Questo articolo contro la propaganda del governo smentisce
ancora una volta
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Sugli scioperi il governo Meloni e i suoi cantori portano avanti una propaganda ben rodata: le astensioni dal lavoro sono troppe, condotte da una minoranza di sindacalisti irresponsabili contro una maggioranza di cittadini danneggiati, e vengono organizzate solo quando c’è la destra al potere. Come invocano le associazioni padronali, bisogna dunque disciplinare, irreggimentare, comprimere ulteriormente il già limitato esercizio del diritto costituzionale a scioperare.
Questa posizione, in effetti, non caratterizza solo
l’attuale governo italiano. Anche all’estero, varie forze di governo hanno
manifestato aperta ostilità verso le astensioni dal lavoro. Dalla Gran Bretagna
alla Francia, dall’Austria all’Olanda, passando per vari stati americani, la
tendenza degli esecutivi a ritenere che gli scioperi siano troppi e vadano
repressi è un tratto distintivo dell’epoca in cui viviamo.
Eppure, per quanto diffusa, la tesi che gli scioperi siano
«troppi» è smaccatamente falsa.
Se prendiamo i dati ufficiali della International Labour Organization (ILO)
sulle ore di mobilitazione
Inoltre, i dati mostrano una caduta della variabilità degli
scioperi tra nazioni di oltre l’80 percento. Questo significa che c’è stata
convergenza internazionale al ribasso, nel senso che i paesi dove in passato si
tendeva a scioperare maggiormente hanno finito per somigliare sempre più a
quelli in cui gli scioperi sono rari. Danimarca, Germania, Spagna e altre
nazioni, in cui il numero di interruzioni del lavoro si aggirava intorno alle
centinaia annue, tendono sempre più a scivolare verso le medie di Stati uniti e
Australia, dove in genere gli scioperi si riducono a poche decine ogni anno.
E l’Italia? Il nostro paese si caratterizza per una grave
lacuna informativa. L’ILO non riesce ad aggiornare i nostri dati sugli scioperi
dal momento che le rilevazioni Istat sono ferme al 2009. In uno scritto di fine
Ottocento, Francesco Saverio Nitti lamentava che «non ci sono buone statistiche
sugli scioperi italiani». Dopo oltre un secolo, la situazione non sembra
migliorata. Il nuovo presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, farebbe
bene a risolvere questa imbarazzante situazione.
Nell’attesa che l’Istat batta un colpo, per fortuna non sono
mancati ricercatori che hanno aiutato a colmare il vuoto statistico. Uno studio
recente di Ilaria Maroccia e Gilberto Turati dell’Università Cattolica mostra
che nel declino internazionale degli scioperi l’Italia segue perfettamente la
tendenza. Anzi, per certi versi può esser messa tra i capofila del crollo.
Tra il 1973 e il 2009, in Italia i conflitti di lavoro annui
passano da 5.598 complessivi a meno di mille, una precipitazione superiore
all’80 percento. Per il periodo successivo, un dato disponibile è la
Rilevazione Istat sulle grandi imprese dell’industria e dei servizi, da cui si
evince che la caduta si accentua ulteriormente: tra il 2005 e il 2022 si passa
da circa 30 ore di sciopero a meno di 10 ore di sciopero per ogni mille ore di
lavoro, una discesa di altri due terzi.
Non fanno eccezione la sanità e gli altri servizi pubblici
essenziali, né tantomeno i trasporti, tutti settori che specialmente dopo la
pandemia hanno visto ridursi drasticamente le astensioni dal lavoro: stando ai
dati della Commissione di garanzia sugli scioperi, in cinque anni il declino è
tra il 25 e il 40 percento.
I dati smentiscono pure il vittimismo della destra. Dalla
contabilità delle ore di sciopero per settore, non si registrano apprezzabili
differenze tra i periodi di governo della destra, del centro-sinistra,
dell’esecutivo giallo-verde «populista» o delle compagini «tecnocratiche» di
Monti e Draghi: in tutti i casi, persiste la tendenza di lungo periodo al calo
degli scioperi.
I dati parlano chiaro, dunque. Gli scioperi non sono affatto troppi, semmai
sono pochi. Soprattutto in Italia, dove il degrado dei salari reali e delle
condizioni di lavoro e di vita ha ormai raggiunto livelli record nel raffronto
internazionale.
(il manifesto di oggi)
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