L’AMIANTO KILLER. Morirono in 37, molti prima dei 60 anni.
Le testimonianze: “Non avevamo neanche la mascherina”
Gli operai morti ai Cantieri navali
“Condizioni disumane di lavoro”
Depositata la motivazione della sentenza con cui sono stati condannati tre ex dirigenti.
A essere condannati sono stati Luciano Lemetti, Giuseppe Cortei, Antonino Cipponeri. Morì pure una donna che puliva la tuta del marito. Altri 24 operi si ammalarono gravemente.
“Lo scrollavate di dosso semplicemente con le mani?”, chiesero i pm Emanuele Ravaglioli e Carlo Marzella, le parti civili e il giudice Gianfranco Criscione,
all’operaio della Fincantieri Giovanni Baiamonte. E lui rispose: “Sì, questo prima di andare a casa… non avevo mascherina, solo c’era la maschera protettiva, quella per saldare (e proteggere) solamente gli occhi”. Poi aggiunse: “Io onestamente certe volte dovevo lavorare anche senza protezione di aspiratore. A parte che al montaggio non ce lo davano l’aspiratore, onestamente si capiva che lì dentro non si poteva stare e allora si metteva…”
Nella motivazione della sentenza (depositata nelle scorse settimane) con cui ha condannato a pene molto pesanti tre ex dirigenti dei Cantieri Navali (Luciano Lemetti, 7 anni e 6 mesi; Giuseppe Cortesi, 6 anni; Antonino Cipponeri, 3 anni), il giudice Criscione lascia parlare molto le “persone offese”. Ne riporta le testimonianze dettagliate, definite “assolutamente sconvolgenti” e “drammatiche”, e parla di “condizioni disumane” in cui erano costretti a lavorare i dipendenti della Fincantieri o delle cooperative che dentro i Cantieri prendono appalti. Furono 37 le vittime, molti morirono prima di aver compiuto i 60 anni. Altri 24 operai si ammalarono di patologie devastanti come il mesotelioma pleurico e l’asbestosi. Morì pure una donna, Calogera Gulino, che puliva la tuta del marito, Angelo Norfo (pure lui scomparso). Furono 166 le “persone offese”, tra vittime dirette e loro parenti.
Uccisi dall’amianto, ha stabilito il giudice della prima sezione del Tribunale, che assegnò anche risarcimenti per sei milioni complessivi. Furono ammessi nel dibattimento anche Legambiente, l’Associazione esposti amianto, Medicina democratica, il sindacato Fiom, la Camera del lavoro; erano assistiti, tra gli altri, dagli avvocati Fabio Lanfranca (legale di molti operai e dei loro familiari), Ermanno Zancla, Nino Caleca, Giuseppe Botta.
L’amianto assassino doveva essere utilizzato con precauzioni rigorosissime, ha affermato il giudice, perché la sua pericolosità era nota da tempo: “Se ne fa cenno - si legge in sentenza – nel regio decreto 14 giugno 1909 numero 442, in tema di lavori ritenuti insalubri per donne e fanciulli.” Mentre “la malattia da inalazione di amianto, l’asbestosi, è conosciuta fin dai primi del ‘900 e inserita nelle malattie professionali dalla legge 12 aprile 1943 numero 455”.
I difensori degli imputati, gli avvocati Alberto e Gioacchino Sbacchi, Matteo e Corrado Pagano, hanno sempre sostenuto che non si può stabilire con certezza quando e come i lavoratori contrassero le malattie, che si manifestano a distanza di anni. Le difese faranno appello.
La conclusione del giudice è però opposta: “Negli anni in cui il cantiere navale è stato diretto dagli imputati Lemetti, Cortesi e Cipponeri (per quest’ultimo non oltre l’11 settembre 1991), i soggetti che hanno per un verso o per un altro lavorato in tale cantiere, sono stati più che significativamente esposti all’inalazione e alla respirazione di fibre d’amianto, sicché non si può in primo luogo dubitare del carattere professionale delle patologie, giuridicamente causate dall’omessa adozione di qualsiasi seria misura di prevenzione per l’eliminazione o la riduzione della polverosità delle lavorazioni.”
Gds 9/11/11
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