“Qui si continua a lavorare…” anche quando c’è lo sciopero: è
stata questa la risposta che ci hanno dato alcuni operai con anni di esperienza
alle spalle durante l’ultimo volantinaggio per lo sciopero del 28, a causa
della grande presenza di operai precari, che subiscono di fatto il ricatto del posto
di lavoro.
Questi stessi operai, italiani, sono precari, perché dipendenti
di una ditta esterna in appalto che fa “contratti a 1 mese, a 3 mesi e usa la paga
globale” e quindi senza diritti … stesso destino di gran parte degli operai immigrati.
Questa è parte della condizione attuale dello stabilimento
Fincantieri di Palermo - che conta circa 300 operai diretti - che è uno dei nove
sparsi in tutta Italia (ma la Fincantieri ha cantieri in tutto il mondo) che
impiega operai nella produzione di navi da crociera e navi militare. Una condizione
non diversa da quella degli operai di tanti altri cantieri, da Palermo a
Monfalcone: diminuzione progressiva degli operai diretti Fincantieri, ampliamento
del settore degli appalti, precarietà diffusa fatta di operai che dipendono da
ditte piccolissime, piccole e medie sia italiani che immigrati tutti a paga
globale e con contratti di breve durata…
Ciò significa orari prolungati oltre le 8 ore fino a 10, 12… di conseguenza condizioni di sicurezza ultraprecarie (e qui bisogna dire che quasi mai - se non in caso di “incidenti” mortali come l’ultimo del
dicembre 2022 - le notizie escono dalle mura della fabbrica) nonostante la direzione aziendale faccia propaganda sull’applicazione delle norme di sicurezza o fa “terrorismo” nei confronti di operai che vengono trovati a lavorare senza il casco e ai quali vengono applicate le multe, nonostante li si “inviti” costantemente ad andare veloci perché si deve finire la commessa.Salari bassi e sfruttamento accelerato dalla presenza dei tanti operai immigrati, tanti i giovani, in genere da tutto il mondo, Filippine, nord ed est Europa, mentre ultimamente sono presenti più dal Bangladesh, diversi in trasferta dal cantiere di Monfalcone (dove c’è la più grande “colonia” di operai immigrati del Bangladesh, circa 5.000) fanno il gioco dell’azienda. Operai che oltre a dover subire gli spostamenti nei vari cantieri non si trovano “con i metodi di lavoro che usano qui”.
Questi operai nel cantiere di Palermo sono stati impegnati
nella produzione di un traghetto, orami completato, commissionato dalla Regione
Sicilia per il collegamento con le isole minori (oltre alla necessità oggettiva
del traghetto si è trattato di un “contentino” per tenere buoni gli operai), nella
costruzione di tronconi di navi che poi vanno in altri stabilimenti, e nella manutenzione
di navi di ogni tipo… ma nessuna grande nave viene costruita nel cantiere di
Palermo oramai da anni, sebbene il bacino di carenaggio del cantiere di Palermo
sia tra i più grandi, cosa che darebbe lavoro continuativo per almeno 2 o 3
anni, e questo fatto produce di per sé una condizione di incertezza e precarietà.
Il “core business”, l’attività principale, della Fincantieri,
come si sa, si sposta sempre di più dalla produzione di navi da crociera, alla
produzione di navi militari ad altissima tecnologia, ma sebbene qualche anno fa
siano state prodotte delle piccole navi militari per il Qatar, ad oggi il
cantiere di Palermo non è impegnato in questo settore.
È chiaro che questa precarietà, soprattutto per chi lavora nelle piccolissime o piccole ditte che prendono appalti dalla Fincantieri, e come viene fuori dalle discussioni con gli operai, incide sulla volontà di mobilitazione ad ogni livello; sia lo sciopero del 16 febbraio che quelli successivi per il contratto nazionale hanno visto una partecipazione sempre piccola e solo di operi diretti.
E la firma del contratto di lavoro da parte delle
organizzazioni sindacali Fim, Fiom, Uilm con i padroni riuniti in
Federmeccanica-Assistal non cambia di una virgola questa condizione.
Le “differenze” esistenti tra operai diretti e indiretti,
gli appalti e i subappalti che la Fincantieri usa a piene mani che allargano il
campo della precarietà, mai seriamente contrastato da Fim, Fiom, Uilm, si ripercuotono
certamente sui diritti degli operai che hanno la necessità di organizzarsi per
prendere nelle proprie mani la battaglia più generale per il salario e quella contro
gli appalti.

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