venerdì 21 maggio 2021

pc 21 maggio - Palestina - l'ondata della protesta popolare domanda una nuova direzione e una nuova linea strategica - un intervento per il dibattito

Da un compagno marxista-leninista-maoista

La Palestina ed il suo popolo in oltre 70 anni di lotta di liberazione nazionale hanno conquistato la simpatia e la solidarietà nei cinque continenti.

Nelle ultime settimane migliaia di persone in molti paesi del mondo sono scese in piazza per esprimere ancora una volta il proprio sostegno al popolo palestinese, contro l'ennesima aggressione dello stato sionista che durante il mese sacro di Ramadhan per i musulmani ha attaccato ripetutamente i fedeli in preghiera sulla spianata delle moschee mentre bande di coloni sionisti hanno attaccato il quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme anticipando la probabile decisione di sfratto di queste famiglie dalle loro case in favore degli stessi coloni.

In tutti questi decenni di occupazione coloniale questi soprusi sono all'ordine del giorno ma queste aggressioni su più fronti e dispiegate, concentrate in pochi giorni hanno fatto montare lo sdegno e la rabbia dando vita ad un'eroica resistenza prima a Sheikh Jarraj e in tutta Gerusalemme e poi in tutto il Paese.

Anche le fazioni armate palestinesi nella Striscia di Gaza (Hamas, Jihad Islamica e Fronte Popolare di

Liberazione della Palestina), dopo aver avvertito invano l'occupante di fermare le aggressioni, per rappresaglia hanno lanciato i loro razzi sulle città israeliane compresa la capitale de jure Tel Aviv.

E' bene ricordare, anche per contrastare la narrazione fuorviante dei media nazionali e occidentali, che mentre i razzi palestinesi raramente riescono a provocare vittime, i bombardamenti sionisti su Gaza in dieci giorni hanno raso al suolo decine di edifici, i numeri parlano chiaro: l'attuale bilancio è di oltre 200 morti palestinesi (di cui 70 bambini) e di 20 morti israeliani.

In tutto ciò Abu Mazen, segretatio di Fatah il principale partito palestinese e presidente dei massimi organismi politici palestinesi, oltre alle dichiarazioni di facciata non è intervenuto a difesa del proprio popolo, confermando la propria linea antinazionale e antipopolare, non a caso pochi giorni prima lo scoppio della crisi attuale, Abu Mazen aveva rinviato per l'ennesima volta la convocazione delle elezioni politiche palestinesi conscio di una probabile sconfitta elettorale ovvero di una sanzione popolare.

Ma questo quadro descritto fin qui inizia a mutare velocemente la settimana scorsa. Infatti in questi ultimi giorni sono successi alcuni fatti nuovi e se vogliamo "storici" che destano un certo interesse:

innanzitutto il fatto che dopo Gerusalemme, su tutto il territorio storico palestinese (negli attuali "territori palestinesi" di West Bank e Gaza, nei "territori palestinesi" in cui vi sono colonie israeliane e nelle città controllate pienamente da Israele) i palestinesi sono scesi in piazza organizzando blocchi stradali, manifestazioni e ingaggiando scontri con le forze israeliane. la novità è che per la prima volta, quantomeno in questa forma diffusa, partecipano anche i palestinesi titolari di cittadinanza israeliana (comunemente chiamati "arabo-israeliani", circa 1,93 milioni di persone, il 20% della popolazione israeliana), cittadini di serie B in Israele ma allo stesso tempo "palestinesi privilegiati" rispetto agli altri circa le condizioni economiche e sociali. Grazie a ciò lo stato sionista era finora riuscito a pacificare questo settore del popolo palestinese. Evidentemente una linea rossa è stata infranta ed il giocattolo si è rotto.

inoltre mentre sempre più regimi arabi reazionari normalizzano ufficialmente le proprie relazioni diplomatiche con Israele (Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco negli ultimi mesi) gettando la maschera e rinunciando al sostegno del diritto all'autodeterminazione del popolo palestinese, in questi giorni i popoli arabi hanno invece aumentato l'intensità della solidarietà con manifestazioni oceaniche in Tunisia, Iraq, Yemen e per la prima volta nella storia è avvenuta una violazione in massa della frontiera tra Cisgiordania e Giordania: centinaia di giordani sono penetrati in territorio palestinese con l'obiettivo dichiarato di raggiungere Gerusalemme e dare manforte alla resistenza in strada dei palestinesi, tentativi simili ci sono stati anche a ridosso della frontiera libanese ma attualmente senza successo. In questo contesto anche il regime reazionario egiziano di Al Sisi, alleato israeliano, sotto l'onda della protesta generalizzata ha riaperto momentaneamente la frontiera con Gaza per permettere ai feriti dei bombardamenti di potersi curare nei propri ospedali.

Infine è da segnalare l'altrettanto storico sciopero generale palestinese del 18 maggio, in cui praticamente la quasi totalità della nazione palestinese, anche qui su tutto il territorio della Palestina "dal fiume al mare", ha incrociato le braccia, anche L'Autorità Nazionale Palestinese ha aderito (e non indetto, è bene sottolinearlo) allo sciopero. Alcuni giornalisti sul campo hanno descritto la giornata come quella di un paese in lockdown generalizzato in cui tutte le attività che impiegano lavoratori palestinesi o di proprietà di quest'ultimi si sono fermate per un giorno. Uno sciopero di tale portata non si vedeva in Palestina da quasi un secolo. Le immagini delle attività palestinesi chiuse sia nei "Territori Palestinesi" che in Israele, ricordano simili proteste nell'Algeria occupata e nelle altre colonie del secolo scorso nonchè quelle dei Bharat Bandh indetti dal PCI (maoista) nel contesto della Guerra Popolare in India.

Durante la giornata ci sono stati anche scontri a fuoco tra manifestanti e polizia israeliana come a Ramallah.

Questi tre elementi di novità sono accomunati dall'irruzione delle masse sulla scena con il loro protagonismo: le classi lavoratrici e le masse popolari di tutta la Palestina "dal fiume al mare" sembra che abbiano dato vita alla terza intifada, scavalcando l'immobilismo di Fatah e "arricchendo l'arsenale della Resistenza" in senso qualitativo: la scintilla può incendiare la prateria!

D'altronde il popolo palestinese, ed in particolare le nuove generazioni scese in campo in questi giorni, desidera uscire da questa situazione stagnante ormai da tanti, troppi anni in cui da un lato Fatah, "al potere" in Cisgiordania, con gli accordi di Oslo del 1994 firmati dal suo capo dell'epoca, Arafat, ha abbandonato de facto la linea della lotta di liberazione nazionale diventando la principale forza palestinese collaborazionista. Proprio in seguito a quegli accordi vi è stato un aumento esponenziale delle colonie israeliane in Cisgiordania, la costruzione del muro della vergogna e del criminale blocco di Gaza dal 2006 ad oggi. In altre parole Fatah è corresponsabile di tutto ciò rappresentando la fronda interna della normalizzazione dei regimi arabi con Israele.

Allo stesso tempo i gruppi della Resistenza attivi a Gaza, se da un lato non si sono venduti agli Accordi di Oslo e sono in prima linea nello scontro armato per la liberazione nazionale, da un punto di vista politico hanno dimostrato ormai da anni che la loro strategia non può garantire la vittoria al popolo palestinese ma al contrario contribuisce allo stallo in corso, FPLP compreso (che in ogni caso è nato sotto la brutta stella del socialimperialismo sovietico negli anni '60). Proprio in rottura con la linea revisionista alcuni guerriglieri palestinesi si erano interessati all'esperienza della Grande Rivoluzione Culturale Cinese e allo studio delle guerre di popolo in Cina e Vietnam che dopo la liberazione nazionale erano proseguite, sotto la guida del reparto d'avanguardia del proletariato, il Partito Comunista, con rivoluzioni di Nuova Democrazia con successiva costruzione del Socialismo verso il Comunismo. Ancora oggi militanti appartenenti a questa linea esistono in Palestina ma sono divisi sul campo operando in diverse organizzazioni di massa come sindacati o organizzazioni politiche già menzionate in questo articolo.

E' quindi quanto mai urgente l'emergere di un Partito Comunista rivoluzionario marxista-leninista-maoista in Palestina che indirizzi coscientemente e strategicamente la lotta di massa in corso dispiegata in tutte le sue forme (armata, scioperi politici ecc. ) col fine di superare l'attuale impasse di cui soffre la causa palestinese. Le esperienze rivoluzionarie più avanzate oggi nel mondo, le Guerre Popolari in India e nelle Filippine ma anche le lotte armate sulla via della guerra popolare presenti nella regione in Turchia/Nord Kurdistan ma anche in Bangladesh e Perù nonchè i genuini rivoluzionari nei paesi imperialisti e in tutto il mondo in generale e nel mondo arabo in particolare (Tunisia, Marocco) sono al fianco di tale prospettiva.

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