Carovana per il Rojava” di cui hanno fatto parte.
Non vogliono avere un nome e un volto, ma i loro volti restano impressi. Un foulard in testa lei, sopracciglia disegnate con la matita e sguardo che brilla quando parla «del popolo curdo che mi è rimasto nel cuore». Mentre lui, ancora più giovane, alza fiero il viso nel ricordare i giorni passati nel Rojava: «Si sentono abbandonati dagli occidentali, che dopo i mesi di attenzione durante l'assedio li hanno lasciati soli con l'embargo turco che rende la vita impossibile».
Per alcuni giorni sono stati clandestini al contrario. Italiani partiti per la Siria per portare medicinali e soldi a Kobane: «Una città dove convivono isolati rasi al suolo con edifici lasciati intatti e i segni della guerra quartiere per quartiere non sono stati cancellati». L'esercito turco li ha fermati al rientro dalla spedizione, mentre attraversavano nuovamente il confine valicando le barriere di filo spinato che dividono i Paesi e impediscono il passaggio di merci e aiuti per i curdi in guerra contro l'Isis: «Ero il primo dei 7 torinesi, davanti a me c'erano tre ragazzi curdi, ero a metà tra i due blocchi di filo spinato quando un soldato è spuntato fuori da un fosso e ci ha intimato l'alt» ricorda il ragazzo parlando dell'arresto avvenuto nella notte tra mercoledì e giovedì. «Siamo stati stupidi a cercare di passare nello stesso tratto in cui due volte i carri armati turchi si erano fermati insospettiti. Dovevamo immaginare ci stessero aspettando e invece abbiamo tentato. All'alt due curdi son scappati, mentre il terzo è stato catturato, colpito a pietrate. Io ero lì che assistevo alla scena acquattato, ma quando il militare ha iniziato a sparare in aria mi sono alzato e ho gridato che ero italiano». Il soldato l'ha immobilizzato e costretto a dire agli altri di uscire, ma solo una si è arresa, mentre gli altri son rimasti nascosti nell'erba alta: «Non sapevo cosa fare. Avevo lo zaino incastrato e non riuscivo a scappare. Così mi sono alzata e sono andata insieme agli altri fermati». Ore di paura in cui la coppia è stata portata in caserma e ospedale, schedata e il ragazzo, come anche il giovane curdo, pestato dai militari: «A me han dato qualche pugno e un calcio, mentre lui è stato picchiato più volte prima di essere abbandonato sul lato siriano del confine». Loro invece hanno fatto qualche giorno di cella e poi sono stati espulsi con l'accusa di “immigrazione clandestina”: «Non c'è altra possibilità se non lo sconfinamento illegale – spiegano – In questi mesi sono arrivati legalmente a Kobane due camion dalla Germania, uno è rimasto alla frontiera così tanto che i medicinali erano scaduti»: «La città è distrutta e la gente sta rientrando dai campi profughi a gruppi di cento, si portano dietro valigie e mobili – racconta la ragazza – Ora a Kobane ci sono circa 20mila persone, tanti bambini, ma manca completamente la generazione dei ventenni. O sono morti nell'assedio o sono al fronte che avanza e allontana la guerra dalla città».
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