Il vertice ha segnato un'accelerazione dell'integrazione europea, ma sul piano economico non ha detto molto di nuovo.
L'uso del fondo salvastati per acquistare titoli di stato dei paesi in difficoltà sui mercati, ma che stiano rispettando "gli impegni e le scadenze" imposte dalla Ue, è poco più di una partita di giro con un solo vantaggio contabile: quei fondi non transiteranno sul conto degli stati e quindi non appesantirà il loro debito pubblico ufficiale. Tutto qui il "successo" di Monti, osannato come come Scipione l'Africano dai media padronali che temevano la crisi di governo e le elezioni anticipate.
Il fondo Efsf dovrà comunque esser finanziato dagli stati stessi; anzi, servità probabilmente un'iniezione maggiore dei denaro per raggiungere una dimensione sufficiente a far fronte alle pressioni dei mercati tra luglio e agosto, quando è già annunciata un'offensiva angloamericana per ridimensionare l'euro e accentuare le tensioni all'interno del Vecchio Continente.
Tutte le questioni rimagono dunque aperte e sul tappeto. Ma la "stretta politica" è evidente. E' quello che gli Usa non volevano (senza poterlo dire), perché indirettamente accentua la contraddizione tra interessi globali Usa e interessi "unitari europei" (presi singolarmente, infatti, i paesi hanno una relazione assai differenziata verso gli americani).
Stretta che passa intanto per la cosiddetta "unità bancaria", con il trafserimento della sorveglianza dalle banche centrali nazionali alla Bce. Anche questo è un elemento che contrasta la facilità con cui finora la normale speculazione finanziaria aveva giocato, viste le enormi differenze di regolazione tra i vari paesi. Ma soprattutto per il fatto che negli ultimi mesi era dicentata evidente la "nazionalizzazione" dei diversi sistemi bancari, con gli stati spesso costretti ad intervenire a sostegno delle banche del loro paese. Con il doppio risultato di aumentare la propria debolezza sui mercati (causa il debito pubblico crescente nonostante le manovre lacrime e sangue) e di "separare" sistemi bancari che su un mercato comunque unico.
Ls partita ha ora una scadenza chiarificatrice. Il 9 luglio i ministri finanziari dovranno "dettagliare" i termini di questo accordo politico. Lì si vedrà se e quanto l'accordo sarà "incisivo" o si tramuterà in un boomerang. Nel secondo caso, l'euforia delle borse di venerdì si trasformerà in panico.
Sul piano politico "nazionalistico", comunque, appare chiaro che la vittoria ai punti è andatta ad Hollande. Il neo presidente francese ha infatti sponsorizzato i due grandi paesi latini, Spagna e Italia, costringendo la Germania ad accettare un compromesso inizialmente scartato.
Da sottolineare infine come , tra le reazioni dei grandi giornali, abbia assunto un profilo paradigmatico l'editoriale di oggi sul Corriere della sera, dove Antonio Polito assume senza più riserve il punto di vista dell'"investitore qualsiasi" rispetto ai contenuti della partita europea e della politica italiana. Il punto è proprio questo, infatti. Se a guidare il continente e il pianeta debba essere l'interesse dell'"investitore" (colui che ha e può gestire un patrimonio picco o grande) o se debba farlo l'interesse delle popolazioni. Insomma, dei "cittadini" (un liberale dovrebbe almeno ricordarselo, evitando svaccamenti del genere).
di Claudio Conti
dal manifesto
irettore dell'edizione spagnola di «Le monde diplomatique».
L'ideologia
del castigo e la strategia dell'economia del disastro per creare
un'integrazione europea sul modello tedesco. Ma Merkel non vede che il
malcontento delle masse cresce, e potrebbe esplodere In Spagna Rajoy sta
applicando politiche selvagge di austerità. E i pilastri dello Stato si
stanno sgretolando
Sadismo? Sì, sadismo. Come chiamare altrimenti questo compiacimento
nel causare dolore e umiliazioni alle persone? In questi anni di crisi
abbiamo visto come - in Grecia, in Irlanda, in Portogallo, in Spagna e
in altri paesi dell'Unione europea - la spietata applicazione del
cerimoniale del castigo richiesto dalla Germania (congelamento delle
pensioni, posticipazione dell'età pensionabile, riduzione della spesa
pubblica, tagli al welfare, diminuzione dei fondi per la prevenzione
della povertà e dell'esclusione sociale, riforma del lavoro ecc) ha
provocato un vertiginoso aumento della disoccupazione e degli sfratti,
del numero delle persone costrette a elemosinare e anche dei suicidi.
Nonostante le tribolazioni sociali abbiano raggiunto livelli
insopportabili, Angela Merkel e i suoi seguaci (tra cui Mariano Rajoy)
continuano ad affermare che il soffrire è cosa buona, da considerarsi
non come un momento di supplizio ma di autentica gioia. Secondo loro
ogni nuovo giorno di pena ci purifica, ci rigenera e ci avvicina all'ora
ultima del tormento. Tale filosofia del dolore non è ispirata dal
marchese de Sade ma alle teorie di Joseph Schumpeter, uno dei padri del
neoliberismo, il quale pensava che tutta la sofferenza sociale è, in
qualche modo, tesa al raggiungimento di un obiettivo economico
necessario, e che sarebbe un errore alleviarla anche solo leggermente.
Così stiamo. Con una Angela Merkel nel ruolo di "Wanda, la dominatrice",
sostenuta da un coro di fanatiche istituzioni finanziarie (Bundesbank,
Banca centrale europea, Fondo Monetario Internazionale, Organizzazione
mondiale del commercio, ecc) e dai dipendenti eurocrati di sempre (Durao
Barroso, Van Rompuy, Ollie Rehn, Joaquin Almunia, ecc.). Tutti a
scommettere su un masochismo popolare che porterebbe i cittadini non
solo alla passività ma a reclamare maggiore espiazione e martirio «ad
maiorem gloria Europa». Arrivano persino a sognare che le forze di
polizia definiscano «sottomissione chimica» certi farmaci in grado di
eliminare totalmente o parzialmente la coscienza delle vittime,
inconsapevolmente trasformate in gingilli nelle mani degli aggressori.
Ma devono stare attenti perché la «massa» ruggisce. In Spagna, dove il
governo di Mariano Rajoy sta applicando politiche selvagge di austerità
proprio al limite del «sadismo», le manifestazioni di malcontento
sociale si moltiplicano. E questo in un contesto di forte smarrimento in
cui, all'improvviso, i cittadini constatano che alla crisi economica e
finanziaria si somma una grave crisi di governo. Contemporaneamente,
alcuni fondamentali pilastri della struttura dello Stato si stanno
sgretolando: la Corona (con il tetro argomento della caccia all'elefante
in Bostwana), la magistratura (con il caso in Divar), la Chiesa (che
non paga le imposte sui beni immobili), il sistema bancario (che ci
dicevano fosse il «più solido» d'Europa e ora scopriamo che si sta
sfaldando), il Banco di Spagna (incapace di mettere in guardia su Bankia
ed altri spettacolari fallimenti), le Comunità Autonome (impantanate in
abissali scandali di corruzione), i grandi media (troppo dipendenti
dalla pubblicità e che nascondono le calamità che stanno per
arrivare)... Senza parlare dello stesso governo il cui presidente, nel
momento in cui la Spagna (con la Grecia) si è trasformata nel fulcro dei
problemi del mondo, sembra avanzare senza bussola. E di chi, di fronte a
questioni fondamentali, o non fornisce alcuna risposta o risponde con
espressioni surreali («Facciamo le cose per bene") o semplicemente con
delle menzogne. Mariano Rajoy e la sua squadra hanno una grande
responsabilità nel disastro attuale. Hanno gestito la crisi bancaria con
evidente imperizia, hanno lasciato imputridire il caso Bankia, hanno
trasformato un evidente fallimento in un impatto con Bruxelles, la Bce e
il Fmi; hanno professato il negazionismo più stolto, pretendendo di far
passare un salvataggio dalle conseguenze gravissime per l'economia
spagnola come credito a buon mercato e senza condizioni («È un sostegno
finanziario che non ha nulla a che vedere con un salvataggio», ha di
dichiarato Luis de Guindos, «Si tratta di una linea di credito che non
colpisce il debito pubblico», ha affermato Rajoy). Tutto dà la penosa
impressione di un paese che sta naufragando. I cui cittadini scoprono,
all'improvviso, che dietro le apparenze del «successo economico
spagnolo» sbandierato per decenni dai governanti del Psoe e del Pp, si
nascondeva un modello (quello della «bolla immobiliare») reso marcio
dall'incompetenza e l'avidità. In una certa misura, comprendiamo ora -
molto a spese nostre - uno dei grandi enigmi della storia di Spagna:
come è stato possibile, nonostante le montagne di oro e argento
provenienti dall'America dell'Impero colonizzatore e sfruttatore, che il
paese si sia trasformato, a partire dal XVII secolo, in una specie di
«corte dei miracoli» piena di mendicanti, poveri e senzatetto? Che si è
fatto di cotanta ricchezza? La risposta a queste domande oggi l'abbiamo
davanti agli occhi: incompetenza e miopia dei governanti, infinita
avidità dei banchieri. L'attuale punizione non è ancora finita. Dopo che
lo scorso giugno l'agenzia Moody's ha declasso il rating del debito
spagnolo di tre punti, da A3 a Baa3 (uno sopra le «obbligazioni
spazzatura»), il premio per il rischio ha raggiunto limiti
insostenibili. La solvibilità spagnola è sul pendio che conduce a un
salvataggio. Tanto il salvataggio della banca quanto quello del debito
pubblico avranno un costo sociale terrificante. In una relazione annuale
sulla Spagna, il Fondo monetario internazionale, per esempio, sta già
pretendendo dal Governo l'aumento dell'Iva e che approvi, prima
possibile, un ulteriore riduzione del salario dei funzionari per ridurre
il deficit. Inoltre, in un documento sul lavoro, gli esperti del Fmi
raccomandano alla Spagna di ridurre ulteriormente i licenziamenti,
pretendono il contratto unico e che si eviti la rivalutazione automatica
dei salari. Anche la Commissione europea raccomanda l'aumento dell'Iva e
l'adozione di nuove misure «austeritarie»: il posticipo dell'età
pensionabile, il controllo dei costi delle Comunità, l'inasprimento
delle prestazioni per la disoccupazione, l'eliminazione dello sgravio
per l'alloggio e la riduzione del volume di spesa della pubblica
amministrazione. Tutto prima del 2013.
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