Due persone (e non una) sono rimaste ferite all’interno del Cpr dopo la protesta che ha chiuso una delle due aree del centro
A poco più di un mese dalla riapertura, una delle due aree del centro è stata chiusa. Ci sono due feriti certi
TORINO – Sono due le persone ferite all’interno del Centro di permanenza per il rimpatrio di Torino, dopo le proteste interne della notte tra il 30 aprile e il 1 maggio che hanno chiuso l’area “viola” e portato al trasferimento di più di 20 reclusi nell’area blu.
La rivolta probabilmente è stata innescata dall’inaccessibilità ad alcuni beni all’interno del centro ed è proseguita con battiture, urla (udibili anche oltre le mura) e diversi tentativi di incendio, di cui uno riuscito.
Inizialmente era certo che ci fosse un solo ragazzo ferito; Quotidiano Piemontese lo ha visto a bordo di una volante della polizia, all’una di notte del 1 maggio, mentre era di ritorno dal pronto soccorso con l’avambraccio coperto da una vistosa fasciatura; in quell’occasione gli aveva chiesto se si fosse ferito all’interno del centro e lui aveva risposto di sì, per tre volte. Fonti interne però hanno confermato ieri (2 maggio) due cose: la prima è che c’è stata un’altra persona ferita e portata in pronto soccorso, perché aveva ingoiato delle lamette cercando di togliersi la vita; la seconda è che gli incendi appiccati dagli “ospiti” della struttura hanno distrutto l’area “viola”, cioè una delle due zone dove vengono rinchiusi i migranti.
Sono state spostate quindi 27 persone nell’area “blu”, cioè una terza zona del Cpr che a marzo (quando il centro ha riaperto) non era utilizzata.
Il direttore del centro non ha rilasciato dichiarazioni e si è allontanato in auto, la notte della rivolta, non rispondendo al gruppo di avvocati e politici locali che si erano radunati di fronte ai cancelli del centro. Alice Ravinale, consigliera della Regione Piemonte, aveva anche chiesto di entrare e non aveva ricevuto risposta.
Ad esprimere solidarietà ai migranti senza documenti in regola e in attesa di espulsione rimangono gli attivisti della rete No Cpr e i membri del centro sociale Gabrio.
Sulla struttura di corso Brunelleschi, tra l’altro, è ancora in corso un processo di primo grado che accerterà le responsabilità sul suicidio di Moussa Balde, avvenuto nel 2021.
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