Riportiamo stralci di un ricorso contro il prefetto e il questore di Taranto, fatto dall'Avv, Vitale di Torino
AL GIUDICE DI PACE DI TARANTO
Ricorso
ex artt.
13 D. Lgs. n. 286/1998, 18 D.Lgs. 150/2011
Il
sig. ABDURAHEMAN
Mohamed, nato in
Sudan assistito e rappresentato dall’avv. Gianluca Vitale del Foro
di Torino ricorre
CONTRO
il
Prefetto della Provincia di Taranto,
in persona del Prefetto pro-tempore in Taranto, via Anfiteatro 4,
il
Questore della Provincia di Taranto,
in persona del Questore pro-tempore in Taranto.
MOTIVI
IN FATTO
Il
sig. Abduraheman è un cittadino sudanese, nato a Dem Selik, un
villaggio vicino la città di Al Fashir, ad est, nella regione
sudanese del Darfur settentrionale (Al Fashir è il capoluogo di tale
regione).
Egli
appartiene alla tribù Zahaoua.
Il ricorrente è nato
il 2 luglio 1999, ed ha quindi appena 17 anni.
Egli
ha frequentato sei anni di scuola, e sa leggere, sia pure con
difficoltà, l'arabo; non sa leggere e scrivere in caratteri latini.
La
regione in cui viveva il ricorrente, il Darfur, è tristemente nota
in quanto teatro di uno dei
più sanguinosi conflitti bellici degli ultimi anni.
più sanguinosi conflitti bellici degli ultimi anni.
In
particolare la città di Al Fashir è proprio quella in cui avvenne
l'episodio che diede l'avvio, nel lontano 2003, al conflitto: il 23
febbraio di quell'anno un gruppo di ribelli assaltò una base
militare della città, prelevando armi e mezzi dell'esercito.
L'esercito, su ordine del presidente Al Bashir, reagì con estrema
durezza e crudeltà, colpendo indiscriminatamente vari villaggi
sospettati di dare rifugio agli oppositori; in poche ore vi furono
centinaia di vittime, la gran parte delle quali civili. Proprio
questo episodio diede il via a quella che è stata definita dal
coordinatore dei diritti umani in Sudan delle Nazioni Unite la
crisi umanitaria più grande del mondo.
Quanto
alla vicenda personale del ricorrente, egli nel 2014 (quando dunque
aveva appena quindici anni) veniva condotto con la forza, così come
molti altri giovani, presso un campo militare nei pressi
dell'aeroporto di Al Fashir; qui passava un periodo di quindici
giorni di addestramento militare (veniva soprattutto addestrato a
sparare contro delle sagome di legno). Nella zona, infatti, sono da
tempo in atto campagne di arruolamento forzato anche dei minorenni,
da parte delle forze fedeli al governo di Khartoum; dopo un periodo
di sommario addestramento militare le reclute vengono mandate a
combattere nei vari fronti di guerra, soprattutto in altre zone della
regione del Darfur, contro i ribelli.
Dopo
i primi quindici giorni di addestramento gli veniva concessa una
breve licenza per andare a casa a salutare i familiari prima di
partire per la destinazione finale (non gli veniva detto dove sarebbe
stato mandato, ma egli è certo che sarebbe stato inviato in un
fronte di conflitto in Darfur).
Il
ricorrente approfittava di tale periodo per disertare e fuggire;
andava prima a Ubeit, sulla strada per Khartoum, su un camion dal
quale otteneva un passaggio. Quindi si trasferiva ad Al Jazera,
vicino Khartoum. Qui si fermato circa un anno, per poi tornare a
Khartoum.
Nella
primavera del 2016 decideva quindi di fuggire dal Paese, temendo che
prima o poi sarebbe stato riconosciuto come persona che proveniva dal
Darfur ed arruolato a forza.
Si
recava dunque, nel mese di maggio 2016, in Egitto. il 28 luglio 2016 si imbarcava da
Alessandria su un gommone, insieme a molto altri migranti. Dopo circa
quattro ore di navigazione i passeggeri venivano trasferiti su un
piccolo peschereccio, dove navigavano per altri quattro giorni;
infine venivano trasferiti insieme a molti altri migranti su un
peschereccio più grande. Dopo altri sei giorni di navigazione, allo
stremo delle forze, venivano infine tratti in salvo da una
imbarcazione italiana (presumibilmente della guardia costiera) e
condotti a Catania.
Qui
il ricorrente veniva inizialmente fotosegnalato.
Trasferito
a Firenze insieme ad altre sette persone, veniva accompagnato in una
casa, dove gli veniva solo riferito che lì avrebbe potuto fermarsi
una notte, ed avrebbe poi dovuto trovare un'altra sistemazione; da
qui non riuscendo a capire cosa potesse fare, che prospettive avesse,
se potesse o meno ottenere l'asilo, si trasferiva a Milano, dove gli
era stato detto che avrebbe potuto trovare aiuto da altri migranti. A
Milano si fermò circa quattro giorni, per poi recarsi a Ventimiglia,
dove gli era stato riferito che avrebbe potuto trovare un vero aiuto
e forse anche la possibilità di recarsi in Francia, dove gli sarebbe
stata assicurata una migliore sistemazione (questo quanto egli
comprendeva).
Il
19 agosto il ricorrente, ed altri 56 cittadini sudanesi, veniva
fermato dalla polizia; condotto in un posto di polizia della zona
(egli ricorda che il posto di polizia era vicino al confine con la
Francia) veniva sottoposto a nuove rilevazioni delle impronte. Dopo
una notte passata nel posto di polizia, privati della libertà
personale venivano condotti con la forza su un autobus, nel quale
iniziavano il viaggio verso una destinazione sconosciuta. Solo giunti
a destinazione comprendevano di essere stati trasferiti a Taranto
(all'interno del c.d. HotSpot). Anche durante il viaggio i migranti
erano privati della libertà personale, guardati a vista anche nelle
poche pause fatte ed impossibilitati ad allontanarsi.
A
Taranto venivano sistemati all'interno di due tende, all'interno di
un'area recintata e controllati a vista da personale di polizia.
In
data 22 agosto 2016 gli veniva notificato il provvedimento di
espulsione.
Durante
la permanenza nell'HotSpot (il ricorrente non era a conoscenza del
luogo in cui era stati rinchiuso; ha solo successivamente compreso di
essere stato trattenuto in un c.d. Hot Spot) il gruppo di persone lì
tradotte da Ventimiglia incontravano singolarmente un funzionario di
polizia che, insieme ad un interprete maghrebino, chiedeva a ciascuno
se intendesse chiedere “la protezione internazionale”; il
ricorrente, non avendo compreso il significato della domanda,
chiedeva spiegazioni, ma gli veniva risposto che avrebbe solo dovuto
rispondere si o no.
Egli
rispondeva negativamente, come peraltro gli altri soggetti.
Il
24 agosto 2016 veniva adottato dal Prefetto di Taranto decreto di
trattenimento presso il CIE di Torino, dove nel frattempo il
ricorrente – così come gli altri soggetti di nazionalità sudanese
trattenuti da Ventimiglia – era stato condotto; qui i trattenuti
erano costretti ad incontrare un soggetto che essi hanno individuato
quale inviato del Consolato o dell'Ambasciata sudanese, il quale ha
rivolto loro alcune domande.
Il
gruppo veniva dunque condotto all'aeroporto di Torino, dove alcuni di
loro venivano imbarcati con la forza su un volo diretto in Sudan; il
ricorrente ed altre sei persone venivano, invece, condotti presso il
locale C.I.E.
In
data 6 settembre 2016, avendo incontrato un legale ed avendo
finalmente compreso il motivo per cui era stato trattenuto ed il
significato del termine “protezione internazionale”, inoltrava la
relativa domanda.
E'
attualmente in attesa dell'audizione personale avanti la Commissione
territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di
Torino, fissata per il giorno 4 ottobre 2016.
Avverso
il decreto di espulsione del Prefetto di Taranto, nonché avverso il
consequenziale decreto di accompagnamento alla frontiera ed il
decreto di trattenimento, viene proposto il presente ricorso, per i
seguenti
MOTIVI
IN DIRITTO
1)
Violazione
di legge in relazione all'art. 19, co. 2, lettera a, D.Lgs. 286/98.
L'art.
19 D.Lgs. 286/98, prevede che non possa essere espulso lo
straniero minorenne, salvo il diritto a seguire il genitore o
l'affidatario espulsi.
Nei
confronti del ricorrente, minore di anni 18, avendo da poco compiuto
i 17 anni, non avrebbe potuto essere adottato un decreto di
espulsione.
2)
Violazione di legge in relazione agli artt. 5,
co. 6, 19, co. 1, D.Lgs. 286/98, all’art. 28 D.P.R. 394/99,
all'art.
10,
co. 3, Costituzione, all'art. 3 della Convenzione Europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali,
ratificata
e resa esecutiva con legge 848/55, agli artt. 1 e 33 della
Convenzione
diGinevra del 28.7.1951, ratificata e resa esecutiva con legge
722/54. Eccesso di potere per erroneità e difetto di motivazione.
Carenza di istruttoria
L'art. 19, co. 1, del D.Lgs. 286/98 prevede che “in nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso uno Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione”.
Occorre,
inoltre, richiamare l'art. 3 della Convenzione Europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (di
seguito CEDU), ratificata
e resa esecutiva con 1. 848/55. Tale disposizione, in cui si prevede
che "nessuno
può essere sottoposto a torture o pene inumane o degradanti”,
vieta
dunque ogni comportamento di uno Stato cui possa conseguire il
rischio
per l'interessato di essere sottoposto a torture o pene inumane o
degradanti,
ivi compresa l'espulsione verso uno Stato dove sussista tale rischio.
L'art. 5, co. 5, del richiamato Testo Unico Immigrazione prevede, inoltre, che debba essere rilasciato il permesso di soggiorno, anche in assenza degli ulteriori requisiti di cui al Testo Unico Immigrazione, quando sussistano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o derivanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato, che ne impongano di autorizzare il soggiorno e dunque di non allontanare l'interessato.
Nel caso di specie il ricorrente è esposto a gravi rischi di persecuzione nel Paese di provenienza, dove la libertà della sua persona, la sua incolumità fisica e la sua stessa esistenza in vita sarebbero gravemente in pericolo.
Egli,
infatti, proviene da un'area sconvolta da un sanguinoso conflitto
ultradecennale, che ha causato centinaia di migliaia di morti.
In
particolare, la zona dalla quale egli proviene è stata quella in cui
si è svolto l'episodio che ha scatenato la fase cruenta del
conflitto.
Distruzione
di interi villaggi, stupri etnici, arruolamenti forzati, sono la
norma in tale area, mettendo in pericolo l'incolumità e la vita dei
civili.
A
ciò si aggiunga che il ricorrente era stato forzatamente arruolato –
peraltro quando, anche a voler prescindere dalla presunzione di
attuale minore età sopra richiamata, era comunque minorenne: anche
ove si ritenga corretta la data di nascita del 1997 egli avrebbe
avuto, nel 2014 ovvero all'epoca del suo arruolamento forzato, 17
anni. Ben può ritenersi che egli appartenga alla categoria dei
“bambini soldato” - al fine di costringerlo a combattere in tale
sanguinosa guerra.
Situazione,
quella nel Darfur, che si inserisce nella generale gravissima
violazione dei diritti umani commessa dalle autorità in tutto il
Sudan (con sparizioni forzate, arrti arbitrari, torture, violazione
della libertà di stampa).
A
nulla rileva che non risulti che egli abbia richiesto, in precedenza,
il riconoscimento della protezione internazionale: in primo luogo
tale carenza è derivata da una violazione dell'obbligo di adeguata
informazione
La
Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. VI, ord. 25.3.2015, n. 5926) ha,
infatti, sancito il seguente principio di diritto: “qualora
vi siano indicazioni che cittadini stranieri o apolidi, presenti ai
valichi di frontiera in ingresso nel territorio nazionale, desiderino
presentare una domanda di protezione internazionale, le autorità
competenti hanno il dovere di fornire loro informazioni sulla
possibilità di farlo, garantendo altresì servizi di interpretariato
nella misura necessaria per agevolare l'accesso alla procedura di
asilo, a pena di nullità dei conseguenti decreti di respingimento e
trattenimento”.
Tale principio è stato formulato sulla scorta anche della
giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.
E'
di tutta evidenza come tale informazione non può limitarsi alla mera
formulazione della domanda se si voglia o meno proporre istanza di
protezione
internazionale,
ove tale domanda non sia accompagnata (anzi preceduta) da una
adeguata informazione, che metta l'interessato di comprendere cosa
gli venga richiesto, quale sia il significato della richiesta, le
conseguenze della richiesta, la procedura,...
3) Violazione di legge in
relazione all’art. 4, co. 3 e 4, D.P.R. 394/99. Eccesso di potere.
deve anche porsi particolare
attenzione nel comunicare la sua presenza all’autorità diplomatica
o consolare del suo paese, atteso che ciò ben potrebbe aggravare
esponenzialmente i rischi di persecuzione cui egli potrebbe essere
esposto. Sapere che il proprio concittadino si trova clandestinamente
in Italia, e che è dunque espatriato irregolarmente dal proprio
Paese, lo espone a gravissimi rischi di ritorsioni in patria.
La
comunicazione alle autorità consolari, nonché la predisposizione di
un incontro di identificazione con le medesime, costituisce essa
stessa violazione dell’art. 3 CEDU, esponendo l’interessato ad
ulteriori e più gravi rischi di torture e/o trattamenti inumani e
degradanti.
4)
Violazione di legge in relazione all’art. 13, co. 2, D.Lgs. 286/98.
Eccesso di potere per incompetenza per territorio dell’autorità
amministrativa. Illegittimità derivata.
L’art.
13, secondo comma, del T.U. Immigrazione prevede che l’espulsione
sia adottata dal Prefetto nei casi di c.d. clandestinità,
irregolarità, pericolosità sociale.
Pur
nel silenzio della norma pare doversi necessariamente ritenere che
competente per l’accertamento dei presupposti per l’applicazione
dell’espulsione non possa cheessere il Prefetto competente sul
luogo ove la violazione venga commessa o accertata.
Di conseguenza è del tutto illegittimo il
comportamento/provvedimento fattuale con il quale il Prefetto del
luogo dell’accertamento demandi ad altro Prefetto la decisione
circa l’adozione o meno di un provvedimento di allontanamento,
nonché il comportamento/provvedimento fattuale con il quale
l’Autorità di Polizia, fermato un cittadino straniero in una
provincia (nella specie Imperia), lo conduca manu militare in altra
provincia (nella specie Taranto) per la “trattazione”.
In
altre parole del tutto illegittimamente il ricorrente, fermato a
Ventimiglia, è stato condotto a Taranto, non essendovi alcuna legge
o atto avente forza di legge (vige in materia di privazione di
libertà personale la più rigorosa riserva di legge) che legittimi
tale privazione della libertà personale.
5)
Violazione dell’art. 4 Protocollo 4 della Convenzione Europea per
la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle Libertà
Fondamentali, ratificato e reso esecutivo con DPR 217/82.
L’art.
4 del Protocollo n. 4 alla CEDU espressamente sancisce il divieto di
espulsioni collettive di stranieri.
Nel
caso di specie appare evidente come si sia trattato in realtà, pur
in presenza di formali provvedimenti individuali, di una procedura di
espulsione collettiva: i migranti sono stati tutti fermati nel
medesimo territorio ed occasione (a Ventimiglia), ed hanno tutti
seguito esattamente lo stesso percorso di privazione della libertà
personale da Ventimiglia a Taranto (dove sono stati condotti tutti
insieme su autobus), durante il trattenimento a Ventimiglia (nel c.d.
Hot Spot, nella stessa tenda), nel trasferimento a Ventimiglia
(nuovamente in autobus e collettivamente), nell’incontro con le
Autorità sudanesi (a Ventimiglia), nel trasferimento a Torino. E’
solo giunti all’aeroporto che il gruppo più significativo di
persone è stato imbarcato con la forza su un volo diretto in Sudan
ed un altro gruppo è stato invece condotto al locale CIE.
Nessun commento:
Posta un commento