Obiettivo: un ruolo maggiore nei Paesi d’origine dei migranti
dal corrieredellasera
NEW YORK Alcune centinaia di soldati italiani in più nei contingenti dei Caschi blu dell’Onu impegnati in 16 missioni di pace nel mondo. È questo il «dono» che il premier Matteo Renzi, da ieri a New York per l’Assemblea generale, porta all’Onu arrivata al 70esimo compleanno. Onorato dal Papa col suo discorso di venerdì, l’organismo internazionale al quale, dopo la Seconda guerra mondiale, fu dato il compito di prevenire i conflitti e intervenire per farli cessare, vive una fase molto delicata, quasi una crisi di identità.
Alcune delle missioni che continua a svolgere sono essenziali, ma la sua capacità di incidere sulle nuove crisi sono molto ridotte e le principali novità diplomatiche dell’ultimo anno, dall’accordo nucleare con l’Iran al riavvicinamento Usa-Cuba propiziato dal Vaticano, si sono materializzate lontano dal Palazzo di Vetro. Che è ancora il luogo più importante nel quale si cercano intese per il progresso dell’umanità, ma quella principale in preparazione — il nuovo protocollo planetario contro i mutamenti climatici che dovrebbe essere siglato alla conferenza di Parigi, a dicembre — se si concretizzerà passerà probabilmente alla storia come il patto fortemente voluto da Obama: il presidente americano lo ha promosso con gli impegni presi da Washington, l’accordo degli Usa con la Cina (primo inquinatore mondiale) per la riduzione delle emissioni e le sue pressioni sull’India e altri Paesi responsabili dell’effetto serra.
Anche sui Caschi blu l’Onu, col segretario Ban Ki-moon arrivato all’ultimo anno del suo mandato, viene in un certo senso scavalcato da Obama che, preoccupato per la crisi delle attività di peacekeeping, ha convocato per lunedì pomeriggio, dopo il suo intervento all’Assemblea generale e prima del summit con Vladimir Putin, un vertice per chiedere a molti Paesi, soprattutto occidentali, di impegnarsi di più.
«Con circa 100 mila uomini divisi in 16 missioni questa struttura Onu essenziale per gli interventi umanitari e per la sicurezza non è mai stata così sotto stress» spiega, in un briefing alla Casa Bianca, Steve Pomper, direttore Affari multilaterali del Consiglio per la Sicurezza Nazionale. «Il presidente ha sollecitato molti Paesi a incrementare i contributi, ci aspettiamo molte risposte positive da questo vertice».
Più specificamente: oggi i Caschi blu sono 106 mila,
cioè molto pochi rispetto alle esigenze ma, soprattutto, sono male equipaggiati. Vengono soprattutto da Bangladesh, Etiopia, India, Pakistan e Ruanda e, ad esempio, il contingente che opera in Mali, privo dell’occhio dei droni da ricognizione, qualche giorno fa è stato colto di sorpresa da un attacco terroristico nel quale sono rimasti uccisi sei soldati della forza di pace. I militari europei, che un tempo costituivano il 40 per cento delle forze schierate sotto la bandiera dell’Onu, ora sono ridotti al 7 per cento.
cioè molto pochi rispetto alle esigenze ma, soprattutto, sono male equipaggiati. Vengono soprattutto da Bangladesh, Etiopia, India, Pakistan e Ruanda e, ad esempio, il contingente che opera in Mali, privo dell’occhio dei droni da ricognizione, qualche giorno fa è stato colto di sorpresa da un attacco terroristico nel quale sono rimasti uccisi sei soldati della forza di pace. I militari europei, che un tempo costituivano il 40 per cento delle forze schierate sotto la bandiera dell’Onu, ora sono ridotti al 7 per cento.
Per questo gli Stati Uniti premono per un rafforzamento, nonostante Washington dia un contributo molto limitato in termini di uomini: meno di cento, per motivi che vanno dall’impegno militare su altri fronti al rifiuto di assoggettare i loro soldati a giurisdizioni diverse da quella americana, a motivi di opportunità. Ma gli Usa danno un forte contributo sul piano economico e tecnico: coprono il 28% degli 8,2 miliardi di dollari spesi ogni anno per il peacekeeping, aviotrasportano truppe e materiali, offrono droni da ricognizione.
Domani Obama raccoglierà diverse risposte positive. Ci sono già impegni del Giappone e dell’India. Anche il premier David Cameron ha detto che la Gran Bretagna farà di più.
Italia è già oggi il Paese occidentale maggiormente impegnato nel peacekeeping con un po’ meno di duemila uomini, più della metà dei quali dislocati in Libano, in una missione di pace a guida italiana. Nonostante ciò, Renzi ha deciso di rispondere positivamente all’appello di Obama e ciò, sostanzialmente, per tre motivi. Intanto perché, restando sul pratico, col prossimo ritiro delle forze italiane dall’Afghanistan (previsto al momento entro gennaio) si libereranno forze che possono essere impiegate su altri fronti. Poi per dare sostanza alla nostra pressante richiesta di un maggiore coinvolgimento Onu nella crisi libica: il peacekeeping non riguarda direttamente questo Paese perché a oggi non è ipotizzabile un invio di Caschi blu. Stentano a decollare anche le iniziative contro gli scafisti e l’oscuro episodio rivelato ieri, l’eliminazione di un trafficante, non agevola un negoziato che il mediatore Bernardino León, ormai giunto alla fine del suo mandato, non è riuscito a sbloccare. All’Onu Renzi e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni avranno molti colloqui sulla Libia, eserciteranno pressioni, ma per i risultati bisognerà ancora aspettare.
C’è, però, una terza buona ragione per dare una risposta positiva alla richiesta di un maggior impegno italiano: molte delle missioni di peacekeeping per le quali servono nuovi Caschi blu vengono svolte in aree dell’Africa — Mali, Repubblica Centroafricana, Darfur, fino al lontano Congo — dalle quali provengono molti dei migranti e dei profughi che attraversano il Mediterraneo. E Renzi, unico leader europeo alla conferenza per la cooperazione e lo sviluppo dell’Africa del luglio scorso, è molto impegnato in questa parte del mondo.
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