Ieri sciopero generale in tutti gli stabilimenti del gruppo, il gruppo più importante insieme alla Stellantis dei gruppi industriali del nostro paese, con lo stabilimento di Taranto, comprensivo dell'appalto e indotto, con il più alto numero di operai in questo momento.
Se
non si muovono le fabbriche non è possibile avere in Italia un
movimento di massa, operai, studenti, masse popolari, in grado di
mettere in discussione non solo la situazione nelle fabbriche ma quella
in generale delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari in
tutto il paese. E meno che mai si può avere quel brodo di coltura della
lotta nelle fabbriche, necessario perché gli operai delle industrie
grandi, medie, svolgano una funzione decisiva in termini di
partecipazione e di forza nelle grandi mobilitazioni che si svolgono
sulla Palestina, contro la guerra, contro la repressione, contro la più
generale politica a servizio dei padroni che i governi fanno e oggi fa
questo governo che più di ogni altro è al servizio dei padroni,
dell'imperialismo, su scala nazionale e internazionale.
Però le fabbriche ancora non si muovono come sarebbe necessario per due ragioni: da un lato perché
sono dirette da sindacati collaborazionisti a diverso grado che organizzano la grande massa dei lavoratori e sono obiettivamente sindacati che o sono apertamente ormai del governo come la CISL o che fanno un'opposizione ma guardando più alla questione parlamentare, alla questione della difesa dell'economia nazionale piuttosto che agli interessi degli operai.Le
assemblee nell'ex Ilva di Taranto, in generale non stanno andando bene,
perché a parte la partecipazione anche consistente, dopo gli interventi
dei sindacalisti non interviene nessuno e l'attenzione principale dei
lavoratori, soprattutto tra i lavoratori diretti dello stabilimento, è
vedere se ci saranno nuovi incentivi all'esodo o aperture di finestre
allargate di pre-pensionamenti per amianto e lavori usuranti.
Tra
gli operai non prevale la rabbia, ne la disperazione, e quei gruppi che
dicono che gli operai sono "disperati, sono incazzati" partono dalle
loro idee non dalla realtà. Gli operai delle Acciaierie
come dell'appalto a Taranto sono sfiduciati, rassegnati, stanchi di 13
anni di questa situazione, confusi, e non vedono una prospettiva e le
cose che dicono i sindacati passano senza una reale opposizione; e
quindi è ancora difficile costruire una vera alternativa di lotta.
Questo
è invece lo scopo dello Slai Cobas. Lo Slai Cobas esiste a Taranto con
una presenza molto relativa, in particolare in alcune delle ditte
d'appalto, ma non è ancora una forza materiale in grado di fare
iniziative autonome all'interno di questa grande zona industriale; ciò
nonostante a questo stiamo lavorando.
Nel volantino che abbiamo distribuito stamattina noi partiamo da un punto: respingere tutte le attuali proposte di vendita del governo Meloni. Lo Slai cobas sc questo l'aveva detto già quando sono cominciate le gare, perché anche quando c'erano più gruppi industriali, gli azeri, la Jindal, i Fondi americani che avevano fatto proposte di acquisto dell'Ilva, aveva denunciato queste proposte come tutte negative dal punto di vista dei lavoratori e delle masse popolari di Taranto. Prevedevano comunque tutte, massicci esuberi, cassa integrazione permanente, conservazione dei problemi di sicurezza e una incerta ambientalizzazione, decarbonizzazione.
Quindi
innanzitutto bisognava respingere queste proposte, opporre ad esse una
piattaforma operaia che difendesse lavoro, condizioni, salute e
sicurezza in un quadro di mettere fine all'inquinamento mortale della
fabbrica e sulla base di rapporti di forza ottenuti con una lotta
generale ad oltranza che preveda il blocco di fabbrica e città per
costringere governi e padroni a prendere misure differenti.
Ma siamo stati soli a dirlo, perché i sindacati confederali hanno puntato tutto sulle trattative a Roma, sulle promesse, i passaggi che prevedevano e l'USB è stato uno dei sindacati più al carro del Governo, del Governo nazionale e del Governo locale. Quindi non ha avuto alcuna funzione alternativa in questa fabbrica.
In
questo quadro nulla è successo, molti lavoratori ci hanno dato ragione,
più di 500 operai hanno firmato la nostra piattaforma operaia, però fra
il dire e il fare ci passa il mare.
Come
conseguenza di tutto questo, oggi siamo di fronte a una proposta di
acquisto esclusivamente dei Fondi americani, uno dei quali legato alla
finanza che ha sostenuto Trump.
Questa proposta prevede 7.500 esuberi/licenziamenti, una riduzione dell'Ilva complessivamente a 3.000 operai, di cui soltanto 2.000 a Taranto su una forza attuale di circa 8mila operai. Comporta cassa integrazione permanente, precarietà e licenziamenti nell'appalto, abbandono dei lavoratori in cassaintegrazione in Ilva AS dal 2018 nonostante un accordo ne garantiva il rientro entro settembre ‘25; l'ambientalizzazione che viene prevista è esclusivamente a servizio del padrone e non dei lavoratori e masse popolari della città.
Il Fondo intanto non pagherebbe nulla, solo un euro simbolicamente, prende la fabbrica, la riattiva, la ridimensiona e poi la rimpiazza sul mercato.
Tutto questo peraltro avviene in tempi lunghi e fatto con la logica di ripristinare le condizioni di mercato e le condizioni di profitto. Ma queste condizioni non possono che basarsi, oltre che sulla riduzione dell'occupazione, sui bassi salari, sull'intensificazione dello sfruttamento per i lavoratori restanti.
Naturalmente il governo Meloni ha fatto di tutto con la sua azione perchè sia arrivasse a questa soluzione, volente o non volente.
Questa proposta al momento non è accolta dai sindacati confederali perché produce quello che si chiama “l'apocalisse dell'occupazione”; e quindi avanza un'altra soluzione che è lo “spezzatino”, cioè i vari stabilimenti dell'Ilva vengono piazzati uno per uno a chi li vuole, con possibilità per gli stabilimenti del nord, di Genova Novi Ligure, di essere acquisiti anche da aziende italiane accorpate o no - la Marcegaglia ecc. - , che si vogliono prendere quegli stabilimenti e non avere la gatta da pelare dell'acciaieria di Taranto.
Su
questo sono d'accordo anche i sindacati di Genova, perché i sindacati
di Genova sono combattivi ma a servizio di un piano neocorporativo, e
Taranto la considerano da lasciare al suo destino di disoccupazione,
inquinamento, deindustrializzazione, modello Bagnoli.
E'
chiaro che a fronte di tutto questo la rivendicazione della
nazionalizzazione ha una sua giustificazione, vale a dire che, dato che
queste proposte non sono accettabili, lo Stato si deve fare carico dello
stabilimento prendendolo nelle sue mani, e la forma più organica è la
nazionalizzazione, temporanea o permanente che sia, cosa che hanno fatto
anche altri governi in Europa rispetto a situazioni di questo genere.
Questo
governo che è il peggiore sul fronte degli interessi dei lavoratori ed è
il più liberista dei governi, - dare mano libera ai padroni è sempre
stata la parola d'ordine della Meloni, di Urso e di tutti i suoi
ministri - non vuole però questa nazionalizzazione, e di conseguenza
sposa la soluzione possibile del passaggio ai privati dello stabilimento
e, quindi, o se lo prendono i Fondi americani o c'è lo spezzatino.
Ma è criminale spargere illusioni tra gli operai. Non è che la nazionalizzazione, come strilla l'USB, è la soluzione, perchè si tratta di uno Stato capitalistico in un mercato mondiale imperialista dove c'è la crisi della siderurgia mondiale inserita nella più generale crisi di guerra commerciale accentuata e accelerata dalla politica dei dazi di Trump. Anche lo Stato che prendesse l'Ilva si troverà nella stessa situazione e quindi proporrà esuberi, cassa integrazione permanente, ambientalizzazioni negli anni e, soprattutto, una situazione che richiede così tanti soldi che questo governo difficilmente metterà in campo.
In questa fase ultra incerta e con tempi lunghi la nazionalizzazione è inevitabile, ma il pacchetto nazionalizzazione non va preso a prescindere, deve accogliere le richieste dei lavoratori su lavoro, salario, sicurezza, condizioni di lavoro e ambiente.
Queste
richieste dei lavoratori devono essere inserite in una nuova
piattaforma operaia approvata dalle assemblee e portata fino in fondo
con la lotta prolungata in fabbrica e in città.
Questo richiede la possibilità per gli operai di rovesciare i tavoli, di impugnare questa piattaforma e di fare la lotta necessaria per ottenere risultati.
La
piattaforma operaia deve partire dalla rigidità: no agli esuberi, no
alla cassa integrazione permanente. I lavoratori che non possono essere
utilizzati nella produzione attualmente devono e possono essere occupati
nei lavori di ambientalizzazione e di bonifica della fabbrica e della
zona industriale.
Dato che comunque la cassa integrazione in questo processo di parziale conversione che ci sarà e per tempi ancora lunghi, esiste la necessità di un'integrazione salariale - per gli operai delle acciaierie che parzialmente nei precedenti accordi c’è stata dell'ordine del 10%, ma che è nettamente insufficiente per tutelare il salario dei lavoratori -; questa integrazione salariale deve poi essere estesa a tutti gli operai dell'appalto. Ma questa è una rivendicazione che stiamo sostenendo solo noi, e siamo riusciti a inserirla perfino in un verbale d'intesa che si è realizzato in una della fabbriche dell'Indotto, la Castiglia, unico caso in tutta la zona industriale dell'Ilva, ma è legata, perchè sia attuata, all'esistenza di un provvedimento generale di tipo governativo su questo per tutto lo stabilimento e per le fabbriche dell'appalto.
Siamo naturalmente favorevoli che chi se ne vuole andare dalla fabbrica se ne possa andare e che ci siano estensioni legittime anche in forma risarcitoria dei benefici amianto e per i lavori usuranti che possano coinvolgere una certa quantità di lavoratori in età avanzata che ormai non vogliono più rimanere in fabbrica. Ma questo riguarderà comunque poche centinaia di lavoratori e lascerà intatto il problema degli esuberi reali. Queste misure non risolvono il problema e invece spingono gli operai a occuparsi principalmente di queste misure, e uno dei sindacati che più lo fa è la USB, che non ha neanche partecipato agli ultimi scioperi, rinunciando a lottare e sperando solo in questo sussidio governativo di ammortizzatori sociali, stando al carro del governo invece di combatterlo.
In una condizione di questo genere non c'è una possibilità immediata di mettere fine all'insicurezza in fabbrica e di ridurre il peso della fonte inquinante rappresentata dall'azienda. Ma qui non è che non si possa fare niente. E’ possibile una battaglia rigida per la sicurezza in fabbrica. Noi proponiamo da tempo una postazione ispettiva nella zona industriale che sia di deterrenza e di controllo effettivo su come deve procedere la decarbonizzazione nel periodo in cui ancora essa è in via di realizzazione.
Così come bisogna utilizzare l'AIA esistente per poter imporla in maniera rigida, bloccando ogni possibilità di eluderla, attraverso uno scontro che però deve realizzarsi innanzitutto in fabbrica.
Chiaramente nelle ditte dell'appalto insieme a tutti i livelli di precarietà e sfruttamento e di lavoratori di serie B che esiste, esiste il problema per cui in questi anni, con la complicità di tutte le organizzazioni sindacali, molti lavoratori sono passati dal contratto metalmeccanico al contratto multiservizi che ha portato a questi lavoratori una precarietà permanente e un dilagare dei contratti a tempo determinato invece di contratti a tempo indeterminato. Ed è chiaro che questo mette in difficoltà le lotte e l'unità tra i lavoratori. Proprio per questo là dove siamo noi ci stiamo battendo per il contratto unico metalmeccanico a tempo indeterminato per tutti, trattando la forma di clausola sociale che ne salvaguardi l'occupazione nei casi di cambio d'appalto. Ma questo lo fa solo Slai Cobas, non lo fanno Fim, Fiom e Uilm, né lo fa l'USB.
L'ultima questione che per Taranto dovrebbe essere molto importante ma che non appare mai. Anche nelle assemblee si è concentrata tutta l'attenzione dei sindacati nell'invitare i lavoratori allo sciopero dicendo che ci deve essere un tavolo a Roma col governo, un tavolo con Meloni.
Ma un tavolo c'è da sempre! E' un tavolo inutile, perché non c'è bisogno del tavolo per sapere come la pensa il governo. Quando i sindacalisti strillano “noi vogliamo sapere che cosa pensa il governo, che cosa intende fare”… Lo sanno benissimo, è su tutti i giornali.
In una realtà di grande fabbrica in cui tutta la forza materiale dei lavoratori alla fine è concentrata nel grande stabilimento di Taranto che è la più grande fabbrica italiana oggi e una delle più grandi fabbriche in Europa nel campo della siderurgia, i lavoratori hanno una forza se bloccano fabbriche e città e costringono il governo a provvedimenti e a tavoli di trattativi che si svolgano a Taranto sotto la pressione dei lavoratori.
Invece
i sindacati confederali vanno a pregare con una nuova processione il
sindaco perché stia dalla loro parte a Roma. Ma il sindaco non ci perde
niente a stare dalla loro parte come sta dalla parte degli ambientalisti
perché sa che comunque questo non è il fattore decisivo, non conta
nulla.
La trattativa sull'Ilva di Taranto si deve fare ma a Taranto.
Nello
stesso tempo oggi tutti strillano sulla unità. Ma quando i sindacati
parlano di essere tutti uniti “devi mettere mano alla pistola”, perché
innanzitutto pensano ai commercianti, ai partiti, a tutta quella genia
di persone che in realtà non avrebbe nessun diritto di dire alcunché sul
futuro degli operai e ancor meno sul futuro della città, perché a loro
interessa solo che i lavoratori spendano. Non è su questa base che si
può vincere una lotta operaria di nessun genere e meno mai una grande
lotta come quella dell'Ilva.
Qui
il problema è quale unità.. Perché ci dovrebbe essere l’unità con la
Cisl che attualmente è il braccio operativo del governo, una sorta di
UGL allargata che difende sempre e comunque le posizioni del governo e
sta nel movimento operaio per propagandare le posizioni del governo?
Noi
diciamo invece che devono uscire dalle file operaie i sindacati
complici agenti di padroni e governi; e allora la lotta diventa seria e
non una pagliacciata e allora le manifestazioni diventano non
processioni ma scontri reali tra interessi dei lavoratori contro quelli
di governo e padroni.
Così è evidente che a fronte di tutto questo la strada vincente è l'autonomia operaia.
L'autonomia
operaia significa autonomia da padroni e governo e dai sindacati
collaborazionisti, significa imporre l'interesse degli operai a scapito
degli interessi dei padroni e delle classi a loro alleate, significa
unire sul discorso del ruolo e della centralità operaria tutte le forze
cittadine dell'ambientalismo che non siano anti-operai e
anti-industriali, come di fatto è per molta parte di essi, e quindi
espressione di cedi parassitari della città prevalentemente di piccola e
media borghesia.
L’organizzazione
dei lavoratori oggi come oggi non può che essere fondata su assemblee
autonome che raccolgano gli operari più combattivi che siano più decisi;
e non certo per rimanere soli e fare la guerra con pochi numeri che
sarebbe perdente, ma per influenzare l'intero movimento dei lavoratori
sulle rivendicazioni giuste.
Autonomia
operaia e organizzazione autonoma che non può contare neanche sui
compagni della città perché i compagni della città o sono al carro
dell'ambientalismo radicale oppure sono fuori dalla fabbrica perché si
occupano di tutto tranne che degli operai.
Lotta di classe, perché questa è una questione di lotta di classe che significa due classi contrapposte con interessi contrapposti, due soluzioni contrapposte: la soluzione capitalistica e la soluzione operaia, il potere dei padroni e il potere degli operai. Una lotta di classe oggi vive sulle rivendicazioni, perché la prospettiva del potere operaio non è una prospettiva astratta di un governo ma è la prospettiva di un governo che realizzi i bisogni essenziali dei lavoratori che in questa fase che sono la difesa del salario, del lavoro, la salute, la bonifica ambientale della fabbrica e del territorio e il diritto di decidere sul destino futuro dell’Ilva, perché è vero che bisogna decidere sul destino futuro dell’Ilva ma questo si può fare solo con la forza degli operai in lotta.

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