Le prime ad arrivare sono state loro: le Donne in Nero di Verona. Anche quest’anno si sono fatte trovare puntuali all’apertura dei cancelli della fiera. Silenziose, spalle alla cancellata e grandi cartelli in mano dove si leggevano scritte come «La diffusione delle armi non aumenta la nostra sicurezza», «Abbiamo già Giulietta e Romeo, non ci servono pistole», «Insegnate ad amare e non a sparare». Cartelli per lo più ignorati dalla folla di visitatori che, sin dalla prima mattina, si è accalcata all’ingresso di Eos, acronimo per European Outdoor Show.

LA NUOVA VESTE della tradizionale fiera delle armi di Verona, dopo una lunga trattativa con associazioni pacifiste e il Comune, ha accettato di abbassare i toni e mimetizzarsi in una esposizione dedicata alla caccia, al tiro e alla pesca, togliendo il contestato termine «armi di difesa personale». Come se nel nostro Paese, in cui tutte le armi semiautomatiche sono considerate armi da sparo, ci fosse distinzione tra una pistola “sportiva” e una da difesa.

Proprio la “mimetizzazione” di quella che resta comunque una mera esposizione di armi, è stata considerata inaccettabile dalla Rete veronese per la Palestina, considerato che tra i circa 300 espositori

figurano anche aziende israeliane o comunque aziende che forniscono armi ad Israele, così come a tante altre nazioni che non brillano per la difesa dei diritti umani. «In questa fiera vengono esposte armi che vengono usate per reprimere il dissenso – spiega Mackda Ghebremariam Tesfau’, attivista per i diritti dei palestinesi – Ad esporre i loro prodotti di morte figurano le maggiori industrie di armi del mondo, perché chi vende armi da caccia, da tiro e sportive, da difesa personale, equipaggia anche gli eserciti, che portano orrore e distruzione attraverso la guerra globale permanente. Guerra che ricadono come sempre sulla popolazione civile, come sta accadendo a Gaza».

Circa un migliaio di attiviste e attivisti ha accolto l’appello dell’associazione e si è radunato dietro al grande striscione «Stop al genocidio. Disarmiamo Israele». Da piazza della Fiera, il corteo ha marciato attorno alla sede espositiva per concludere davanti ai cancelli d’entrata dove si è verificato qualche tafferuglio con le forze di polizia che non hanno risparmiato le manganellate. Alla fine i manifestanti sono comunque riusciti ad esporre uno striscione pro Gaza davanti all’ingresso e sono rimasti sino a sera a gridare slogan contro Israele e le industrie belliche.

TRA GLI ADERENTI alla manifestazione, associazioni per i diritti, per il disarmo, centri sociali, partiti come i Verdi, Sinistra e Rifondazione e anche molte organizzazioni animaliste che certo non avranno gradito le dichiarazioni dell’assessore regionale veneto allo sport, Cristiano Corazzari, che dall’interno dell’esposizione ha rimarcato il fondamentale ruolo dei cacciatori, a suo dire, autentici ambientalisti «che in perfetto accordo con la Regione hanno un ruolo fondamentale nella gestione ambientale del territorio a tutto vantaggio della comunità». Rimarcando di seguito come «la gente che è qui dentro è la migliore perché è gente che rispetta le regole».


Magari, l’assessore non si riferiva al rispetto del codice etico – una novità di quest’anno espressamente voluta dal Comune – che chiedeva agli espositori di non mettere le armi in mano ai bambini. Disposizione sostenuta anche dalla Questura ma che è stata completamente disattesa.

Giorgio Beretta, autore del libro Il Paese delle Armi (Altreconomia), ha twittato da dentro la fiera: «Ma la Questura sta controllando che la sua disposizione sulla preclusione ai minori di maneggiare armi sia applicata? Ho visto molti bambini con le armi in mano con tanto di immagini – a volto oscurato – di bimbi che giocano con fucili più grandi di loro».

«Quanta ipocrisia! Pensi che alla fiera del vino l’ingresso ai minori è, giustamente, vietato. Qui invece è addirittura gratuito!», mi ha sussurrato una signora con in mano un cartello con scritto: «Anche le armi detenute legalmente ammazzano le donne».