sabato 13 aprile 2024

pc 13 aprile - “Disobbedienza civile per difendere la legge 185 sull’export di armi” - Intervista ad Alex Zanotelli

A seguire la nota denuncia apparsa su questo blog 
e in ORE 12 Controinformazione Rossoperaia: 
Esportazione armi, il governo Meloni smantella la legge: addio trasparenza - Da ORE 12 del 9/4 
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di laura tussi

La legge 185 del 1990 è uno strumento fondamentale che garantisce trasparenza sui finanziamenti all’industria bellica. Oggi questa trasparenza è in pericolo. Ne abbiamo parlato con Alex Zanotelli, che ha ripercorso il processo che ha portato all’approvazione di questo testo più di trent’anni fa e ha avanzato alcune proposte su come fronteggiare le minacce che si trova ad affrontare oggi.

Avete mai sentito parlare della legge 185? Probabilmente no, ma soprattutto in questa epoca in cui i conflitti che coinvolgono indirettamente il nostro paese non accennano a diminuire di intensità, è un testo fondamentale. Prima di tutto la legge 185 è nata nel 1990 dalla spinta di un grande movimento popolare che includeva I beati costruttori di pace, con Don Tonino Bello e altre numerose associazioni. E poi includeva tutte le organizzazioni di base, anche del mondo cattolico.

«All’epoca persi il mio incarico di direttore di Nigrizia proprio per le mie denunce sulle armi», ricorda Alex Zanotelli. «Penso che anche questo brutale provvedimento abbia ispirato tutto questo movimento consentendo di far approvare questa legge, che è un unicum in Europa». Con padre Zanotelli affrontiamo dunque la discussione sulla drammatica attualità, che rischia di vanificare i risultati ottenuti da quella grande mobilitazione.

Il Senato ha approvato le modifiche alla legge 185/90 che regolamenta le esportazioni di armi convenzionali. Con queste modifiche si vogliono cancellare gli obblighi di trasparenza e rendicontazione in Parlamento su export di armi e relativi finanziamenti. Se la legge passerà non sarà più possibile avere la lista delle banche armate e sarà compromessa la trasparenza.

Penso che non tutti facilmente conoscano la legge 185. Prima di tutto la 185 è una legge che è nata nel 1990; nata dietro la spinta di un grande movimento popolare che includeva I beati costruttori di pace all’Arena di Verona con Don Tonino Bello e altre numerose associazioni.

E poi includeva tutte le organizzazioni di base anche cattoliche. Inoltre ero stato defenestrato dal ruolo di direttore di Nigrizia proprio per le mie denunce sulle armi. Anche questo brutale provvedimento penso che abbia ispirato tutto questo movimento e abbiamo ottenuto così questa legge che è unica, è un unicum in Europa e non esiste una legge con questi estremi in tutta Europa e in molti Paesi. Praticamente cosa dice la legge: un controllo prima di tutto parlamentare sulle armi e è fondamentale questo ed è proprio questo controllo che permette al parlamento di dare ogni anno a proposito i nomi delle banche che pagano per le armi.

La supervisione sulle armi per noi è fondamentale per conoscere e poi boicottare le banche che pagano per gli armamenti. Non avremmo mai potuto far anche la campagna contro le banche armate se non avessimo avuto questo strumento. Per esempio oggi sappiamo che l’80% degli investimenti sono impiegati per costruire armi – chiaramente costruire armi significa che bisogna avere finanziamenti dalle banche – per cui l’80% di questi soldi per la costruzione di armi in Italia proviene da tre banche Unicredit, Intesa Sanpaolo, Deutsche Bank.

L’80% e quindi cominciamo da questo dato. E poi la campagna ha disturbato il governo però non è stata finora veramente praticata. Il problema è in sostanza etico. Come faccio a mettere i miei soldi in una banca che costruisce strumenti di morte che poi vanno a uccidere persone in guerra. Menziono sempre il grande teologo che ha partecipato al concilio Vaticano secondo Monsignor Chiavacci di Firenze. Bravissimo. Conosceva il problema finanziario meglio di tanti altri intellettuali e economisti e diceva che è un dovere etico e morale per un cristiano, ma anche per ogni cittadino, sapere dove mette i propri soldi e come quegli investimenti vengono utilizzati.

Questo principio fondamentale che è stato alla base della campagna contro le banche armate

purtroppo non sta passando. Passa di più tra persone che si dichiarano atee piuttosto che a livello di chiesa. Se le diocesi italiane, se le parrocchie, ritirassero i propri soldi da queste banche, metteremo in crisi letteralmente la costruzione di armi. Se vogliamo davvero mettere in crisi il sistema, dobbiamo letteralmente boicottare le banche armate.

Chi l’ha capito è stato Crosetto il ministro, non il nostro ministro, della difesa in Italia, che è veramente turbato e infastidito dalle banche etiche. L’ha detto lui in un incontro con i pezzi grossi per le armi. Non vuole le banche etiche perché possono etichettare le banche come banche armate. Allora lui vorrebbe fare una propria banca. Incredibile. Soltanto per pagare la costruzione di armi che vuol dire però che questa campagna ha già incominciato a portare i suoi frutti se si arriva a questo livello.

Adesso il problema è che la legge 185/90, che traccia anche le banche armate, vogliono metterla in discussione in parlamento. E’ già passata al Senato e sta passando adesso, penso che passerà molto in fretta, alla camera. Ecco perché abbiamo fatto a Roma una conferenza stampa recentemente per cercare di mettere insieme tutte le realtà che nel 1990 avevano portato a questa legge.

Per contrastare lo strapotere delle Banche armate come si potrebbe attuare su larga scala una forma di obiezione del risparmiatore in favore della banca etica?

Penso dobbiamo capire che non è a livello individuale di risparmiatore o altro, in quanto è sempre l’individuo alla fine che si impegna, ma deve diventare una campagna di massa e collettiva. Questo lo dico non soltanto per la costruzione di armi, ma altrettanto importante è – purtroppo in Italia se ne parla pochissimo – mentre all’estero è molto forte, è stata promossa con grande forza da WCC il consiglio ecumenico delle chiese a Ginevra e promossa la campagna contro i fossili che è andata meglio della campagna contro le banche armate che poi pagano per l’estrazione del petrolio e queste cose funzionano quando diventano processi di massa: questa è la forza. Altrimenti diventano “io sono bravo perché non metto i miei soldi nella banca armata”. No. Non è una questione di mettersi la coscienza a posto.

La questione è che dobbiamo davvero far saltare delle situazioni assurde con la nonviolenza e questo è uno dei metodi sia per la costruzione di armi sia per quanto riguarda la stessa questione per i fossili e anche in questo caso sono sempre coinvolte pressappoco le stesse banche la Unicredit anche intesa Sanpaolo. E quella forza vale anche per i grandi boicottaggi dal basso.

Non si tratta di mettere la coscienza a posto, ma se vuoi cambiare, deve diventare un boicottaggio di massa. E è quello che ad esempio gli americani hanno fatto quando hanno capito come la Nike sottopagava le donne in Indonesia. Immediatamente è partito un boicottaggio nazionale della Nike che ha messo in crisi profonda l’azienda multinazionale. E sono andati, poco tempo dopo, subito in Indonesia a alzare il salario delle donne: questa è l’efficacia.

La storica esortazione quella di Pertini “svuotiamo gli arsenali e riempiamo i granai” può essere invocata per le banche che finanziano le fabbriche di armi? e invece provocano un grave indebitamento dei piccoli agricoltori.

Certamente è un passaggio anche questo su cui pensare. Dovrà essere pensata bene come deve essere fatta la campagna per boicottare le banche che finanziano i produttori di armi. Perché per le campagne ci vuole tempo e devono essere tutti i soggetti coinvolti efficaci altrimenti diventano fasulle e soprattutto è necessario il consenso popolare e di massa.

Puoi commentare il comunicato stampa dell’ONU che si rifà alla sentenza della corte internazionale di giustizia del 26 gennaio nonché alla convenzione di Ginevra e chiede sostanzialmente agli Stati membri di interrompere l’export di armi verso Israele?

l’Italia ha un trattato secretato con Israele. Continua a vendere e ha continuato a vendere armi in tutto questo periodo della guerra o meglio un autentico genocidio che Israele sta perpetrando ai danni del popolo palestinese. Agli Stati quello che importa sono gli interessi economici e finanziari.

Il permettere che le fabbriche di armi producano sempre ordigni militari. Quindi questo è il limite di perorazioni e invocazioni che si fanno sugli Stati. Le altre campagne toccano la coscienza della gente che deve essere cambiata perché è quella grande rivoluzione che arriverà dal basso e sarà nonviolenta, quando la gente prenderà coscienza e urlerà e griderà: basta.

Pensi che quando la riforma della 185 arriverà alla Camera ci sarà una forte e massiccia manifestazione a Roma?

Non lo so. Faremo di tutto. Ma è molto più efficace pensare a qualcosa d’altro. L’ho proposto prima che arrivi ancora alla camera durante questo periodo. La mia proposta anche durante la recente conferenza stampa di Roma è che di fatto dobbiamo pensare che siamo qui rappresentanti di varie realtà che non vogliamo che venga modificata la legge 185 e dobbiamo fare un’azione efficace.

Oggi è inutile parlare di pace. E’ totalmente inutile. E citerò sempre la testimonianza attiva e efficace di padre Daniel Barragan, gesuita americano, che ha sostenuto e animato la resistenza negli Stati Uniti durante la guerra contro il Vietnam. Diceva: “ragazzi è inutile parlare di pace, perché fare pace costa altrettanto come fare guerra”. Quell’uomo, quel gesuita ha fatto 44 mesi di galera negli Stati Uniti per le sue scelte contro la guerra in Vietnam, per vari tentativi.

Sono convinto che abbiamo bisogno di atti di disobbedienza pubblica e civile e di massa e avere la capacità di disobbedire e andare in tribunale e andare anche in prigione. Perché la mia proposta sarebbe quella di sollevarsi seriamente e di fare qualche gesto davanti al parlamento italiano di disobbedienza civile dal basso e stiamo pensando a come fare, ma bisogna attivarsi e mettersi in moto e si diventa più efficaci e credibili con un gesto di questo tipo per attirare anche la stampa con manifestazioni.

Come i ragazzi di Ultima Generazione che mettono in atto queste provocazioni. 

pc 10 aprile - Esportazione armi, il governo Meloni smantella la legge: addio trasparenza - Da ORE 12 del 9/4


L'Italia aveva una legge all'avanguardia che è stata un modello per tanti paesi, si tratta della legge 185 del 1990 approvata grazie alle sollecitazioni provenienti dalla società civile, è una norma che regolamenta l'export di armi e che è basata sul criterio della trasparenza, obbliga infatti ogni anno il governo a consegnare al Parlamento una relazione che viene resa pubblica e contiene tutti i dati relativi alle esportazioni di armi e anche un capitolo sulle attività delle banche che fanno profitti nel settore bellico, le cosiddette “banche armate”.

Ma ora questa legge è sotto attacco, il governo Meloni ha infatti presentato un disegno di legge che svuota la 185 delle sue prerogative più preziose e attenta alla sua trasparenza. Il ddl infatti accentra i controlli sull'export di armi nel governo e cancella l’obbligo di consegnare l'elenco delle banche armate. Le modifiche alla 185/90 sono state approvate con inusitata velocità al Senato lo scorso gennaio ora gli emendamenti passano all'esame della Camera. Se il ddl sarà approvato ci priverà del prezioso diritto di essere informati, per esempio potremmo non sapere più se l'Italia esporta armi verso paesi che vìolano i diritti umani o sono coinvolti in conflitti armati e segnerà l’ennesima pericolosa svolta del nostro paese verso una china bellicista.

Se venissero definitivamente approvate le modifiche alla legge 185/90, si faciliterà la vendita all'estero

di armi e queste ultime potrebbero finire nelle zone più conflittuali del mondo aumentando l’insicurezza globale quindi anche quella di tutti noi per garantire un facile profitto di pochi.

L’intento è ben celato, ma evidente: smantellare la legge n. 185 del 1990.

Prima, per cinquant’anni, era rimasta in vigore la legge fascista promulgata col Regio Decreto n. 1161 dell’11 luglio 1941, firmato da Mussolini con cui l’intera materia delle esportazioni di armamenti era stata sottoposta al “segreto di Stato” e sottratta all’esame del Parlamento e della società civile. Con una svolta civile e democratica, la legge 185 toglie il vincolo del segreto di stato in materia di armamenti e regolamenta la materia all’insegna della trasparenza ma il comparto militare-industriale non ha mai mancato occasione per lamentarsi dei lacci e lacciuoli imposti dalla nuova legge e non vedeva l’ora di potersene sbarazzare. Per attuarne il progetto, il governo di Giorgia Meloni ha predisposto un disegno di legge che apporterebbe – a detta degli estensori – solo «alcuni aggiornamenti» alla legge «al fine di rendere la normativa nazionale più rispondente alle sfide derivanti dall’evoluzione del contesto internazionale». Di fatto, come ha subito evidenziato la Rete italiana Pace e Disarmo, il disegno di legge crea notevoli preoccupazioni perché «rischia di mettere gli affari armati prima dei diritti». E soprattutto perché, come si è poi visto, è stato pensato per smantellare i punti più rilevanti della legge 185/90 ed in particolare per ridurre al minimo l’informazione e la trasparenza introdotte dalla normativa.

Il meccanismo è stato predisposto con astuzia. Il disegno di legge del governo, infatti, ripristina, presso la presidenza del Consiglio dei ministri, il Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (Cisd), composto dal presidente del Consiglio dei ministri, che lo presiede, e dai ministri degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, dell’Interno, della Difesa, dell’Economia e delle finanze e delle imprese e del Made in Italy. Dopodiché si attua la nuova versione del segreto di Stato del governo Meloni che concentra informazioni, decisioni e competenze tutte nel suddetto comitato interministeriale.

Diminuisce la trasparenza sulle esportazioni di armi. Ciò a cui il comparto militare-industriale mirava promuovendo il disegno di legge è soprattutto ridurre la trasparenza e l’informazione sulle proprie attività riguardo alle esportazioni di armamenti garantita dalla relazione che ogni anno la presidenza del Consiglio deve inviare alle Camere entro il 31 marzo. La relazione deve infatti contenere «indicazioni analitiche – per tipi, quantità e valori monetari – degli oggetti concernenti le operazioni contrattualmente definite indicandone gli stati di avanzamento annuali sulle esportazioni, importazioni e transiti di materiali di armamento e sulle esportazioni di servizi oggetto dei controlli e delle autorizzazioni previste dalla presente legge» (Art. 5). Sono proprio queste informazioni analitiche che nel corso degli anni hanno permesso agli osservatori indipendenti della società civile di monitorare gli affari delle industrie del settore e di denunciare le esportazioni a Paesi belligeranti, a regimi autoritari i cui governi sono accusati di gravi violazioni dei diritti umani. Se questa modifica verrà definitivamente approvata, non sarà più richiesto, come previsto fin dall’entrata in vigore della legge 185/90, che la relazione annuale contenga le succitate indicazioni analitiche. Verrà inoltre cancellato l’obbligo di riportare «i divieti di cui agli articoli 1 e 15» della legge 185/90, cioè, in concreto, l’elenco dei Paesi verso cui vengono vietate le esportazioni di materiali militari.

Banche armate: sparisce la lista. E proprio su questo il governo si è infine tolto la maschera. L’emendamento 1.100, fatto presentare all’ultimo minuto – e quindi indiscutibile – alla Relatrice Stefania Craxi, prevede infatti la soppressione del comma 4 dell’articolo 27 della Legge 185/90. È l’articolo che prescrive che la relazione annuale al Parlamento debba contenere «un capitolo sull’attività degli istituti di credito operanti nel territorio italiano concernente le operazioni disciplinate dalla presente legge». In altre parole non sapremo più dalla relazione quali sono le banche, nazionali ed estere, che traggono profitti dal commercio di armi verso l’estero, in particolare verso Paesi autoritari o coinvolti in conflitti armati. La Rete italiana Pace e Disarmo – che è stata ascoltata in Commissione al Senato, dove aveva presentato una serie di proposte migliorative – a seguito del voto in Commissione ha lanciato l’allarme, soprattutto perché le modifiche, introdotte con gli emendamenti presentati all’ultimo minuto, «inficiano gravemente la trasparenza della Relazione annuale al Parlamento». La Rete, che raggruppa più di settanta associazioni nazionali e locali, sta predisponendo una forte mobilitazione per impedire che le vendite di armi tornino ad essere circondate da una pericolosa opacità. Opacità che, come ai bei tempi dei piazzisti di armi, favorisce solo le aziende militari a discapito della pace, della sicurezza e del rispetto dei diritti umani.

La spesa militare mondiale trainata dal conflitto in Ucraina ha raggiunto nel 2023 la cifra record di 2240 miliardi di dollari e l'Italia ha contribuito con una spesa di circa 32 miliardi di euro secondo i dati forniti dall'Istituto di Ricerca sulla Pace di Stoccolma per darvi un ordine di grandezza, è più di quanto stando alla legge di bilancio il nostro paese designerà nel 2024 alle politiche per il lavoro 17 miliardi di euro all'istruzione universitaria 11,4 miliardi di euro messe insieme. L’Italia è il terzo fornitore di armi ad Israele inclusi elicotteri e artiglieria navale.

Dal welfare al warfare, mentre i civili vengono trucidati le aziende produttrici di armamenti si stanno arricchendo realizzando profitti record. L’italiana Leonardo nel 2023 ha visto aumentare i propri ricavi dal 3,9 al 15,3% mentre il valore delle sue azioni è aumentato addirittura dell'80%; vengono distribuiti lauti dividendi agli azionisti e non si vedono i fantasmagorici posti di lavoro promessi.

Bisogna fermare le guerre imperialiste e ridurre le spese militari. Bisogna opporsi all'economia di guerra che l'Europa sta cercando di promuovere per fare ancora una volta gli interessi dell'elite globali. Bisogna pretendere che quei soldi vengano destinati alla sanità, alle scuole, alle politiche abitative e non a coltivare i desideri degli ultraliberisti.

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