Morire per un iPhone. La Apple, la Foxconn e la lotta degli operai cinesi
Pubblicato il 14 mag 2015
di Ferruccio Gambino e Devi Sacchetto
L’atelier infernale degli smartphone
Terre di Mezzo. Un’anticipazione
dal saggio collettivo, pubblicato da Jacabook, dedicato ai rapporti tra
la Foxconn e la Apple. Una forma di produzione diventata l’unico
«modello»
Il volume Morire per un iPhone. La Apple, la Foxconn e la lotta degli operai cinesi
di Pun Ngai, Jenny Chan e Mark Selden (Jaca Book, pp. 269, euro 15)
svela il lato oscuro della produzione elettronica, portando alla
luce il caso esemplare della condizione di operaie e operai cinesi
che lavorano per un marchio committente, la Apple, e per il suo
gruppo appaltatore, la Foxconn. Si tratta del caso più eclatante di
un regime di fabbrica-dormitorio ormai destinato a lasciare tracce
profonde nella società cinese e nel resto del mondo,
indipendentemente dalle annunciate robotizzazioni.
Sotto la spinta della febbrile
domanda mondiale di nuovi prodotti informatici il regime di
fabbrica della Foxconn vincola la vita, i ritmi, gli orari di lavoro
di più di un milione di lavoratori in Cina. Come nel caso del legame
tra la Foxconn e la Apple, altre multinazionali elettroniche
hanno imposto globalmente processi di produzione a ritmi
disumani. Tuttavia il caso del rapporto tra Apple e Foxconn risalta
tra gli altri per le dimensioni della forza-lavoro coinvolta e per
l’intensità della sua erogazione.
La catena mortale
Alle lavoratrici e ai lavoratori
toccano lunghi orari di lavoro, stringenti cadenze produttive, una
sistemazione sorvegliata in dormitori aziendali e salari che
permettono appena la sopravvivenza del sin
golo lavoratore ma non del suo nucleo famigliare. Ne sono risultate condizioni di vita ai limiti della sopportazione che hanno provocato una catena di suicidi attorno al 2010, (…), la più impressionante catena di autoannientamento in fabbriche non concentrazionarie della storia del capitalismo. La Foxconn ha reagito economicamente ponendo le inferriate alle finestre dei suoi edifici per impedire i salti nel vuoto delle sue disperate maestranze, il perverso rimedio tipico delle istituzioni totali moderne.
golo lavoratore ma non del suo nucleo famigliare. Ne sono risultate condizioni di vita ai limiti della sopportazione che hanno provocato una catena di suicidi attorno al 2010, (…), la più impressionante catena di autoannientamento in fabbriche non concentrazionarie della storia del capitalismo. La Foxconn ha reagito economicamente ponendo le inferriate alle finestre dei suoi edifici per impedire i salti nel vuoto delle sue disperate maestranze, il perverso rimedio tipico delle istituzioni totali moderne.
L’attenzione alla condizione
operaia è il filo conduttore che guida gli autori per l’intero
volume, compresi il secondo e terzo capitolo che sono sì dedicati al
peculiare rapporto che la multinazionale Apple intrattiene con la
multinazionale Foxconn, ma che intendono anche gettare le basi
per rischiarare il lavoro vivo nel nesso che lega le due imprese. Né
l’una né l’altra sono state pioniere nell’instaurare un rapporto di
appalto. Altre imprese le avevano precedute. A cominciare dai primi
anni Novanta, la produzione elettronica nordamericana ed
europea è venuta affermandosi come il settore a più alta
esternalizzazione, insieme con il tessile e l’abbigliamento.
La peculiarità
dell’esternalizzazione di hardware elettronico è duplice: da un lato,
il suo centro di gravità si trova nell’Asia orientale e in
particolare nelle grandi periferie industriali della costa
meridionale della Cina; dall’altro, in Cina il bacino di
reclutamento consiste in coorti di adolescenti e di giovani
approdati dalle campagne alle catene di produzione come migranti
interni e quindi come cittadini di seconda classe, essendo privi dei
diritti alla residenza urbana e all’accesso ai beni e ai servizi
pubblici legati alla residenza. Negata per via salariale alle
operaie e agli operai migranti la possibilità di costruirsi un
nucleo famigliare, la trasmissione della vita è o ritardata o
addossata ai parenti che sono rimasti nelle campagne o del tutto
vanificata in amare rinunce. Una così ampia riduzione dello spazio
di riproduzione è un fenomeno quale non si verificava dalla seconda
guerra mondiale.
L’estrema parsimonia
necessariamente applicata da operaie e operai alla propria vita
quotidiana alla Foxconn si manifesta innanzitutto nella scelta
obbligata del 60 per cento circa delle maestranze di risiedere nei
dormitori dell’impresa, dove un posto letto in un camerone con più
letti a castello incide per un ventesimo del salario mensile,
contro circa un terzo per l’affitto di una stanza all’esterno della
fabbrica. L’invio alla famiglia rimasta in campagna dei risparmi
racimolati con i salari spesso ottempera all’obbligo morale della
devozione filiale, anche se i legami famigliari vanno indebolendosi
nel corso degli anni. Lo scarsissimo tempo libero a disposizione è
un fattore disciplinante di prima grandezza che non viene
pubblicamente discusso se non da coraggiose minoranze politiche.
Tuttavia sarebbe vano in Oriente come in Occidente chiedere a gran
parte dei mezzi di comunicazione di mettere in rapporto le
condizioni e l’orario lavoro con la mancata apertura di un’arena di
pubblico dibattito, quello che viene comunemente chiamato lo
spazio della democrazia.
La difficile ricomposizione
Nell’ostentato assenteismo del
sindacato ufficiale, l’autorganizzazione operaia all’interno della
Foxconn trova le sue limitazioni in tre principali vincoli
imposti alle maestranze: la dura disciplina esercitata dalla
Foxconn, i tempi e i modi spasmodici di produzione dettati dai
capitolati di appalto della Apple e l’intesa cordiale fra entrambe
queste imprese e le amministrazioni locali. Si tratta della
triplice cappa che condiziona e incombe sui processi di
ricomposizione solidale della forza-lavoro. Il legame tra la Apple e
la Foxconn è forse il caso più evidente degli incerti equilibri
produttivi odierni, dopo che i grandi marchi occidentali hanno
deciso di abbattere i loro costi e aumentare l’efficienza
esternalizzando la fabbricazione prevalentemente in Asia.
Questo modello di esternalizzazione è dotato di una sua
caratteristica capacità d’irraggiamento globale. La Foxconn ha
promosso il modello come assetto esemplare nelle sue fabbriche in
Europa e nell’America latina.
Nel gergo degli intermediari
dell’esternalizzazione, la compressione dei prezzi da pagare ai
fornitori è chiamata arbitraging, un significativo slittamento
linguistico rispetto all’arbitraggio sui titoli di borsa. Il
carattere iugulatorio di questo labour arbitraging viene venduto
come manifestazione del libero mercato. Le sue conseguenze
vengono scaricate in larga parte sulle condizioni di vita e di
lavoro delle maestranze, in particolare in Asia. Essenziale è nel
caso della manifattura elettronica la disponibilità della
forza-lavoro a un logorante sistema di fabbrica. Viene dunque
selezionata una forza-lavoro giovane, istruita, abbondante,
disciplinabile entro rigide istituzioni, mobilitabile e
smobilitabile entro tempi brevi.
Nell’elettronica come in altri
settori, i margini di salario e di profitto riservati alle imprese
appaltatrici sono compressi dalla preponderanza economica del
committente, generalmente un marchio globale che lucra le forti
differenze tra il prezzo concesso all’impresa appaltatrice e il
prezzo di vendita finale5. Così è stato anche finora nell’intreccio che
la Apple ha mantenuto con la Foxconn.
Nell’Asia meridionale e orientale i
sistemi delle aziende appaltatrici che forniscono i grandi marchi
si reggono sul malfermo piedistallo di salari bassi o addirittura
infimi, mentre i magri utili locali possono crescere in ragione
dell’aumento della massa degli operai occupati e del prolungamento
dei loro orari di lavoro. Per contro, i pingui profitti derivanti
dal labour arbitraging vengono rastrellati dai grandi marchi che
detengono e si spartiscono le quote delle vendite finali. Nel caso
della Foxconn e della Apple in Cina, come gli autori di mostrano, i
margini della Foxconn sono assai ristretti rispetto a quelli della
Apple. Nel 2010 la Apple si appropriava di ben il 58,5% del prezzo
finale di un iPhone, sebbene avesse completamente esternalizzato
la manifattura del prodotto. Soltanto l’1,8 per cento, ossia 9,88
dollari, era destinato al salario delle maestranze in Cina. In
breve, gli accordi ricorrenti su scala crescente tra la Apple e la
Foxconn ricadono nella categoria del labour arbitraging. Va notato
che i bassi salari, insieme con i lunghi orari di lavoro, sono un
decisivo fattore di freno alla mobilitazione informale e formale
dei salariati della Foxconn, un fattore che può essere
neutralizzato dalle maestranze soltanto con la dedizione
organizzativa di cui il movimento operaio in Cina ha dato ampie
prove nel passato.
Reclutamenti temporanei
Le amministrazioni locali non sono
dovute intervenire se non episodicamente per troncare e sopire la
mobilitazione a favore di migliori condizioni di vita e di lavoro.
Molto più frequente e puntuale è risultato il loro ruolo
nell’approntamento delle zone industriali e nell’opera di
reclutamento e selezione del personale, procurando così alla
Foxconn un sostanzioso risparmio delle spese d’insediamento.
Altrettanto solerti durante i picchi della produzione sono
risultate le cure prodigate dalle amministrazioni locali al
reclutamento temporaneo di giovanissimi studenti degli
istituti tecnici da avviare ai cosiddetti tirocini presso la
Foxconn, a costo di compromettere l’apprendimento scolastico dei
tirocinanti. Tagliando i costi in infrastrutture e in reclutamento
delle imprese e piegando i centri urbani alle esigenze della
fabbrica, le amministrazioni locali mettono al riparo il governo
centrale e il partito comunista dall’eventuale esposizione al
malcontento e ai conflitti. Le imprese possono attingere a sempre
nuovi bacini di manodopera costituiti da migranti, non solo perché è
conveniente ma anche perché la sostituibilità nel posto di lavoro
genera paura nelle maestranze. Prende corpo un sistema d’impiego
urbano duale e segregato: da un lato quanti sono dotati dei diritti di
residenza e dei beni e servizi pubblici connessi, dall’altro i
migranti, non solo precari ma anche esclusi da tali beni e servizi con
l’artificio della residenza negata.
(Il Manifesto 12.5.2015)
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