video dal corteo e dal presidio
https://www.instagram.com/reel/DSOHTsgDMsp/?igsh=ZzhwNnoxYmY1aXU https://www.instagram.com/reel/DSOHTsgDMsp/?igsh=ZGUzMzM3NWJiOQ== Interventi al carcereCompagna SRP L'Aquila
Messaggio da un ragazzo da Gaza
Operaio Ex-Ilva Taranto
Saluto ad Anan
Messaggio di Tahar Lamri
"C'è
un uomo all'Aquila che porta nel corpo undici proiettili e quaranta
schegge. Le torture israeliane gli hanno scritto la storia sulla carne,
ma ora l'Italia vuole riscriverla nei codici del terrorismo. Anan Yaeesh
aspetta la sentenza in un processo dove l'assurdo è diventato
procedura.
Ma c'è posto per l'ambasciata israeliana. La
Procura la convoca a testimoniare sulla natura della colonia di Avnei
Hefetz. Israele – la parte che ha chiesto l'estradizione, che ha fornito
le prove, che ha torturato l'imputato – diventa testimone nel processo
italiano. Il nodo è cruciale: se Avnei Hefetz è insediamento civile,
Anan è terrorista. Se è base militare, è resistente. Chi meglio di
Israele può definirlo?
L'ambasciatore non si presenta. All'ultimo
momento, il 21 novembre, si presenta una funzionaria dall'ambasciata di
Parigi. Dietro di lei, in videoconferenza, la bandiera israeliana.
Testimonianza vaga, poco convincente. Ma è bastato l'azzardo: far
parlare lo Stato occupante sulla legittimità della resistenza
all'occupazione. Come chiedere al carceriere di testimoniare sulla
libertà del prigioniero.
L'avvocato Rossi Albertini la chiama "arroganza di Israele verso l'autorità giudiziaria italiana". Ma è qualcosa di più: è uno
Stato che processa dall'Aquila fatti avvenuti in Cisgiordania, che
esclude la Storia e include l'oppressore, che chiama giustizia questa
farsa.
C'è un ragazzo di ventiquattro anni in alta sicurezza a
Rossano Calabro. La sua colpa? Otto minuti di video, parole contro un
genocidio, immagini già trasmesse dalla Rai. Ahmad Salem ha sognato
l'asilo e ha trovato una cella dove ogni sillaba di solidarietà diventa
"autoaddestramento".
C'è un imam strappato ai figli dopo vent'anni,
rinchiuso in un CPR. Un altro padre di tre figli italiani espulso dopo
trent'anni. Mohamed Shahin e Zulfiqar Khan hanno parlato di Palestina
quando dovevano tacere. Uno in un CPR a Caltanissetta, l'altro rispedito
in Pakistan. Decreti firmati, tribunali che convalidano, ministri che
esultano. Il reato? Le parole.
Sono corpi palestinesi, corpi
musulmani, corpi che parlano quando dovrebbero tacere. Sono voci che
dicono Gaza, che dicono occupazione, che dicono genocidio. E per questo
diventano minacce. Non importa se hanno famiglie, permessi, anni di
radici. Non importa se le loro parole sono pensiero, non azione. Non importa se la Procura dice "nessun reato".
Importa solo che abbiano rotto il silenzio.
L'Italia
ha imparato da Israele la lezione più antica: chiamare terrorismo la
resistenza, chiamare sicurezza la repressione, chiamare giustizia la
vendetta. Ha imparato che si può processare un uomo per la Storia,
espellerlo per le parole, rinchiuderlo per i pensieri. Ha imparato che
si può rifiutare la relatrice ONU e convocare l'ambasciata occupante.
Ma
le undici pallottole nel corpo di Anan non mentono. I quarantasette
testimoni rifiutati non mentono. La bandiera israeliana in aula non
mente. Le sbarre della cella di Ahmad non mentono. Il CPR dove hanno
rinchiuso Mohamed non mente. L'aereo che ha portato via Zulfiqar non
mente..
Questa non è giustizia. È silenzio imposto con la forza dello Stato. È la criminalizzazione della solidarietà. È un processo dove l'occupante testimonia e l'occupato è accusato.
Ma i corpi resistono. Le parole restano. La memoria non si espelle.
E il 19 dicembre,
quando a L'Aquila caleranno le sbarre su Anan, o quando si apriranno
per miracolo di una giustizia che ancora respira, sapremo se questo
paese ha ancora il coraggio di guardare in faccia la Palestina, o se
preferisce continuare a processarla, imprigionarla, deportarla.
Undici proiettili, quaranta schegge, quarantasette testimoni rifiutati, una bandiera israeliana in aula.
E una sola domanda: da che parte sta la legge?"
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