Per entrare con forza e
chiarezza sull'influenza dell'imperialismo nel movimento operaio,
Lenin saccheggia, per così dire, l'importante scritto di Hobson,
perchè, come dirà, ne condivide la descrizione.
Nel rimandare alla lettura
diretta di queste pagine, riprese da Lenin, ci concentriamo su alcuni
aspetti messi in rilievo.
L'imperialismo, gli Stati
dominanti – e qui Hobson fa riferimento alla Gran Bretagna, alla
Francia e altre nazioni imperialistiche che si erano messe su questa
via – sfruttano provincie, colonie, paesi sudditi allo scopo di
arricchire le classi dominanti e corrompere le proprie classi
inferiori in modo da tenerle a freno .
L'imperialismo, all'epoca
di Hobson e Lenin, “conquista con le armi gli Stati, usando
eserciti formati dagli indigeni”. E questo dato, per esempio,
oggi vive chiaramente e apertamente nell'odierno sistema mondiale,
dove non sono tanto gli eserciti arruolati nell'esercito della
potenza dominante che conducono le invasioni, le guerre di
aggressioni, quanto gli eserciti degli Stati dominati, formalmente
indipendenti ma in realtà asserviti, che costruiscono giganteschi
eserciti per servire l'imperialismo, principalmente Usa, ma pronti a
servire gli interessi di altri imperialismi e a combattere la guerre
dell'imperialismo contro i propri stessi popoli.
Ma non è tanto il lato
militare, che pure è illuminante, che Hobson mette in rilievo,
quanto le ragioni per cui queste guerre vengono condotte e
combattute, e soprattutto per conto di chi.
Scrive Hobson: “La
più grande parte dell'Europa occidentale... (assume)
l'aspetto e il carattere ora posseduti soltanto da alcuni luoghi...
visitati dai turisti e abitati da gente ricca... un piccolo gruppo di
ricchi e aristocratici, traenti le loro rendite e i loro dividenti
(dal dominio coloniale vivono)
accanto (con) un
gruppo alquanto più numeroso di impiegati e di commercianti e un
gruppo ancora maggiore di domestici, lavoratori dei trasporti e
operai occupati nel processo finale dela lavorazione dei prodotti più
avariabili...”.
Questo Hobson chiama
“parassitismo occidentale”. Questo permette, sempre
secondo lui, “l'esistenza di un gruppo di nazioni industriali
più progredite, le cui classi elevate riceverebbero, dall'Asia e
dall'Africa (e per gli Stati
Uniti dall'America Latina – ndr) enormi tributi e,
mediante questi, si procurerebbero grandi masse di impiegati e di
servitori addomesticati che non sarebbero occupati nella produzione
in grande di derrate agricole o di articoli industriali, ma nel
servizio personale o in lavori industriali di secondo ordine sotto il
controllo della nuova aristocrazia finanziaria”.
Non solo Lenin qui gli
deve dar ragione, ma anche oggi, a cento anni di distanza, in un
mondo profondamente mutato dove però la sostanza è la stessa.
Hobson chiaramente da borghese progressista, liberale considera indegna questa prospettiva e vorrebbe contrastarla. Lenin è perfino più cauto di Hobson e mette in rilievo che “se le potenze dell'imperialismo non incontrassero resistenza, esse giungerebbero direttamente a quel risultato”.
Ma è proprio della
resistenza che si occupa Lenin per denunciare che in questa direzione
“anche in seno al movimento operaio gli opportunisti, oggi
provvisoriamente vittoriosi nella maggior parte dei paesi,
(e purtroppo questo “oggi” vale
anche per l'odierna situazione mondiale, nel movimento operaio e nei
movimenti di liberazione dall'imperialismo – ndr)
“lavorano”, sistematicamente, indefessamente nella medesima
direzione”.
Per essere più chiari,
Lenin dice: “L'imperialismo, che significa la spartizione di
tutto il mondo e lo sfruttamento... che significa alti profitti
monopolistici a beneficio di un piccolo gruppo di paesi più ricchi,
crea la possibilità economica di corrompere gli strati superiori del
proletariato, e, in tal guisa, di alimentare, foggiare e rafforzare
l'opportunismo”.
Qui Lenin è come se si
trasforma non tanto in un analista del sistema mondiale, ma in un
“cronista” di denuncia di ieri come di oggi. Denuncia come i capi
dei partiti socialdemocratici diventano difensori dell'imperialismo,
chiamano all'unità, allora, dell'Europa per combattere i “negri
dell'Africa” e il “grande movimento islamico”, per
mantenere “un esercito e una flotta poderosi...”
Così non si fa sfuggire
il timore delle classi dominanti, per cui anche il dover trasferire
lavoro nei paesi oppressi dall'imperialismo, mentre i ricchi vivono
di rendita, può avere l'effetto di avviare “l'emancipazione
economica e quindi anche politica delle pelli rosse e nere”.
Così
come descrive la trasformazione in Inghilterra delle zone da agricole
in aristocratici campi di gioco, di come aumentino le corse di
cavalli e caccia alla volpe e diminuisca la popolazione produttiva.
Perfino gli studiosi
borghesi – dice Lenin – dell'imperialismo britannico, quando
parlano “della classe operaia inglese
(sono costretti) a tener sistematicamente
distinti l'uno dall'altro lo “strato superiore” dei lavoratori e
lo “strato inferiore propriamente proletario”. Lo strato
superiore fornisce la massa dei membri dei sindacati (e
anche, diciamo noi, dei partiti di sinistra - ndr), delle
cooperative, delle associazioni sportive e delle numerose sette
religiose” (ma anche, diremmo noi, del
gigantesco apparato della chiesa del Vaticano - ndr).
E proseguendo: “Al
suo tenore di vita, è anche adattato il diritto elettorale, che...
“è ancora abbastanza limitato da escludere lo strato inferiore
propriamente proletario”!! – allora i proletari erano esclusi
dal voto, mentre oggi sono i sistemi elettorali e della formazione
del consenso che li escludono, pur avendone formalmente il diritto.
Lenin dice che quando si
parla di classe operaia nei paesi imperialisti, si parla soltanto di
questo strato superiori di essa “che costituisce la minoranza
del proletariato”; e in molti paesi imperialisti, in America
per esempio, ormai questa classe operaia viene chiamata “ceto
medio”. Per esempio – aggiunge Lenin: “La questione della
disoccupazione è questione che riguarda... gli strati proletari
inferiori”... di cui i politicanti borghesi e gli opportunisti
“socialisti” si interessano poco”.
Ma anche la gigantesca
ondata migratoria è ben contenuta nell'analisi e denuncia di Lenin:
“Una delle particolarità dell'imperialismo, collegata
all'accennata cerchia di fenomeni, è la diminuzione dell'emigrazione
dai paesi imperialisti e l'aumento dell'immigrazione in essi di
individui provenienti dai paesi più arretrati, con salari
inferiori...”.
Questi vengono a
costituire l'esercito dei proletari più sfruttati tra i lavoratori
industriali, i lavoratori della terra, i lavoratori delle miniere. E
in tutti i paesi imperialisti (allora come adesso) essi “coprano
i posti peggio pagati, mentre i lavoratori americani danno la maggior
percentuale di candidati ai posti di sorveglianza e ai posti meglio
pagati. L'imperialismo tende a costituire anche tra i lavoratori
categorie privilegiate e a staccarle dalla grande massa dei
proletari... a scindere la classe lavoratrice, a rafforzare in essa
l'opportunismo, e quindi a determinare per qualche tempo il ristagno
del movimento operaio”.
Lenin si rifà a Marx ed
Engels e scrive: “(Essi) seguirono per decenni,
sistematicamente, la connessione dell'opportunismo in seno al
movimento operaio con le peculiarità imperialiste del capitalismo
inglese”.
Riprende, quindi, la
lettera di Engels a Marx del 7 ottobre 1858:
“...l'effettivo,
progressivo imborghesimento del proletariato inglese, di modo che
questa nazione, che è la più borghese di tutte, sembra voglia
portare le cose al punto di avere un'aristocrazia borghese e un
proletariato accanto alla borghesia”.
Ancora in un'altra lettera
Engels parla delle “peggiori Trade-unions inglesi che si
lasciano guidare da uomini che sono venduti alla borghesia o per lo
meno pagati da essa”.
In un'altra lettera a
Kautsly nel 1882, Engels scriveva: “Ella mi domanda che cosa
pensino gli operai della politica coloniale. Ebbene: precisamente lo
stesso che della politica generale. In realtà non esiste qui alcun
partito operaio, ma solo radicali conservatori e radicali-liberali
(sembra la sinistra, anche estrema, di oggi – ndr), e gli operai
(chiaramente dominati da partiti e sindacati dell'opportunismo-
ndr) si godono tranquillamente insieme con essi il monopolio
commerciale e coloniale dell'Inghilterra sul mondo”.
Infine, riprendendo Engels
nella prefazione alla seconda edizione della “Situazione della
classe operaia in Inghilterra”, Lenin traccia un quadro finale,
insuperato dello stato delle cose nell'imperialismo, cause ed
effetti.
“Cause: 1)
sfruttamento del mondo intero per opera di un determinato paese (o
gruppi di paese – ndr); 2) sua
posizione di monopolio sul mercato mondiale; 3) suo monopolio
coloniale.
Effetti: 1)
imborghesimento di una parte del proletariato inglese (in
tutti i paesi imperialisti, diremmo noi);
2) una parte del proletariato si fa guidare da capi che sono comprati
o almeno pagati dalla borghesia”. L'imperialismo dell'inizio del XX
secolo ha ultimato la spartizione del mondo – dice Lenin – tra un
piccolo pugno di Stati, ciascuno dei quali sfrutta attualmente (nel
senso di spremere soprapprofitti) una parte del mondo... Ciascuno di
essi ha sul mercato mondiale una posizione di monopolio grazie ai
trust, ai cartelli, al capitale finanziario e ai rapporti tra
creditore e debitore; ciascuno possiede, fino ad un certo punto, un
monopolio coloniale...(diremmo, un dominio su
alcuni paesi oppressi, su alcune aree del mondo - ndr).
In questo quadro, Lenin
conclude: “La situazione odierna è contraddistinta
dall'esistenza di condizioni economiche e politiche tali da
accentuare necessariamente l'inconciliabilità dell'opportunismo con
gli interessi generali e essenziali del movimento operaio...
L'imperialismo... si è sviluppato in sistema dominante; i monopoli
capitalistici hanno preso il primo posto nell'economia e nella
politica...”. La lotta per la spartizione del mondo
caratterizza il XX secolo e anche l'odierno secolo.
“In nessun paese
- aggiunge Lenin - l'opportunismo può più
restare completamente vittorioso nel movimento operaio per una lunga
serie di decenni... Ma... in una serie di paesi l'opportunismo è
diventato maturo, stramaturo e fradicio, perchè esso, sotto
l'aspetto di socialsciovinismo, si è fuso interamente con la
politica borghese”.
Ieri come oggi
quest'analisi è la più profonda, scientifica, radicale, arma della
critica del sistema mondiale e dell'odierno stato del movimento
operaio e proletario. E la lotta in questo mondo si identifica con la
piena appropriazione di questa arma della critica perchè forgi le
armi del partito operaio autentico, il partito della rivoluzione.
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