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«Dobbiamo reagire, la morte di questo ragazzo di 19 anni sia un nuovo inizio per il quartiere»
In piazzetta Cerignola la veglia di preghiera con il fondatore del Sermig Ernesto Olivero e l'assessore comunale a Welfare, Diritti e Pari Opportunità Jacopo Rosatelli
«Siamo qui, non ti dimentichiamo Mamoud». Un messaggio chiaro e semplice, affidato ad un lenzuolo bianco sorretto da bambini e anziani. Piazzetta Cerignola ha ospitato ieri sera una veglia di preghiera per ricordare Mamoud Diane, il 19enne ucciso con una coltellata al polmone a pochi metri di distanza nella notte tra il 2 e il 3 maggio. In Barriera di Milano c’è una comunità che vuole ribellarsi a una quotidianità fatta di spaccio e criminalità diffusa. E lo ha dimostrato portando in piazza oltre duecento persone, proprio sotto la statua della Madonna di Ripalta.
Da lì sono partiti, fino a raggiungere il civico 28 di via Monterosa, dove Mamoud ha perso la vita. Hanno partecipato al momento iniziale di preghiera anche il padre e il fratello del 19enne ivoriano. Ma non sono riusciti a spingersi oltre, ancora troppo vivo il dolore per una morte così tragica. E così, dopo un’iniziale presenza per ringraziare per la vicinanza, hanno preferito allontanarsi. Presente in piazza Ernesto Olivero, fondatore del Sermig. E ha seguito il momento di preghiera e raccoglimento anche Jacopo Rosatelli, assessore comunale a Welfare, Diritti e Pari Opportunità: «Per me era doveroso esserci, perché è morto un ragazzo di 19 anni e in un modo violento. I problemi si possono risolvere solo reagendo con umanità, proprio come ha fatto questa sera la comunità».
Un cammino indicato anche da chi vive tutti i giorni le strade di Barriera di Milano: «Siamo qui per evitare che la morte di un giovane come noi scivoli via come nulla fosse — hanno spiegato due ragazze —. Siamo tutti sgomenti per la ferocia dell’omicidio, ma la cosa più importante è imparare a reagire come comunità: solo in questo modo possiamo risolvere i problemi di questo quartiere. Vorremmo riempire di colori tutte le zone di Barriera di Milano, rispondendo all’odio e alla violenza con l’umanità. E che la morte di Mamoud segni un nuovo inizio di corresponsabilità per il nostro quartiere».
Le cronache giornaliere continuano intanto a parlare di episodi di violenza. La situazione non si è affatto placata dopo la morte di Mamoud, anzi. A poche centinaia di metri di distanza si sono verificati altri due accoltellamenti, alla mano e al collo, nel fine settimana. E anche ad Aurora si continuano a registrare furti, rapine e soprattutto risse tra bande rivali. L’ultimo episodio è stato segnalato martedì pomeriggio, nel tratto di corso Giulio Cesare compreso tra il ponte Mosca e corso Emilia. Un gruppo di persone è arrivato allo scontro, sono volati calci e pugni tra le automobili in sosta. «Si vive quotidianamente un clima di violenza e aggressività latente che rischia di esplodere da un momento all’altro, sotto gli occhi sempre più spaventati dei residenti — denuncia Patrizia Alessi, capogruppo di Fratelli d’Italia in Circoscrizione 7 —. Tutto questo viene alimentato dall’assenza di regole e norme di civile convivenza, sembra che tutto sia consentito in questo circolo vizioso di degrado».
mergenza criminalità in Barriera di Milano, l'assessore Marrone: «Espropriamo le case degli irregolari»
La ricetta anti-pusher della Regione: «Una legge per togliere gli alloggi ai ras delle soffitte per darli all’Atc». Lopposizione: «Presa in giro. Oltre il 10% delle case popolari di cui la Regione già dispone non vengono assegnate»
Qualcuno l’ha definita una proposta choc. Qualcun altro, dalle file dell’opposizione, una provocazione fine a sé stessa o tuttalpiù «una presa in giro». Fatto sta che l’emendamento con cui l’assessore regionale alla Casa, Maurizio Marrone, dichiara guerra ai cosiddetti «ras delle soffitte», con l’obiettivo di espropriare gli alloggi fatiscenti e inabitabili affittati agli immigrati irregolari (spesso «covi del degrado e dello spaccio») per trasformali in case popolari, è destinato a diventare legge. Il provvedimento è stato presentato ieri mattina dell’eletto di Fratelli d’Italia durante la riunione della giunta regionale, al grattacielo Piemonte. Una volta approvato dal Consiglio regionale, chiarisce l’esponente dell’esecutivo Cirio, «consentirà l’esproprio degli alloggi in condizioni di grave degrado, per destinarli all’edilizia pubblica».
Inutile dire che la proposta nasce in risposta agli ultimi fatti di cronaca registrati in Barriera di Milano e Aurora. Una situazione di crescente insicurezza che sembra investire i quartieri della periferia nord di Torino, dove il fenomeno dello spaccio si intreccia alla disponibilità di immobili degradati dati in affitto a disperati e irregolari. «Se spaccio e violenza sono così radicati in quelle zona, rispetto ad altri quartieri torinesi — chiarisce l’assessore Marrone —, è perché lì proliferano le speculazioni immobiliari dei ras delle soffitte che lucrano riempiendo intere palazzine di spacciatori e delinquenti. Non si può pretendere, dunque, che le forze dell’ordine possano svuotare un mare con un bicchiere, se le basi dello spaccio continuano a riempirsi di criminali negli alloggi dei palazzinari».
Ecco, dunque, la trovata dell’esponente di FdI: espropriare le palazzine dello spaccio, per darle a chi ha diritto a una casa popolare. «Abbiamo trovato la soluzione legislativa giusta — assicura Marrone — per chiudere i covi dei pusher, strapparli dagli artigli dei ras delle soffitte e trasformarli in case popolari destinate alle famiglie bisognose».
Nel
dettaglio, l’emendamento presentato in giunta e che approderà in aula
con il voto sul riordino delle agenzie territoriali per la casa prevede
di aggiungere alla legge regionale sull’edilizia sociale la possibilità
di procedere «all’esproprio per pubblica utilità di alloggi scadenti, ai fini del contrasto all’emergenza abitativa e della riqualificazione del territorio».
Per definire la situazione di degrado degli alloggi sarà utilizzata la modalità già prevista dal Comune per certificare le situazioni critiche.
Per esempio: unità immobiliari senza impianto elettrico o idrico con
acqua corrente in cucina e nei servizi igienici o che non ha bagni
privati ma in comune, immobili in cui risultano in scadenti condizioni
almeno quattro dei seguenti elementi: pavimenti, pareti e soffitti,
infissi, impianto elettrico, impianto idrico e servizi
igienico-sanitari, impianto di riscaldamento, elementi comuni, accessi,
scale e ascensore oppure facciate, coperture e parti comuni in genere.
Secondo il Pd, che replica all’assessore Marrone per bocca delle consigliere Monica Canalis e Nadia Conticelli, «l’annuncio sull’esproprio delle case dei pusher per assegnarle come alloggi popolari è una grossolana presa in giro: è inaccettabile che la Regione speculi sulla pelle delle persone e sui territori più fragili». Per le elette dem, «è un modo per sfuggire alle responsabilità della Regione sulle politiche della casa, le politiche sulle dipendenze e quelle per la sicurezza. Barriera di Milano ha bisogno di sviluppo e riqualificazione — sottolineano —. Sul territorio della Circoscrizione 6 insiste più della metà delle case popolari della città di Torino, e questo richiede investimenti sulla fragilità sociale e opportunità educative».
Alleanza Verdi e Sinistra, con le elette Alice Ravinale, Valentina Cera e Giulia Marro, reagiscono con una dose di ironia: «La destra si è ravveduta sulla possibilità di ricorrere all’espropriazione per far fronte all’emergenza abitativa, dopo aver strepitato di stalinismo per mesi sulla proposta “Vuoti a Rendere” in discussione a Palazzo Civico». La possibilità di fare espropri non è tabù, anzi: «La prenderemo sul serio, se si tratta di intervenire per requisire ai grandi proprietari privati alloggi fatiscenti con cui lucrano sulla pelle di persone che non riescono a trovare altre sistemazioni abitative». Ma al contempo richiamano l’assessore Marrone alle proprie responsabilità: «Oltre il 10% delle case popolari di cui la Regione già dispone nel torinese non vengono assegnate».
Cpr Torino, un cellulare in 15 e la vita come un limbo blindato. I consiglieri Pd e M5S: «peggio del carcere»
La rivolta di fine aprile, la chiusura di un padiglione e il peggioramento delle condizioni: «Una struttura che non ha senso e costa troppo, ma a pesare più di tutto per questi ragazzi e l'indeterminatezza»
Un cellulare da spartirsi in quindici. Viene consegnato ogni mattina e ritirati ogni sera. È l’unico canale che li unisce al resto del mondo, alle proprie famiglie d’origine, in Nordafrica o altrove, oltre le gabbie di ferro zincato che circondano ciascuno dei sei blocchi dove sono rinchiusi, oltre le mura che nascondono il Cpr agli occhi dei torinesi che transitano senza farci troppo caso in corso Brunelleschi o in via Mazzarello.
I cinquantasette «ospiti» — perché,
almeno in teoria, carcerati non sono — reclusi al momento nel centro di
permanenza per il rimpatrio comunicano così. Da quando l’altra
settimana, nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio è scoppiata la prima rivolta dalla riapertura, un mese fa, uno dei sei padiglioni è stato chiuso.
Il risultato: i migranti trattenuti nella struttura si sono dovuti
stringere, e se prima erano suddivisi in tre blocchi, adesso ne occupano
due (altri tre erano già inutilizzabili perché in corso di
ristrutturazione).
«È un sistema inumano, questi posti vanno chiusi, in queste condizioni è inevitabile che si creino tensioni che alla fine arrivino ad esplodere in rivolte o gesti violenti», si sfoga Alberto Unia, già assessore della giunta Appendino, oggi consigliere regionale del M5S. Con la sua capogruppo, Sarah Disabato, e il collega del Pd, Daniele Valle, si sono presentati ieri davanti al pesante portone del Cpr, per ispezionare la struttura. Così hanno potuto constatare con i loro occhi la situazione. Ogni blocco è recintato, ha un cortiletto e un dormitorio con 6 camerate da 5 posti letto ciascuna.
«I trattenuti sono soprattutto giovani, abbiamo parlato con loro, alcuni hanno problemi psichiatrici, lamentano soprattutto una cosa — racconta il dem Valle —: la condizione di indeterminatezza in cui si trovano, non sanno quanto tempo dovranno restare dentro. Un ragazzo mi ha detto: preferirei stare in carcere, almeno saprei quanti giorni mi restano da scontare».
A gestire la struttura è la cooperativa Sanitalia. Si è aggiudicata un appalto da 8 milioni di euro per farlo. Oltre agli operatori sociali, ci sono decine di poliziotti, carabinieri e finanzieri, e la presenza fissa dei militari. «Un dispiegamento di uomini e mezzi — sottolinea la pentastellata Disabato — che potrebbero essere impiegate altrove, sul territorio, a tutela della sicurezza delle nostre città». E invece stanno lì, si danno il turno, a controllare che 57 immigrati irregolari (tra migliaia e migliaia) non scappino o non si rivoltino.
«È chiaramente un sistema di gestire l’immigrazione irregolare che non ha senso, non solo per le condizioni inumane a cui sono sottoposte le persone, ma per l’enorme impiego di risorse economiche», fa notare Unia. Da settimane la politica torinese, dal Pd al M5S, con l’eccezione di Lega e FdI, battaglia contro la riapertura del Cpr. E ora la palla passa alla Regione: «Chiediamo con urgenza un sopralluogo delle commissioni Sanità e Legalità del Consiglio regionale — dichiarano i tre eletti —. Un sistema che ammassa le persone dentro le gabbie, con una prospettiva temporale indeterminata, non può funzionare».
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