All'incontro di giovedì scorso, 28 febbraio, si è dato più spazio alle domande, interventi dei compagni e compagne, che avevano individualmente studiato il 2° capitolo de “Le lotte di classe in Francia”, comprendendone la sostanza e la sua pregnante attualità nella analisi critica della piccola borghesia e delle sue eterne illusioni riformiste, parlamentariste, ma che avevano trovato anche difficoltà in alcuni passaggi del testo, soprattutto lì dove Marx analizza la dinamica del rapporto tra la frazione dominante della borghesia/la piccola borghesia democratica e il proletariato.
Però si conferma giusto il metodo di fare sia lo studio individuale che lo studio/approfondimento/discussione collettiva, perchè è necessario uno sforzo soggettivo di ogni compagna, compagno perchè si arrivi ad una comprensione vera che resta in ogni compagno e diventa conoscenza propria, e non semplice assimilazione.
In questo senso, il metodo di portare nel gruppo di studio interventi scritti, come fa in particolare una compagna, è buono e utile, e va seguito, come esempio, da tutti i compagni e in ogni incontro.
L'incontro di giovedì si è aperto con la lettura di interventi di altre sedi, in particolare Ravenna e del compagno in Tunisia – perchè, come è stato detto fin dall'inizio, si tratta di uno studio collettivo, parte del piano di Partito di formazione teorica e di crescita dei compagni; quindi, il confronto tra le varie sedi è da un lato stimolante, a volte anche in termini critici, dall'altro consolida la finalità comune di questo lavoro.
Quindi, si è entrati nel merito del 2° capitolo de “Le lotte di classe in Francia”, sintetizzando i punti
principali, le “leggi”, valide allora come oggi che emergono dall'analisi di Marx:
In particolare:
“La piccola borghesia non può avere una posizione rivoluzionaria contro la borghesia se non in quanto abbia dietro di sé il proletariato”. Marx
La piccola borghesia ha bisogno del proletariato che scende in campo per appoggiare il cambiamento; ma finché questo cambiamento è funzionale o compatibile con gli interessi della borghesia, questo appoggio viene voluto ed ostentato, non appena però appaiono gli interessi differenti e quindi autonomi del proletariato anche la frazione più radicale della piccola borghesia si unisce alla borghesia nel suo insieme per respingere, soffocare le rivendicazioni del proletariato. Ma il passaggio successivo è quello per cui la borghesia non ha più bisogno delle forze della piccola borghesia e questa si trova senza la borghesia e senza la forza del proletariato.
La piccola borghesia è una classe che non ha futuro, attaccata da una parte e dall'altra, pensa di poter godere di una fetta di potere usando prima il proletariato, poi schiacciandolo, ma viene schiacciata essa stessa.
Su questo illuminante è stato leggere il pezzo del testo in cui Marx descrive in maniera chiara e ironica, questa situazione: “quando le barricate furono abbattute e gli operai schiacciati, i negozianti ebbri di vittoria tornarono precipitosamente alle proprie botteghe e ne trovarono barricato l’ingresso da un salvatore della proprietà, da un agente ufficiale del credito che agitava loro in faccia… cambiale scaduta! Fiotto scaduto!… Bottega fallita! Bottegaio fallito!”
Anche qui - è stato detto - Marx segnala una legge generale del movimento delle classi: “i piccolo borghesi riconobbero con terrore che schiacciando i proletari si erano consegnati senza resistenza nelle mani dei loro creditori… La loro proprietà nominale era stata lasciata in pace fino a che si era trattato di spingerli sul campo di battaglia in nome della proprietà, ora che si era regolato il grande affare col proletariato si poteva tornare a regolare anche il piccolo affare con il droghiere”.
Il proletariato, quindi, non può farsi trascinare nelle contese borghesi.
Un compagno ha segnalato un passo del libro, non compreso esattamente nello studio individuale, in cui Marx descrive come la borghesia al potere che all'inizio sembra “rivoluzionaria” (e lo è rispetto al dominio feudale, della frazione monarchica) una volta al potere, per schiacciare il proletariato e mettere fuori la piccola borghesia, via via fa propri i contenuti della frazione della borghesia reazionaria.
Su questo ci si è soffermati per comprendere la profonda differenza tra la rivoluzione borghese e la rivoluzione proletaria; l'una per sostituire al potere di una classe, un altro potere, quello della borghesia che è sempre una minoranza contro la maggioranza del popolo; l'altra è la rivoluzione della maggioranza per mettere fine alle classi.
E' stata, poi, evidenziata la critica pungente della querelle parlamentare, dello “scontro” di “petizioni contro petizioni” sostituito dalla piccola borghesia alla lotta vera; la denuncia precisa delle illusioni elettorali, lo smascheramento dell'apparenza e della sostanza della Costituzione repubblicana, dei suoi “principi” - come sono usati dalla borghesia contro il proletariato e le masse popolari per eternizzare il suo potere, come sono interpretati dalla piccola borghesia per conciliare gli interessi di classe opposti degli operai e della borghesia; ecc.
Questo 2° capitolo - è stato detto - può presentare alcune difficoltà ma è stimolante ed entusiasmante nel mostrare la lotta delle classi nella loro dinamica concreta; è un'arma, un metodo scientifico che ci viene consegnato da Marx per analizzarle oggi.
E, quindi, nel dibattito si è tornati sull'oggi.
Si è tornati sui Gilet gialli, verso cui i comunisti, ha detto un compagno operaio, non possono guardare in maniera acritica o stare nella loro lotta senza analizzare le classi presenti, in maggioranza piccola borghesia, ma anche borghesia proprietaria; i comunisti devono sostenere solo i settori proletari, che comunque sono anche ora una minoranza; gli operai delle fabbriche, la gioventù proletaria delle banlieues non sono presenti in quanto tali.
Sempre sulla analisi delle classi, si è cercato di comprendere meglio la composizione delle classi nei quartieri delle periferie delle cittadelle imperialiste (dalle banlieues in Francia, ai quartieri dormitorio come Paolo VI a Taranto), sgomberando una visione di quartieri con prevalenza di sottoproletariato, “occupati” dalla grande e piccola criminalità; in questi quartieri la maggioranza sono i proletari e la gioventù proletaria; le loro rivolte, quando ci sono state, vedi Francia, con l'uso di attacchi duri alla polizia, ai simboli borghesi (macchine) sono giuste e vanno appoggiate, espressione della giusta ribellione contro la polizia, lo Stato che reprime e opprime, i governi.
I disoccupati, che vivono in questi quartieri, sono proletari, parte del proletariato o di riserva per il capitale o espulsi dal capitale.
Altra questione affrontata è l'analisi odierna della piccola borghesia e dei suoi rappresentanti. Questi vanno al potere, prendono voti usando la delusione della piccola borghesia, e di settori proletari che ragionano come la piccola borghesia in aperto contrasto con la loro differente condizione, ma poi non mantengono le loro promesse. E i settori della piccola borghesia che li hanno votati si trovano senza la forza del proletariato e abbandonati dai loro stessi “padrini” borghesi.
Ugualmente è stato naturale, sulla questione della Costituzione borghese – forma democratica, contenuto e fine reazionario - fare un parallelo da un lato con quanto avvenne in Italia dopo la Resistenza, quando la borghesia aprì il parlamento e il governo ai rappresentanti del proletariato che aveva fatto la lotta armata antifascista, ma per poi o inglobarli nel suo sistema o metterli fuori; dall'altro con la contraddizione, solo apparente, tra principi “democratici” della nostra Costituzione e loro applicazione effettiva – anche qui in Italia mettere al primo punto la questione del “lavoro”, nasconde che di “lavoro salariato” si tratta.
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