Ancora violenza repressiva, ancora razzismo e strumentalizzazioni.

Sabato scorso, di ritorno dal corteo organizzato a Roma dal Patto d’Azione Anticapitalista dopo lo sciopero della logistica di venerdì - sciopero e corteo funestati dall’omicidio di Adil e dal ferimento di altri compagni - alcun* di noi hanno assistito ad una scena poi diventata virale su media e social. Una scena di ordinaria violenza degna di una zona di guerra, in cui almeno una decina di poliziotti e diversi militari dell’esercito che presidiano la stazione Termini si sono scagliati su un uomo, poi identificato come cittadino ghanese, ma di cui non si conoscono le generalità, che brandiva un coltello. Nonostante l’ingente spiegamento di forze, gli agenti non sono riusciti a bloccarlo, e hanno quindi proceduto, dopo nemmeno un paio di minuti di vano e goffo inseguimento, a sparargli un colpo all’altezza dell’inguine. L’uomo si è accasciato a terra dopo qualche istante e lì è rimasto per lunghissimi, interminabili minuti, con un poliziotto ad assicurarsi che rimanesse immobile e a tamponare ogni tanto la ferita da cui usciva sangue, finchè non è finalmente sopraggiunta un’ambulanza. Si trova tutt’ora in ospedale in condizioni critiche e in stato d’arresto.

Chi tra noi si era avvicinat* è stat* ben presto raggiunto da diversi agenti che con fare aggressivo ci hanno dapprima intimato di non filmare la scena, per poi identificarci e cercare di allontanarci, come

potete vedere e sentire qui sotto. Altre persone poco distanti sono state costrette dai militari a cancellare quanto registrato sui loro telefoni. Noi non lo abbiamo fatto, e d’altra parte - dopo che le prime agenzie di stampa che riferivano dell’accaduto omettevano di parlare dello sparo - la notizia è successivamente dilagata, e diversi video sono stati pubblicati (quello più dettagliato e completo con tutta probabilità opera delle forze dell’ordine stesse).

Poliziotti e politici non hanno quindi esitato a cavalcare l’episodio, criminalizzando la vittima dello sparo - definito un clandestino pluripregiudicato per 'atti di violenza contro le persone' in cui si insinua lo spettro del terrorismo religioso, mentre i reati descritti somigliano più che altro a segni di squilibrio diretto verso luoghi e simboli di culto, non solo cristiani ma anche musulmani, e le uniche persone aggredite di cui parlano i giornali sono proprio membri di una moschea. Il partito dell'ordine invoca quindi ancora una volta la dotazione di taser (più ‘sicuri’) e difendendosi preventivamente da qualsiasi critica intona il ritornello dei poliziotti eroi incompresi e anzi mandati al massacro e stigmatizzati dai soliti ‘radical chic’ (parole di Salvini) che evidentemente difendono gli immigrati per partito preso, sempre.

Peraltro, sempre sabato Salvini e i suoi inauguravano la campagna elettorale per le comunali di Roma pronunciando parole che nel contesto della giornata suonano particolarmente provocatorie: ‘Lasciamo le polemiche su storie e morti ad altri’. Di quali morti parlasse possiamo soltanto immaginare, perchè alcune vite contano molto meno di altre, come questo episodio ancora una volta ci ha tragicamente dimostrato. Lavoratrici e lavoratori, soprattutto se immigrat*, persone tenute ai margini e stigmatizzate, detenute, vessate, aggredite, uccise perchè lottano o perchè fa comodo prendersela con loro.

Non possiamo e non vogliamo accettare tutto questo, e sempre di più è necessario che la nostra rabbia si traduca in lotta, ogni giorno e con tutti i mezzi necessari. Contro ogni repressione, razzismo e sfruttamento.