Il primo luglio a Filago Salvini aveva lanciato l’ ultimatum: “se i profughi il 6 luglio saranno ancora nella palestra io torno e insieme occupiamo l’edificio. La pazienza è finita.” In effetti il leader leghista ieri a Filago è tornato, ma le grida alla rivolta si sono dissipate nel nulla. Ad aspettarlo solo la metà dei sostenitori presenti al presidio di mercoledì scorso; di occupazione, propositi di resistenza, brande per dormire all’interno nemmeno l’ombra. Solo tanto nervosismo, perché stavolta di fronte alla palestra si sono presentate alcune decine di persone a manifestare per il diritto di circolazione di tutte e tutti. Una presenza inaspettata che ha mandato su tutte le furie i leghisti. Si sono ripetuti i tentativi di aggressione dei militanti padani, ma il presidio in solidarietà con i profughi non si è scomposto, disturbando fino alla fine Salvini, più volte interrotto.
Il nervosismo dei vertici della Lega era evidente, Belotti e Salvini in primis. E’ difficile infatti giustificare l’ennesimo cambio di rotta: sono bastati soli cinque giorni per rimangiarsi la parola data al popolo in verde. Gridare forte per raccattare qualche voto, soffiare sul fuoco dell’intolleranza per poi tirarsi indietro all’ultimo: queste le tattiche politiche di chi vuole accreditarsi come rappresentante di un malessere popolare, costruito appositamente, per tradurlo in voti e potere. Infatti, ieri per Salvini era più urgente correre a Romano di Lombardia piuttosto che rispettare la parola data, perché ad attenderlo a Romano c’era Forza Italia al completo con cui tentare nuove alleanze.
E allora basta raccontare quattro cazzate al centinaio di militanti in piazza e divincolarsi con destrezza dalle proprie parole. E’ sufficiente parlare di profughi, rom o centri sociali per distrarre i beoti che si infervorano e non si rendono nemmeno conto che Salvini sta facendo il contrario di quello annunciato la settimana scorsa. E’ questa la base che serve alla Lega, una base da manovrare come meglio si creda, senza memoria, funzionale al potere di pochi. Una base pronta a scagliarsi contro gli ultimi, quelli che pesano sulle tasche di tutti, seguendo supinamente chi lancia gli slogan, stipendiato da vitalizi guadagnati a suon di assenteismo. La stessa base che ieri contribuiva a acquistare in Albania la laurea al Trota, che urlava “prima il nord” mentre i dirigenti investivano in diamanti in Tanzania. E allora le urla funzionano e non fà nulla se Maroni da ministro degli Interni stanziava per chi organizza l’accoglienza dei profughi non gli attuali 35 euro al giorno, bensì 46 euro.
Il modello d’accoglienza del governo Renzi è identico a quello della Lega; cambiano i toni e lo stile ma la sostanza, che piaccia o no, è identica. L’arrivo di 600 profughi in una provincia con un milione di abitanti viene rappresentata come un’invasione, quando invece sarebbe un fenomeno gestibilissimo, senza bisogno di stiparli in palestre dove non ha alcun senso che stiano. Senza bisogno di spostare queste persone, come se fossero dei pacchi, per il misero tornaconto elettorale di qualcuno. I profughi rimangono quasi due anni ad attendere che una commissione valuti le loro richieste: una burocrazia lentissima che li obbliga a restare in una paese in cui non vogliono rimanere, senza poter lavorare, magari chiusi in una palestra o segregati in un paese delle nostre valli senza poter far nulla. Un sistema demenziale che procastina i tempi dell’accoglienza, col risultato di aumentare i profitti per chi si è accreditato in questo nuovo mercato dell’accoglienza e sequestrare anni di vite ai migranti.
Tra le manganellate del governo ai migranti sugli scogli di Ventimiglia e le parole di Salvini la distanza è breve.
Il nervosismo dei vertici della Lega era evidente, Belotti e Salvini in primis. E’ difficile infatti giustificare l’ennesimo cambio di rotta: sono bastati soli cinque giorni per rimangiarsi la parola data al popolo in verde. Gridare forte per raccattare qualche voto, soffiare sul fuoco dell’intolleranza per poi tirarsi indietro all’ultimo: queste le tattiche politiche di chi vuole accreditarsi come rappresentante di un malessere popolare, costruito appositamente, per tradurlo in voti e potere. Infatti, ieri per Salvini era più urgente correre a Romano di Lombardia piuttosto che rispettare la parola data, perché ad attenderlo a Romano c’era Forza Italia al completo con cui tentare nuove alleanze.
E allora basta raccontare quattro cazzate al centinaio di militanti in piazza e divincolarsi con destrezza dalle proprie parole. E’ sufficiente parlare di profughi, rom o centri sociali per distrarre i beoti che si infervorano e non si rendono nemmeno conto che Salvini sta facendo il contrario di quello annunciato la settimana scorsa. E’ questa la base che serve alla Lega, una base da manovrare come meglio si creda, senza memoria, funzionale al potere di pochi. Una base pronta a scagliarsi contro gli ultimi, quelli che pesano sulle tasche di tutti, seguendo supinamente chi lancia gli slogan, stipendiato da vitalizi guadagnati a suon di assenteismo. La stessa base che ieri contribuiva a acquistare in Albania la laurea al Trota, che urlava “prima il nord” mentre i dirigenti investivano in diamanti in Tanzania. E allora le urla funzionano e non fà nulla se Maroni da ministro degli Interni stanziava per chi organizza l’accoglienza dei profughi non gli attuali 35 euro al giorno, bensì 46 euro.
Il modello d’accoglienza del governo Renzi è identico a quello della Lega; cambiano i toni e lo stile ma la sostanza, che piaccia o no, è identica. L’arrivo di 600 profughi in una provincia con un milione di abitanti viene rappresentata come un’invasione, quando invece sarebbe un fenomeno gestibilissimo, senza bisogno di stiparli in palestre dove non ha alcun senso che stiano. Senza bisogno di spostare queste persone, come se fossero dei pacchi, per il misero tornaconto elettorale di qualcuno. I profughi rimangono quasi due anni ad attendere che una commissione valuti le loro richieste: una burocrazia lentissima che li obbliga a restare in una paese in cui non vogliono rimanere, senza poter lavorare, magari chiusi in una palestra o segregati in un paese delle nostre valli senza poter far nulla. Un sistema demenziale che procastina i tempi dell’accoglienza, col risultato di aumentare i profitti per chi si è accreditato in questo nuovo mercato dell’accoglienza e sequestrare anni di vite ai migranti.
Tra le manganellate del governo ai migranti sugli scogli di Ventimiglia e le parole di Salvini la distanza è breve.
Da BG Report
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