Contributo dall'asse di lavoro tra comunisti marxisti-leninisti-maoisti italiani e comunisti, rivoluzionari, antimperialisti in Tunisia
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Negli ultimi mesi la politica estera italiana si sta sviluppando su due assi principali: il crescente attivismo nella guerra interimperialistica USA/Russia in Ucraina con il sostegno al regime filo-americano e reazionario di Zelenski e una magiore presenza nel Mediterraneo sui fronti dell'approviggionamento energetico (Algeria, Tunisia) e della guerra ai migranti (Tunisia in particolare ma anche Egitto nonché in vari paesi subsahariani).
La "democrazia tunisina" sulla via del fallimento
Per una serie di fattori la Tunisia, questo piccolo paese di soli 12 milioni di abitanti, è tornata ad essere una priorità della politica estera italiana.
In Tunisia assistiamo all'aggravarsi di una crisi economica che si è sempre più approfondita nell'ultimo decennio con diverse accelerazioni: nel 2012, nel 2016 ed infine nell'ultimo triennnio a seguito della pandemia.
Oggi la Tunisia è il primo paese a rischio fallimento del continente africano e tra i primi due insieme al
Libano nella regione MENA (Nord Africa e Medio Oriente) con un debito estero pari al 95% del proprio pil, con l'inflazione che a dicembre 2022 ha superato la barra simbolica del 10% raddoppiando negli ultimi 18 mesi e con un tasso di disoccupazione che rimane praticamente stabile ovvero a livelli molto elevati del 15% con punte del 30% tra i giovani e del 50% in alcune regioni transfrontaliere e/o interne (Tataouine, Kasserine, Sidi Bouzid, Siliana, Jendouba).E' doveroso ricordare che la Tunisia ha aderito al primo piano di aggiustamento strutturale delle agenzie finanziarie internazionali sin dalla fine degli anni '70 seppur seguendone tiepidamente le raccomandazioni sino agli anni '90 quando durante il regime Ben Ali si è avviata la parternship con l'Unione Europea e contemporaneamente è stata promulgata la prima legge organica che ha aperto maggiormente il mercato tunisino agli investimenti stranieri diretti (il Codice di Incitamento agli Investimenti), da allora la situazione finanziaria del paese si è sempre più aggravata.
I governi post-"rivoluzionari" nel decennio della cosiddetta "transizione democratica nell'unico paese arabo in cui la Rivoluzione è stata vittoriosa instaurando una democrazia", mentre restauravano "democraticamente" l'ancien regime, non hanno fatto altro che approfondire il circolo vizioso dell'indebitamento. Infatti accettando tali finanziamenti a breve-medio termine con elevati tassi d'interesse per ripagare il debito, oltre a far crescere il debito stesso, con le loro condizioni vincolanti, da un lato hanno minato la sovranità nazionale recependo indicazioni di modifiche legislative (per la Tunisia emblematica la legge bancaria promulgata nel 2016 praticamente sotto dettatura UE) dall'altro hanno indebolito l'economia nazionale ed in particolare il tasso d'occupazone ed il potere d'acquisto popolare a suon di tagli alla spesa pubblica (privatizzazioni e quindi licenziamenti, tagli ai sussidi sui generi alimentari e all'energia domestica, la benzina ecc.).
La stampa internazionale oggi indica che la Tunisia è a rischio default e che per evitare il baratro dovrebbe quindi accettare il nuovo accordo con il FMI per accedere alla prima tranche di finanziamento di 500 milioni di $ su un totale di 1,9 miliardi di $. Da ormai un anno il FMI fa pressioni sul regime Saied-Bouden perché accetti le condizioni ed incassi la prima tranche, nell'ultima settimana ciò è diventato anche un'urgenza del governo Meloni ma anche di altri paesi imperialisti come Francia, USA e Germania (ovvero i principali paesi presenti in Tunisia con investimenti, aziende, centri culturali ecc.).
Sul versante politico le speranze ed il plauso diffuso in seguito allo scioglimento del parlamento da parte del presidente della repubblica Kais Saied e l'assunzione di pieni poteri, in assenza di reali cambiamenti hanno lasciato il posto alla delusione e al crescente disinteresse popolare verso la politica: le ultime elezioni legislative convocate da Saied con la nuova legge elettorale che prevede l'esclusione di tutti i partiti che ha dato vita ad un parlamento inedito di deputati/individui ha visto la più bassa affluenza elettorale della storia (12%), inoltre una volta neutralizzati i reazionari islamisti, il nuovo regime nell'ultimo anno sta esercitando una repressione inaccettabile verso militanti e partiti rivoluzionari e progressisti nonché verso sindacalisti e giornalisti limitandone ampiamente non solo la libertà d'organizzazione ma anche quella d'espressione in maniera ancor più approfondita dei regimi della "transizione democratica".
Gli interessi dell'imperialismo in Tunisia e di quello italiano in particolare
Com'è noto il paese nordafricano non possiede particolari quantità di materie prime e risorse naturali: alcuni giacimenti di fosfati nella regione di Gafsa (la cui qualità è nettamente inferiore ai fosfati marocchini e del Sahara Occidentale) e qualche pozzo petrolifero principalmente a Tataouine ma anche a Kebili e nell'arcipelago delle Kerkennah. Quali sono quindi i principali interessi dell'imperialismo nel controllo del piccolo paese nord africano ed in particolare quali sono gli interessi italiani che aspira alla piena influenza sul paese già dalla fine del XIX secolo?
La principale ricchezza del paese potremmo dire che risiede nel suo popolo. Se per noi comunisti rivoluzionari ciò è inteso come il contributo che esso ha dato alla lotta di classe e alla Rivoluzione Proletaria Mondiale, con la Rivolta Popolare del 2010/2011 come passo del lungo cammino verso l'emancipazione nazionale e come contributo internazionale innescando l'onda lunga delle rivolte arabe (protrattesi sino al decennio successivo in Algeria e Sudan), per l'imperialismo il popolo tunisino altro non è che un bacino di manodopera a basso costo da impiegare in loco grazie alla compiacenza della borghesia compradora locale che "attira investimenti diretti esteri (IDE)" ovvero facilita lo stabilirsi di aziende straniere totalmente esportatrici che godono di enormi privilegi fiscali, finanziari con l'assicurazione di un totale supporto del governo nel non rispetto delle regole sindacali e della legislazione del lavoro.
Nel contesto post-2011 la Tunisia riveste ulteriormente un ruolo geostrategico a seguito di tre eventi consequenziali e intrecciati tra loro: l'effetto domino delle Rivolte arabe, l'autonomizzazione dall'imperialismo della variabile ISIS presente in Libia e avente una relativa influenza in Tunisia in cui ha tentato di installarsi stabilmente nel 2016 con l'attacco di Ben Guardane (città tunisina di frontiera), l'instabilità politico-economica che rende la Tunisia un paese a forte emigrazione da cui transitano anche migliaia di migranti di nazionalità subsahariana complice l'inferno libico e la blindata Algeria.
Un quarto ed ultimo elemento è stato determinato l'anno scorso dall'aggressione russa all'Ucraina che ha aggravato ulteriormente la crisi economica ed alimentare tunisina (l'Ucraina rappresenta per la Tunisia il primo paese esportatore di grano) e che ha determinato la crisi energetica in Europa ed in Italia in particolare che avendo adesso l'Algeria come primo fornitare di gas, questo transita dalla Tunisia verso la Sicilia.
L'Italia ha quindi tutto l'interesse di "sostenere" la stabilità del regime tunisino, qualsiasi esso sia, per garantirsi una sempre maggiore esportazione di capitali nel paese con conseguente sfruttamento intensivo di manodopera in loco e valvola di sfogo per le PMI italiane (per le quali recentemente è stato organizzato un summit a Tunisi), una continua importazione di manodopera ad alta formazione e a basso costo, insieme a materie prime ed in particolare come fonte sicura di approvvigionamento energetico con la potenzialità per l'Italia di riesportare ad altri paesi europei il gas algerino e l'energia solare prodotta in Tunisia (vedi il progetto europeo Elmed in corso di realizzazione appaltato all'azienda italiana Terni).
Infine l'Italia aspira ad un sempre maggiore controllo del suo territorio per bloccare i migranti "indesiderati" tramite una politica sempre più invasiva di esternalizzazione delle frontiere italiane con il sostegno della guardia costiera e polizia tunisina con doni di motovedette e recentemente anche di pick up per il controllo delle frontiere terrestri meridionali, vi è inoltre una continua pressione perché si stabiliscono centri di detenzione per migranti in Tunisia, sul modello libico già sperimentato, ed in prospettiva una presenza di forze di polizia e militari italiane come già visto in Abania negli anni 2000.
L'Italia è inoltre il primo partner commerciale della Tunisia contribuendo al deficit della bilancia commerciale del paese.
L'imperialismo francese e quello tedesco avrebbero interessi simili a quelli italiani e provano a mantenere la loro posizione acquisita; oggettivamente nella congiuntura attuale si trovano surclassati dal bel paese: la Francia sta perdendo posizioni in molti paesi del Sahel ricchi di materie prime, sia per il vasto sentimento antifrancese radicato nelle masse dell'ex impero coloniale ma anche per la concorrenza e penetrazione dell'imperialismo cinese e di quello russo, la Tunisia passa quindi in secondo piano. Inoltre l'Italia rispetto agli altri due paesi europei ha il vantaggio della vicinanza geografica e "storica" (derivata anche dalle contraddizioni interimperialistiche storiche con la Francia e conseguente simpatia diffusa tra le masse tunisine e anche nella sua classe dirigente per l'Italia), l'Unione Europea con al cuore appunto l'asse franco-tedesco tende quindi a delegare all'Italia il ruolo di guardafrontiera europeo e di importatore di energia seppur in un quadro formalmente multilaterale come dimostra la recente riunione della Commissione Europea che ha lanciato una visita diplomatica lunedì prossimo con l'invio de commissario europeo per gli affari economici Paolo Gentiloni, a cui seguirà una visita franco-italiana voluta dalla Meloni e avallata da Macron.
Per quanto riguarda gli USA l'interesse è principalmente di natura geostrategica e militare e lavora perché il regime tunisino rimanga nell'orbita della NATO come paese associato, come bastione per frenare le mire espansionistiche di potenze regionali quali la Turchia ma soprattutto in prospettiva per limitare l'espansione dell'imperialismo cinese in Nord-Africa.
Tutti e quattro i paesi imperialisti occidentali citati hanno dichiarato in queste ore di voler sostenere il "dossier tunisino" in sede di FMI per l'erogazione del prestito rendendo così il paese ancor più dipendente dal debito estero cioè dall'imperialismo occidentale in generale di cui il FMI cura gli interessi sotto forma multilaterale.
Di contro la Cina ha dichiarato di sostenere la Tunisia contro ogni forma di ingerenza esterna.
Il regime di Saied-Bouden e la sua "politica di indipendenza nazionale"
Sin dallo scioglimento del parlamento il 25 luglio 2021 e la conseguente nomina di Najla Bouden nel settembre dello stesso anno come primo ministro e di tutti gli altri ministri come un governo eterodiretto da parte del presidente della repubblica Kais Saied, la retorica presidenziale ha ruotato in gran parte sulla questione dell'indipendenza nazionale sostanziale ovvero da un punto di vista economico, denunciando direttamente alcune condizioni del FMI come inaccettabili (privatizzazione di imprese pubbliche soprattutto), inoltre in concomitanza delle critiche pretestuose da parte dei paesi imperialisti circa il "non rispetto della democrazia", Kais Saied ha dichiarato in varie occasioni di voler intensificare i rapporti internazionali non solo con i "paesi arabi fratelli" a partire dall'Algeria sino all'Egitto, all'Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti (in una sorta di asse anti fratellanza musulmana contro il nemico interno di Ennahda e conro l'asse Turchia-Qatar) ma è stata ugualmente annunciata un'apertura agli investimenti di Russia e Cina, come minaccia indiretta alle pretese occidentali in Tunisia.
Al di là delle dichiarazioni formali il regime Saied-Bouden a quasi tre anni dalla presa del potere sembra essere in piena continuità con i regimi precedenti: Bourguiba (1956-1987), Ben Ali (1987-2011) e i governi della "transizione democratica" a guida Ennahda (2012-2021).
Infatti per quanto concerne la politica di indebitamento e di dipendenza economica che rende la Tunisia un paese semicoloniale e oppresso dall'imperialismo, l'attuale regime non solo ha continuato su questa strada ma ha aperto uteriormente ai capitali stranieri sulla proprietà delle terre agricole a discapito dei piccoli contadini e della produzione nazionale (il paese ha un'alta dipendenza alimentare estera preferendo produrre beni agroalimentari per l'esportazione come olio d'oliva e datteri e frutta di stagione). Inoltre nell'ultimo anno sono stati lanciati segnali positivi al FMI sul fronte della riduzione dei sussidi con conseguente aumento dei prezzi di beni alimentari e benzina (quest'ultima ha subito ben quattro aumenti di prezzo nel periodo considerato).
Al di là delle dichiarazioni formalmente nazionalistiche, i rapporti bilaterali con Italia, Francia e USA non solo rimangono ottimi, ma in particolare con l'Italia sembra si stia creando un'intesa perfetta sulla natura xenofoba e della tolleranza zero per quanto concerne le politiche migratorie: a pochi giorni dalla visita a Tunisi del duo ministeriale Tajani-Piantedosi lo scorso gennaio (vedi nostro precedente articolo), il regime Saied-Bouden ha dato il via ad una campagna razzista e d'odio contro gli immigrati "africani" ovvero i subsahriani che sono tutt'ora oggetto di una campagna securitaria di rastrellamento da parte della polizia e contemporaneamente oggetto di attacchi razzisti da settori della popolazione aizzata dal famoso discorso presidenziale dello scorso febbraio.
E' proprio dopo pochi giorni di tale dichiarazione che il governo Meloni ha annunciato l'invio di decine pick up e subito dopo, la Meloni in persona ha espresso telefonicamente alla Bouden sostegno politico da parte dell'Italia.
L'attuale regime tunisino in questi tre anni non ha elaborato una politica economica organica ai fini dell'indipendenza economica nazionale ed evidentemente non è in grado di farlo essendo sostenuto dalle vecchie classi sociali dominanti ovvero la borghesia burocratica e compradora locale, ed utilizzando alcune istituzioni dello Stato (per l'appunto semicoloniale e a capitalismo burocratico) quali le forze di polizia e godendo del sostegno dell'esercito.
Vasti settori popolari continuano a sostenere, seppur passivamente (con un tifo a distanza tramite social media e rilevato dai sondaggi) eccezion fatta per "l'hirak (movimento n.d.a.) 25 luglio", non strutturato e che si mobilita episodicamente solo in manifestazioni di sostegno ma che nessun ruolo ha nei meccanismi decisionali e di potere del regime.
Chogl, hurria, karama watania
Lavoro, libertà, dignità nazionale, le parole d'ordine della Rivolta Popolare del 2010/2011 risultano quanto mai attuali oggi in una Tunisia sempre più nelle mire di diversi paesi imperialisti e con un regime che si dimostra ogni giorno che passa nazionalista a parole e al servizio dell'imperialismo nei fatti.
La strategia che può dare concretezza a queste parole d'ordine è quella della Guerra Popolare Prolungata adatta alla situazione concreta del paese, avente come prima tappa una Rivoluzione di Nuova Democrazia delle classi oppresse dirette dal proletariato tunisino, con l'obiettivo di rovesciare la borghesia compradora e burocratica tunisina e la cacciata dell'imperialismo influente nel paese, con l'orizzonte del socialismo e del comunismo.
In questa fase l'imperialismo italiano ed il governo assassino e stragista di migranti Meloni risulta essere il principale nemico esterno del popolo tunisino, non solo perchè contribuisce a far restare il paese in condizione di miseria e dipendenza ma anche perché ne uccide direttamente i giovani con le proprie politiche migratorie che adesso sono anche assunte pienamente dal regime Saied/Bouden al suo servizio (è di ieri la notizia di un Consiglio dei Ministri che ha deciso l'istituzione di visti e carte di soggiorno biometriche per gli stranieri subsahariani, in modo da assicurare una tracciabilità qualora quesi arrivino in Europa); intanto nella sola giornata di ieri circa 60 persone sono morte in due distinti naufragi al largo della Tunisia.
E' quindi quantomai necessario rompere e combattere l'asse Meloni-Saied sviluppando una lotta a tutto campo contro gli interessi dell'imperialismo italiano in Tunisia e praticando una politica internazionalista tra il proletariato italiano ed il popolo tunisino contro il nemico comune: l'imperialismo italiano ed il suo intervento nel paese sia sottoforma unilaterale che in veste multilaterale comunitario europeo.
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