L'Italia aveva una legge all'avanguardia che è stata un modello per tanti paesi, si tratta della legge 185 del 1990 approvata grazie alle sollecitazioni provenienti dalla società civile, è una norma che regolamenta l'export di armi e che è basata sul criterio della trasparenza, obbliga infatti ogni anno il governo a consegnare al Parlamento una relazione che viene resa pubblica e contiene tutti i dati relativi alle esportazioni di armi e anche un capitolo sulle attività delle banche che fanno profitti nel settore bellico, le cosiddette “banche armate”.
Ma ora questa legge è sotto attacco, il governo Meloni ha infatti presentato un disegno di legge che svuota la 185 delle sue prerogative più preziose e attenta alla sua trasparenza. Il ddl infatti accentra i controlli sull'export di armi nel governo e cancella l’obbligo di consegnare l'elenco delle banche armate. Le modifiche alla 185/90 sono state approvate con inusitata velocità al Senato lo scorso gennaio ora gli emendamenti passano all'esame della Camera. Se il ddl sarà approvato ci priverà del prezioso diritto di essere informati, per esempio potremmo non sapere più se l'Italia esporta armi verso paesi che vìolano i diritti umani o sono coinvolti in conflitti armati e segnerà l’ennesima pericolosa svolta del nostro paese verso una china bellicista.
Se venissero definitivamente approvate le modifiche alla legge 185/90, si faciliterà la vendita all'estero
di armi e queste ultime potrebbero finire nelle zone più conflittuali del mondo aumentando l’insicurezza globale quindi anche quella di tutti noi per garantire un facile profitto di pochi.L’intento è ben celato, ma evidente: smantellare la legge n. 185 del 1990.
Prima, per cinquant’anni, era rimasta in vigore la legge fascista promulgata col Regio Decreto n. 1161 dell’11 luglio 1941, firmato da Mussolini con cui l’intera materia delle esportazioni di armamenti era stata sottoposta al “segreto di Stato” e sottratta all’esame del Parlamento e della società civile. Con una svolta civile e democratica, la legge 185 toglie il vincolo del segreto di stato in materia di armamenti e regolamenta la materia all’insegna della trasparenza ma il comparto militare-industriale non ha mai mancato occasione per lamentarsi dei lacci e lacciuoli imposti dalla nuova legge e non vedeva l’ora di potersene sbarazzare. Per attuarne il progetto, il governo di Giorgia Meloni ha predisposto un disegno di legge che apporterebbe – a detta degli estensori – solo «alcuni aggiornamenti» alla legge «al fine di rendere la normativa nazionale più rispondente alle sfide derivanti dall’evoluzione del contesto internazionale». Di fatto, come ha subito evidenziato la Rete italiana Pace e Disarmo, il disegno di legge crea notevoli preoccupazioni perché «rischia di mettere gli affari armati prima dei diritti». E soprattutto perché, come si è poi visto, è stato pensato per smantellare i punti più rilevanti della legge 185/90 ed in particolare per ridurre al minimo l’informazione e la trasparenza introdotte dalla normativa.
Il meccanismo è stato predisposto con astuzia. Il disegno di legge del governo, infatti, ripristina, presso la presidenza del Consiglio dei ministri, il Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (Cisd), composto dal presidente del Consiglio dei ministri, che lo presiede, e dai ministri degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, dell’Interno, della Difesa, dell’Economia e delle finanze e delle imprese e del Made in Italy. Dopodiché si attua la nuova versione del segreto di Stato del governo Meloni che concentra informazioni, decisioni e competenze tutte nel suddetto comitato interministeriale.
Diminuisce la trasparenza sulle esportazioni di armi. Ciò a cui il comparto militare-industriale mirava promuovendo il disegno di legge è soprattutto ridurre la trasparenza e l’informazione sulle proprie attività riguardo alle esportazioni di armamenti garantita dalla relazione che ogni anno la presidenza del Consiglio deve inviare alle Camere entro il 31 marzo. La relazione deve infatti contenere «indicazioni analitiche – per tipi, quantità e valori monetari – degli oggetti concernenti le operazioni contrattualmente definite indicandone gli stati di avanzamento annuali sulle esportazioni, importazioni e transiti di materiali di armamento e sulle esportazioni di servizi oggetto dei controlli e delle autorizzazioni previste dalla presente legge» (Art. 5). Sono proprio queste informazioni analitiche che nel corso degli anni hanno permesso agli osservatori indipendenti della società civile di monitorare gli affari delle industrie del settore e di denunciare le esportazioni a Paesi belligeranti, a regimi autoritari i cui governi sono accusati di gravi violazioni dei diritti umani. Se questa modifica verrà definitivamente approvata, non sarà più richiesto, come previsto fin dall’entrata in vigore della legge 185/90, che la relazione annuale contenga le succitate indicazioni analitiche. Verrà inoltre cancellato l’obbligo di riportare «i divieti di cui agli articoli 1 e 15» della legge 185/90, cioè, in concreto, l’elenco dei Paesi verso cui vengono vietate le esportazioni di materiali militari.
Banche armate: sparisce la lista. E proprio su questo il governo si è infine tolto la maschera. L’emendamento 1.100, fatto presentare all’ultimo minuto – e quindi indiscutibile – alla Relatrice Stefania Craxi, prevede infatti la soppressione del comma 4 dell’articolo 27 della Legge 185/90. È l’articolo che prescrive che la relazione annuale al Parlamento debba contenere «un capitolo sull’attività degli istituti di credito operanti nel territorio italiano concernente le operazioni disciplinate dalla presente legge». In altre parole non sapremo più dalla relazione quali sono le banche, nazionali ed estere, che traggono profitti dal commercio di armi verso l’estero, in particolare verso Paesi autoritari o coinvolti in conflitti armati. La Rete italiana Pace e Disarmo – che è stata ascoltata in Commissione al Senato, dove aveva presentato una serie di proposte migliorative – a seguito del voto in Commissione ha lanciato l’allarme, soprattutto perché le modifiche, introdotte con gli emendamenti presentati all’ultimo minuto, «inficiano gravemente la trasparenza della Relazione annuale al Parlamento». La Rete, che raggruppa più di settanta associazioni nazionali e locali, sta predisponendo una forte mobilitazione per impedire che le vendite di armi tornino ad essere circondate da una pericolosa opacità. Opacità che, come ai bei tempi dei piazzisti di armi, favorisce solo le aziende militari a discapito della pace, della sicurezza e del rispetto dei diritti umani.
La spesa militare mondiale trainata dal conflitto in Ucraina ha raggiunto nel 2023 la cifra record di 2240 miliardi di dollari e l'Italia ha contribuito con una spesa di circa 32 miliardi di euro secondo i dati forniti dall'Istituto di Ricerca sulla Pace di Stoccolma per darvi un ordine di grandezza, è più di quanto stando alla legge di bilancio il nostro paese designerà nel 2024 alle politiche per il lavoro 17 miliardi di euro all'istruzione universitaria 11,4 miliardi di euro messe insieme. L’Italia è il terzo fornitore di armi ad Israele inclusi elicotteri e artiglieria navale.
Dal welfare al warfare, mentre i civili vengono trucidati le aziende produttrici di armamenti si stanno arricchendo realizzando profitti record. L’italiana Leonardo nel 2023 ha visto aumentare i propri ricavi dal 3,9 al 15,3% mentre il valore delle sue azioni è aumentato addirittura dell'80%; vengono distribuiti lauti dividendi agli azionisti e non si vedono i fantasmagorici posti di lavoro promessi.
Bisogna fermare le guerre imperialiste e ridurre le spese militari. Bisogna opporsi all'economia di guerra che l'Europa sta cercando di promuovere per fare ancora una volta gli interessi dell'elite globali. Bisogna pretendere che quei soldi vengano destinati alla sanità, alle scuole, alle politiche abitative e non a coltivare i desideri degli ultraliberisti.
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