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Milano. Il fumo e la sostanza
- Centro sociale "Il Cantiere" Milano
Il fumo di un modello Expò convocato in nome del “Nutrire il Pianeta” e nelle mani delle multinazionali che il Pianeta lo affamano.
Il fumo del maquillage last minute utile a coprire i cantieri dagli appalti miliardari non ancora finiti, e tra 6 mesi gia’ in disuso.
Il fumo dell’indignazione di una giunta che dopo avere mandato a casa la partecipazione oggi chiama la cittadinanza a pulire la città, come perfetta occasione per ripulirsi la faccia.
Il fumo delle colonne di fumo dei “leoni” in azione per una oretta di “gloria” concessa da potere e polizie, ed ovviamente altrettanto strumentalmente esaltata da media e commentatori.
La sostanza di un mondo in balìa di interessi multinazionali e di un neo-liberismo feroce e selvaggio
in guerra con l’umanità e con l’ecosistema.
La sostanza dei miliardi di euro gettati al vento nella ennesima grande opera solo utile a produrre un po’ di precarietà per tanti, grossi affari per pochi.
La sostanza di una Milano tradita da un laboratorio sociale promesso, fallito un secondo dopo la fine della grande festa arancione di piazza Duomo con la giunta così solerte nel prodigarsi nella chiamata a “ripulire” Milano quanto nel prodigarsi nell’impresa expo, una mafia di interessi opachi per cui erano semplicemente necessari timonieri presentabili.
La sostanza di costruire reti, laboratori di condivisione di analisi e pratiche e’ un percorso costituente, sicuramente cosa molto meno facile ed esaltante che una pratica di spuria e mediatica “estetica del gesto”.
Sentiamo parlare di “violenza” indicibile, quella che avrebbe subito Milano il 1 Maggio 2015. Ma pochissima indignazione per Klodian, ragazzo, caduto da un ponteggio mentre lavorava a une delle infrastrutture di expo l’ 11 aprile.
Perchè morire nel silenzio e a 21 anni non fa notizia nelle deroghe dei cantieri miliardari, come giustamente ricorda indignato il noto rapper nel mentre tutti cercano di metterlo alla gogna e semplificare ragionamenti irriducibili ai titoli ad uso e consumo del circo mediatico, già in funzione della prossima campagna elettorale meneghina.
Ci permettiamo quindi di affermare serenamente che in una epoca così feroce la “violenza” ci risulta essere ben altra cosa. Delle vetrine del centro non ci interessa molto, se non in relazione al fatto che non ci voleva particolare sagacia a comprendere le immediate conseguenze, nel contesto del primomaggio. Non possiamo che “plaudire” gli “eroi” che hanno imposto le loro pratiche su un percorso condiviso da anni, spezzando l’imponente serpentone della MayDay e mettendo migliaia di persone e la tutela di un intero corteo a rischio in un gioco di “guardie e ladri” e ripetute provocazioni cui non sono seguite reazioni.
Quanto costano quelle vetrine? Quanto 1 minuto di mantenimento della casta delle poltrone della politica italiana?
Getta fumo chi va affermando o addirittura scrivendo affermazioni del tipo “il blocco nero era innegabilmente lo spezzone piu’ numeroso, dell’intero corteo”. Per noi è e sempre sarà centrale la scommessa della partecipazione, e in tal senso il primo maggio 2015 a Milano è stato un grande esempio di partecipazione con tantissimi giovani in particolare in piazza, a dimostrare che nonostante la depressione qui un movimento ancora c’è.
Non pensiamo il primo maggio sia nè la fine, e tanto meno l’inizio.
E ci spiace molto vedere come fraterni amici da bravi indiani (metropolitani), cercando giustamente “segnali” nel fumo, finiscano con il fumo negli occhi giudicando il “primo maggio di milano come un inizio”. Con affetto diciamo che in quella giornata non vediamo alcun inizio, se non di Maggio.
Milano come Ferguson, Baltimora? Nello “spettacolo” del primomaggio vediamo il limite di una scelta di pochi molto più vicini all’essere ceto politico più che alle rivolte sociali.
I “sociologi del riot” che citano Baltimora, Ferguson non colgono nulla del contesto,
E allora Kobane?!? Ecco ci sembrano assurdi i tentativi di lettura pro o contro il primomaggio di Milano (e i piccoli avvenimenti avvenuti) quale lente da cui leggere le rivolte del mondo. E vergognoso anche solo il paragone. Non è sufficiente l’eco di due botti per portare qui quell’esperienza di resistenza (questa sì suo malgrado eroica) e di autorganizzazione che è il Rojava.
I territori sono di chi li vive. Lo abbiamo detto tante volte, così come lo abbiamo imparato dalla ValSusa. E quindi lo stesso vale per ogni territorio.
Centro Sociale Cantiere
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