martedì 18 novembre 2025

pc 18 novembre – L’Iveco venduta alla Tata Motors… gli Agnelli/Elkann incassano 3,8 miliardi, ma fanno arrabbiare la Confindustria che parla di “industria che se ne va”

 

Per circa 4 miliardi di euro la Tata Motors acquista l’Iveco di proprietà degli Agnelli/Elkann, dopo che da questa è stata scorporata la divisione militare che è stata acquistata dalla Leonardo. La conferma è arrivata dal via libera della Commissione europea che “non solleva questioni rilevanti su temi legati alla concorrenza sul mercato e all’Antitrust…”, ma lo stesso articolo del Sole 24 ore di oggi tiene a sottolineare che secondo la Bain&Company, scoprendo l’acqua calda, si tratta “di una operazione di scopo”, fatta per avere accesso a nuovi mercati e nuove competenze”, in contrapposizione di fatto alle dichiarazioni del ministro Urso che ha parlato di “una operazione dal carattere prevalentemente industriale”, sottintendendo che non stanno cedendo la tecnologia più avanzata come “i sistemi di diagnosi predittiva e di guida autonoma”.

La posizione di Urso esprime l’ennesima genuflessione nei confronti dei padroni, in questo caso gli Agnelli/Elkann, e quanto questa dichiarazione sia una scusa ce lo dice l’arrabbiatura di un articolo nella stessa pagina del Sole24Ore che parla di “ferita simbolica” che “apre incognite concrete”.

Dal punto di vista della Confindustria quindi si tratta di una operazione che non si doveva fare e non naturalmente perché si mette in pericolo il posto di lavoro degli operai che in Italia sono circa 14.000

(senza contare tutti quelli dell’indotto!) e nel mondo circa 36.000, ma perché “… nel silenzio assordante di troppi … un altro pezzo dell’industria italiana se ne va”!

L “incognita” di cui parla l’articolo riguarda lo “sviluppo futuro del nostro tessuto produttivo”, perché i centri di comando vengono portati in India, cosa che viene sottovalutata “dalle nostre (non) avvedutissime classi ‘dirigenti’”, e l’esempio della Iveco viene utilizzato per denunciare il disinteresse della “classe politica” e perfino del “ceto sindacale” per la storia stessa della Iveco che è “da quarant’anni un’azienda solida nella sua fisiologia industriale e commerciale.” Ma il punto vero, continua l’articolo, “è che Iveco, da almeno dieci anni, è piccola.” Ed è piccola non per destino, ma perché “la sua vecchia controllante Exor, da almeno vent’anni, ha una strategia di portafoglio basata sulla riduzione del peso dell’automotive. Quindi, quanto è successo in questi mesi è coerente con la traiettoria di lungo periodo degli Agnelli.” E infatti, già “negli anni Novanta, gli Agnelli hanno rinunciato al ciclo di investimenti nelle automobili”!

“Abbiamo già assistito – continua sconsolato l’articolo - alla spoliazione dall’interno di Magneti Marelli, azzerata dal fondo Calsonic di proprietà di KKR. Nel caso di Magneti Marelli – appunto ceduta dalla Fca degli Agnelli nel 2018 per 6,2 miliardi di euro – il fallimento è stato gestionale e industriale. E, di fatto, ha ridotto la capacità manifatturiera e innovativa del sistema italiano nella complessa transizione energetica verso il mondo dell’ibrido e dell’elettrico.”

E nell’elenco dei “pericoli” c’è che “nella nuova economia internazionale in cui l’identità nazionale determina le strategie aziendali, aumenta la probabilità che, in caso di riduzione dei costi manifatturieri consolidati, la lontana Italia venga sacrificata all’India: negli stabilimenti, nell’occupazione, nella ricerca”.

L’altro pericolo è quello che riguarda la “… rete di fornitura italiana … Perché, appunto, Tata Motors ha la sua rete di componentisti indiani, che oggi hanno un livello discreto di qualità e costi industriali ancora ben inferiori a quelli europei.” Non è una novità, dice il giornalista, perché è già successo con Stellantis che ha sostituito i fornitori italiani con quelli spagnoli, marocchini… e capiterà di nuovo perché i costi dei fornitori italiani “verranno comparati a quelli dei loro colleghi (e concorrenti) indiani”. “Il rischio” conclude il quotidiano dei padroni, “è che – nei prossimi anni – si alzino le grida (di dolore) di tutti.”

Questa ennesima operazione mette in risalto la tendenza di lunga durata del passaggio sempre più marcato, in questo caso degli Agnelli/Elkann, dagli investimenti nell’industria agli investimenti nella finanza dei miliardi di profitti fatti sulla pelle degli operai. È chiaro che si tratta di un passaggio lento, ma nel frattempo Stellantis continua a sfruttare migliaia di operai in tutti gli stabilimenti in Italia e nel mondo, dal Brasile al Marocco, dalla Serbia (perfino con l’utilizzo di operai nepalesi)  all’Argentina...  

In questo senso “le grida” che si sentiranno non saranno “di tutti”, ma delle operaie e degli operai, dall’Italia alla Francia… che dovranno lottare per non perdere il posto di lavoro, per non sottostare alla cassa integrazione infinita, per evitare la “guerra tra poveri” tra operai e operai, per l’aumento dei salari sempre più bassi e condizioni di lavoro sempre peggiori.

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