- di Sergio Cararo
Il Ministero
della Difesa ha annunciato che entro il 2020 acquisterà dagli Stati
Uniti 38 caccia militari F-35. La conferma viene dal "Documento
programmatico pluriennale per la difesa". Pochi giorni fa la ministra
Pinotti e gli Stati Maggiori avevano presentato il Libro Bianco della
Difesa nel quale vengono indicati gli indirizzi strategici. Per
raggiungerli servono più spese militari e tra questi gli F 35. Quindi
nessun dimezzamento degli acquisti di armamenti. Secondo la Difesa il
costo complessivo dell’operazione è stimato in circa 10 miliardi di
euro.
E si che in Parlamento era stata approvata la mozione che prevedeva la riduzione dell'acquisto degli F 35, ma il governo ha invece confermato in pieno il programma di acquisto e infatti dal documento
della Difesa il programma non sembra aver subìto alcuna modifica. Anzi, le spese potrebbero anche aumentare. Il ministero ha fatto sapere che "la tabella relativa al programma F-35 contenuta nel Documento programmatico pluriennale riporta i costi complessivi dello stesso programma a monte del riesame che verrà condotto, tenendo conto sia degli impegni presi dal governo in sede parlamentare sia del processo di revisione strategica intrapreso dalla Difesa".
In Parlamento, Sel e Movimento 5 Stelle protestano: "Renzi ha clamorosamente preso in giro gli italiani, non ha mantenuto gli impegni e ha imbrogliato il Parlamento". E' stata anche annunciata la futura mozione di sfiducia nei confronti del ministro della Difesa Roberta Pinotti.
Il ministero della Difesa ha risposto alle accuse buttandola sui soldi con una nota ufficiale, sottolineando come il programma F-35 generi un forte ritorno industriale (sic!): "A fronte di un investimento totale pari a circa 3,5 miliardi di dollari - scrive la Difesa - i ritorni industriali in termini di contratti acquisiti sono pari a circa 1,6 miliardi di dollari".
A noi, fino ad oggi risultava il contrario e cioè che un euro investito nel settore militare ne produceva 2,7 in quello civile. Nel caso degli F 35 anche questa proporzione sembra rovesciata, dunque una operazione in perdita anche dal punto della “economia di guerra”. Acquistare armamenti e tecnologia da un altro paese – gli Usa in questo caso – non produce “effetti socializzanti” nell'economia italiana, anzi non può che produrre passivi di bilancio.
Ma come ha spiegato molte volte l'economista Giorgio Gattei, se c'è un settore della spesa pubblica dove anche gli ultraliberisti non fanno storie è proprio quello della spesa militare. E nell'Unione Europea, dove i diktat della Bce e della Trojka impongono sanguinosi tagli ai servizi, ai salari e alle spese sociali, le spese militari hanno ripreso a crescere per adeguarsi ad un altro tipo di diktat: quello della Nato che da tempo chiede che le spese militari raggiungano almeno il 2% del Pil. Qualche effetto già si vede. Josef Janning, alto funzionario delle istituzioni di Bruxelles, in un saggio pubblicato dal European Council on Foreign Relations, “sulla base dei dati del 2011, gli Stati membri (della Ue, ndr) hanno speso nel campo della Difesa più della Russia e della Cina messe insieme, secondi solo agli Stati Uniti che hanno stanziato 2,5 volte le risorse degli Stati europei”.
Anche per denunciare l'aumento delle spese militari che accompagna l'escalation bellicista dell'Italia, dell'Unione Europea e della Nato nel Mediterraneo e in Ucraina, martedi 2 giugno è stata convocata una Giornata di mobilitazione nazionale antimilitarista che vedrà manifestazioni in diverse città italiane. A Roma si manifesterà davanti al Comando Operativo Interforze (Coi) che avrà il comando dell'operazione militare europea in Libia (appuntamento alle ore 10.00 in piazza dei Consoli a Cinecittà), a Pisa l'appuntamento è alle 18.00 a Corso d'Italia; a Bologna in piazza 8 Agosto alle ore 10.00), a Taranto si manifesterà davanti all'Ammiragliato, a Napoli alle ore 10.00 in via Roma, davanti a banca Intesa, una delle "banche armate", a Genova e in altre città si stanno definendo i luoghi delle iniziative. Sempre a Roma invece sabato 30 maggio ci sarà il convegno "Resistere alla Nato" alla ex Snia (ore 15.00) una occasione per confrontarsi sul complesso dei problemi della pace e della guerra nel XXI Secolo.
E si che in Parlamento era stata approvata la mozione che prevedeva la riduzione dell'acquisto degli F 35, ma il governo ha invece confermato in pieno il programma di acquisto e infatti dal documento
della Difesa il programma non sembra aver subìto alcuna modifica. Anzi, le spese potrebbero anche aumentare. Il ministero ha fatto sapere che "la tabella relativa al programma F-35 contenuta nel Documento programmatico pluriennale riporta i costi complessivi dello stesso programma a monte del riesame che verrà condotto, tenendo conto sia degli impegni presi dal governo in sede parlamentare sia del processo di revisione strategica intrapreso dalla Difesa".
In Parlamento, Sel e Movimento 5 Stelle protestano: "Renzi ha clamorosamente preso in giro gli italiani, non ha mantenuto gli impegni e ha imbrogliato il Parlamento". E' stata anche annunciata la futura mozione di sfiducia nei confronti del ministro della Difesa Roberta Pinotti.
Il ministero della Difesa ha risposto alle accuse buttandola sui soldi con una nota ufficiale, sottolineando come il programma F-35 generi un forte ritorno industriale (sic!): "A fronte di un investimento totale pari a circa 3,5 miliardi di dollari - scrive la Difesa - i ritorni industriali in termini di contratti acquisiti sono pari a circa 1,6 miliardi di dollari".
A noi, fino ad oggi risultava il contrario e cioè che un euro investito nel settore militare ne produceva 2,7 in quello civile. Nel caso degli F 35 anche questa proporzione sembra rovesciata, dunque una operazione in perdita anche dal punto della “economia di guerra”. Acquistare armamenti e tecnologia da un altro paese – gli Usa in questo caso – non produce “effetti socializzanti” nell'economia italiana, anzi non può che produrre passivi di bilancio.
Ma come ha spiegato molte volte l'economista Giorgio Gattei, se c'è un settore della spesa pubblica dove anche gli ultraliberisti non fanno storie è proprio quello della spesa militare. E nell'Unione Europea, dove i diktat della Bce e della Trojka impongono sanguinosi tagli ai servizi, ai salari e alle spese sociali, le spese militari hanno ripreso a crescere per adeguarsi ad un altro tipo di diktat: quello della Nato che da tempo chiede che le spese militari raggiungano almeno il 2% del Pil. Qualche effetto già si vede. Josef Janning, alto funzionario delle istituzioni di Bruxelles, in un saggio pubblicato dal European Council on Foreign Relations, “sulla base dei dati del 2011, gli Stati membri (della Ue, ndr) hanno speso nel campo della Difesa più della Russia e della Cina messe insieme, secondi solo agli Stati Uniti che hanno stanziato 2,5 volte le risorse degli Stati europei”.
Anche per denunciare l'aumento delle spese militari che accompagna l'escalation bellicista dell'Italia, dell'Unione Europea e della Nato nel Mediterraneo e in Ucraina, martedi 2 giugno è stata convocata una Giornata di mobilitazione nazionale antimilitarista che vedrà manifestazioni in diverse città italiane. A Roma si manifesterà davanti al Comando Operativo Interforze (Coi) che avrà il comando dell'operazione militare europea in Libia (appuntamento alle ore 10.00 in piazza dei Consoli a Cinecittà), a Pisa l'appuntamento è alle 18.00 a Corso d'Italia; a Bologna in piazza 8 Agosto alle ore 10.00), a Taranto si manifesterà davanti all'Ammiragliato, a Napoli alle ore 10.00 in via Roma, davanti a banca Intesa, una delle "banche armate", a Genova e in altre città si stanno definendo i luoghi delle iniziative. Sempre a Roma invece sabato 30 maggio ci sarà il convegno "Resistere alla Nato" alla ex Snia (ore 15.00) una occasione per confrontarsi sul complesso dei problemi della pace e della guerra nel XXI Secolo.
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