1. LA FORMULA GENERALE
DEL CAPITALE.
“La circolazione delle merci è il punto di partenza del capitale. La
produzione delle merci e la circolazione sviluppata delle merci, cioè il commercio, costituiscono i presupposti storici del suo nascere. Il
commercio mondiale e il mercato mondiale aprono nel secolo XVI la storia
moderna della vita del capitale.”
Così comincia Marx
questo quarto capitolo e ci dice che la prima forma in cui appare il capitale è
il denaro. Infatti “Ogni nuovo
capitale calca la scena, cioè il mercato - mercato delle merci, mercato del
lavoro, mercato del denaro - in prima istanza come denaro, ancora e sempre:
denaro che si dovrà trasformare in capitale attraverso processi determinati.”
Il “denaro come denaro”, abbiamo visto, serviva a far circolare le
merci (mezzo di circolazione: M-D-M: trasformazione di merce in denaro e
ritrasformazione di denaro in merce, vendere
per comprare.), “Ma accanto a questa forma, ne troviamo una seconda,
specificamente differente, la forma D-M-D:
trasformazione di denaro in merce e ritrasformazione di merce in denaro, comprare
per vendere. Il denaro che nel
suo movimento descrive quest'ultimo ciclo, si trasforma in capitale, diventa
capitale, ed è già capitale per sua destinazione.”
Nella forma M-D-M è la
merce al centro dello scambio, il suo
valore d’uso, e il suo movimento si conclude con il consumo, mentre “Nella forma inversa, D-M-D, invece, il compratore
spende denaro per incassare denaro come venditore. Alla compera della merce
egli getta denaro nella circolazione, per tornare a sottrarlo a mezzo della
vendita della stessa merce. Non lascia andare il denaro che con la perfida
intenzione di tornarne in possesso. Il denaro viene quindi soltanto anticipato.”
“Il risultato nel quale
si risolve tutto il processo è: scambio
di denaro contro denaro, D-D.
Se, per es., compero per 1.000 sterline (cifre arbitrarie) duemila quintali di
cotone e rivendo i duemila quintali di cotone per 1.500 sterline, in fin dei
conti ho scambiato 1.000 sterline contro 1.500 sterline, denaro contro denaro.”
Qui non conta la qualità ma la quantità!
Quello che è importante
qui, dice Marx, è “Il riafflusso del
denaro al suo punto di partenza” e questo qui “non dipende dal fatto che la
merce sia venduta più cara di quanto sia stata comprata” perché “Senza questo riafflusso l'operazione è
fallita, ossia il processo è
interrotto e non è ancora compiuto, perché manca la seconda fase di esso,
la vendita che integra e conclude la compera.”
Siccome, come abbiamo
visto, non ha senso scambiare cose uguali con cose uguali, il possessore di
denaro fa questa operazione “rischiosa”, cioè “getta” denaro nella
circolazione, perché vuole trarre più denaro dalla circolazione, più di “quanto ve ne sia stato gettato al
momento iniziale.” Il cotone comprato a 1.000, per esempio, viene venduto
una seconda volta a 1000 + 500, ossia a 1.500. “La forma completa di questo
processo – dice Marx - è quindi D-M-D',
dove D' = D + ΔD, cioè è uguale alla somma di denaro originariamente
anticipata, più un incremento. Chiamo plusvalore
(surplus value) questo incremento, ossia questa eccedenza sul valore
originario. Quindi nella circolazione il
valore originariamente anticipato non solo si conserva, ma in essa altera
anche la propria grandezza di valore,
aggiunge un plusvalore, ossia si valorizza. E questo movimento lo trasforma in capitale.”
Questa somme, il denaro
iniziale più l’incremento, non devono essere spese definitivamente altrimenti
“Cesserebbero di essere capitale. Sottratti alla circolazione, si pietrificano
in un tesoro e non s'accrescono neppure d'un centesimo … Il risultato è un solo valore di 1.500 che si trova
nella stessa e corrispondente forma, cioè pronto
a cominciare il processo di valorizzazione, come i 1.000 originari. Alla
fine del movimento, risulta, ancora, denaro,
e come nuovo inizio del movimento.
Quindi la fine di ognuno dei singoli
cicli nei quali si compie la compera per la vendita, costituisce di per se
stessa l'inizio di un nuovo ciclo.
La circolazione semplice delle merci - la vendita per la compera - serve di
mezzo per un fine ultimo che sta fuori della sfera della circolazione, cioè per
l'appropriazione di valori d'uso, per la soddisfazione di bisogni. Invece, la circolazione del denaro come
capitale è fine a se stessa, poiché la valorizzazione del valore esiste
soltanto entro tale movimento sempre rinnovato. Quindi il movimento del
capitale è senza misura.”
“Il
possessore di denaro diventa capitalista nella sua qualità di veicolo
consapevole di tale movimento. La sua persona, o piuttosto la sua tasca, è il punto di partenza e di ritorno del denaro.
Il contenuto oggettivo di quella circolazione - la valorizzazione del valore -
è il suo fine soggettivo, ed egli funziona come capitalista, ossia capitale
personificato, dotato di volontà e di consapevolezza, solamente in quanto l'unico motivo propulsore delle sue
operazioni è una crescente appropriazione della ricchezza astratta. Quindi
il valore d'uso non dev’essere mai considerato fine immediato del capitalista.
E neppure il singolo guadagno: ma soltanto
il moto incessante del guadagnare … Quindi il denaro costituisce il punto
di partenza e il punto conclusivo d'ogni processo di valorizzazione. Era 1.000,
ora è 1.500, e così via.”
“Di fatto, quindi, D-M-D', è la formula generale del capitale, come esso si presenta
immediatamente nella sfera della circolazione.”
2. CONTRADDIZIONI DELLA
FORMULA GENERALE
In questo pezzo Marx
chiarisce il fatto che dallo scambio di
equivalenti non può nascere nessun di più, non ci si può arricchire, e fa
un po’ di esempi che avvengono all’interno
del processo di circolazione. Per quanto riguarda il valore d'uso, per esempio, dallo scambio si può dire che “entrambe
le parti guadagnano”. Perché coloro che scambiano usano la merce per i propri
bisogni, il proprio consumo.
Se si guarda al valore di scambio invece non ci sarebbe
nemmeno questo “guadagno” in cose utili; se si scambia merce che vale 100, per
es. grano, con altra merce che vale 100, per es. vino “Questo scambio non è un aumento del valore di
scambio né per l'uno né per l'altro”; lo
scambio di equivalenti, quindi, se il fenomeno avviene allo stato puro, non è un mezzo di arricchirsi di valore.
“Quindi, dietro ai tentativi di rappresentare la
circolazione delle merci come fonte di plusvalore, sta in agguato per lo
più un quid pro quo, una confusione fra
valore d'uso e valore di scambio.” “Tuttavia, nella realtà, le cose non si
svolgono allo stato puro.”
Supponiamo quindi, dice
Marx, uno scambio di non equivalenti
tra venditore, possessore di merce, e compratore, possessore di denaro.
“Poniamo ora che, per
un qualche inspiegabile privilegio, sia dato al venditore di vendere la merce al di sopra del suo valore,
a 1.100 se essa vale 1.000, cioè con un rialzo nominale di prezzo del 10 %.
Dunque il venditore incassa un plusvalore di 100. Ma dopo esser stato
venditore, diventa compratore. Ora l'incontra un terzo possessore di merci in
qualità di venditore, che gode a sua volta il privilegio di vender la merce
rincarata del 10 %. Il nostro personaggio ha guadagnato 100 come venditore, per
perdere 100 come compratore. Il risultato di tutto ciò si riduce in realtà al
fatto che tutti i possessori di merci si rendono l'uno all'altro le loro merci
al 10 % al di sopra del loro valore, il
che è esattamente la stessa cosa che se vendessero le merci ai loro valori.”
“Supponiamo viceversa
che sia privilegio del compratore comperare le merci al di sotto del loro valore. Qui non c'è neppure bisogno di
ricordare che il compratore torna a diventare venditore. Era venditore, prima
di diventare compratore. Ha perduto già il 10% come venditore prima di
guadagnare il 10 % come compratore. Tutto
rimane come prima.”
“La
formazione di plusvalore, quindi la trasformazione di denaro in capitale, non
può dunque essere spiegata né per il fatto che i venditori vendano le merci al di sopra del loro valore, né per il
fatto che i compratori le comperino al
di sotto del loro valore.”
“Quindi i sostenitori coerenti della illusione che
il plusvalore scaturisca da un supplemento nominale di prezzo, ossia dal
privilegio del venditore di vendere la merce troppo cara, suppongono una
classe che compri soltanto senza vendere, che quindi anche consumi senza
produrre. L'esistenza di tale classe è ancora inspiegabile dal punto di
vista al quale finora siamo arrivati, quello della circolazione semplice.”
Ma si può fare ancora
un altro esempio, quello del “furbo”.
“Può darsi che il
possessore di merci A sia tanto furbo da abbindolare i suo colleghi B o C e
che, nonostante la loro buona volontà, questi non riescano a render pan per
focaccia. A vende vino per il valore di 40 a B ed ottiene in cambio grano per il
valore di 50; A ha trasformato i suoi 40 in 50, ha fatto più denaro da meno
denaro, e ha trasformato la sua merce in capitale. Guardiamo le cose più da
vicino.”
“Prima dello scambio
avevamo per 40 di vino in mano di A e per 50 di grano in mano di B: valore complessivo di 90. Dopo lo scambio, abbiamo lo stesso valore
complessivo di novanta. Il valore
circolante non s'è ingrandito neppure di un atomo: quella che è cambiata è la distribuzione del
valore circolante fra A e B. Si presenta da una parte come plusvalore quel che
dall'altra è minusvalore, si presenta come un più da una parte quel che è un
meno dall'altra. Sarebbe accaduto lo stesso cambiamento se A avesse rubato
senz'altro a B dieci, senza mascherare la cosa nella forma dello scambio. È evidente che la somma dei valori
circolanti non può essere aumentata da nessun cambiamento nella loro
distribuzione…”
Dunque,
ci si può rigirare come si vuole; il risultato è sempre lo stesso. Se si
scambiano equivalenti, non nasce nessun plusvalore; se si scambiano
non-equivalenti, neppure in tal caso nasce plusvalore.
La
circolazione, ossia lo scambio delle merci, non crea nessun valore.
“… quindi, aggiunge Marx,
nella sua formazione non può non accadere
alle spalle della circolazione qualcosa che è invisibile nella circolazione stessa.”
“Ma
il plusvalore può scaturire da qualcosa d'altro che dalla circolazione?”
Come sappiamo la merce ha valore perché contiene lavoro
umano, per es. 10. “Ma, dice Marx, questo valore non si può rappresentare
contemporaneamente nel valore della merce e
in un eccedente sul valore proprio di questa, non si rappresenta cioè in un
prezzo di 10 che sia simultaneamente un prezzo di 11, non si rappresenta in un valore che sia più grande di se stesso. Il possessore di merci può col suo lavoro
creare valori ma non valori che si valorizzino. Egli può alzare il valore
d'una merce, aggiungendo al valore esistente nuovo valore mediante
nuovo lavoro, per esempio facendo, con il cuoio, degli stivali. La medesima
materia ha ora più valore, perché
contiene una maggiore quantità di lavoro. Quindi lo stivale ha più valore
del cuoio, ma il valore del cuoio è rimasto quel che era. Non si è valorizzato,
non si è aggiunto un plusvalore durante la fabbricazione degli stivali. Dunque
è impossibile che il produttore di merci, al di fuori della sfera della
circolazione e senza entrare in contatto
con altri possessori di merci, valorizzi valori e trasformi quindi denaro o
merce in capitale.”
“Dunque
è impossibile che dalla circolazione scaturisca capitale; ed è altrettanto
impossibile che esso non scaturisca dalla circolazione. Deve necessariamente
scaturire in essa, ed insieme non in essa.” Dunque, si ha un
duplice risultato.
“La
trasformazione del denaro in capitale deve essere spiegata
sulla base di leggi immanenti allo scambio di merci, cosicché come punto di partenza valga lo scambio di
equivalenti. Il nostro possessore di
denaro, che ancora esiste soltanto come bruco di capitalista, deve comperare le merci al loro valore, le deve vendere al loro valore, eppure alla fine del
processo deve trarne più valore di quanto ve ne abbia immesso. Il suo
evolversi in farfalla deve avvenire
entro la sfera della circolazione e non
deve avvenire entro la sfera della circolazione. Queste sono le condizioni
del problema.” Che affronteremo nel secondo
e ultimo articolo su questo capitolo.
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