Ma le conquiste di quel grande movimento furono ben altre e queste - molto più rapidamente dello smantellamento dello Statuto dei Lavoratori che oggi si sta facendo - furono subito attaccate appena il movimento operaio fu represso, "normalizzato", perchè erano pericolose, ponevano di fatto la necessità della fine dello sfruttamento, del modo di produzione capitalista. E questo che si doveva soffocare, sia attraverso la repressione più feroce, con la stagione delle stragi di Stato fasciste, sia con riforme - come appunto lo Statuto dei Lavoratori - che cambiasse sì ma non troppo e salvaguardando il sistema capitalista.
Oggi anche lo "Statuto dei lavoratori" è diventato un "pericolo" per i capitalisti, lo Stato, governi al loro servizio che vogliono trasformarlo al massimo in "Statuto del Lavoro" in cui operai e padroni starebbero sulla stessa barca e la difesa dei diritti dei lavoratori sia formalmente subordinata alla difesa dei diritti/profitti dei padroni.
Ma quella grande stagione del 69/70 deve dimostrare, prima di tutto agli operai, che è possibile mettere in discussione lo stato di cose esistente.
Dalla Rivista sul Convegno sul 50° dell'Autunno caldo 1969
"...L'autunno caldo del '69 rimise in discussione e modificò profondamente in pratica ogni aspetto della vita nei luoghi di lavoro, dei trattamenti salariali e normativi, della vecchia organizzazione del lavoro pesantemente gerarchizzata dal padronato, dei diritti e delle libertà sindacali, del potere di intervenire nelle grandi questioni sociali – pensioni, casa, sanità, trasporti, scuola - e finanche della vita interna al sindacato e dei rapporti tra vertice e base di questo.Ogni rivendicazione e conquista portava in sè ed era frutto di affermazione, pratica di principi fondamentali per la lotta di classe: l'unità dei lavoratori, l'uguaglianza delle condizioni di lavoro.
Aumenti salariali uguali per tutti
contro la divisione salariale messa in atto per decenni dal padronato per dividere i lavoratori e creare aristocrazie operaie più facilmente corrompibili e manovrabili. Questa rivendicazione fu un potente cemento di classe, che assieme alla rivendicazione della riduzione delle categorie, contribuì a creare quella grande compattezza nella classe operaia e tra i lavoratori che permise di raggiungere un'ininterrotta serie di conquiste anche in
altri campi. Il superamento del cottimo comportò una riflessione di massa né semplice né banale tra gli stessi lavoratori, poiché metteva in discussione equilibri consolidati e situazioni di sperequazione tra i lavoratori.
Fu per merito di questa linea se si arrivò per esempio alla conquista del punto unico di contingenza, e all'abolizione delle famigerate "gabbie salariali".
Furono proprio le grandi aziende del Nord, teoricamente meno interessate a cambiamenti, a dare il maggior impulso alla lotta, che portò alla capitolazione prima le aziende a Partecipazione statale (21 dicembre '68) e poi la recalcitrante Confindustria il 18 marzo '69, con l'impegno a graduare in 3 anni la completa abolizione delle 'gabbie".
Passaggio di categoria in massa
Anche i passaggi di categoria in massa furono una rivendicazione dal forte carattere egualitario e di classe, perché rifiutavano l'arbitrio padronale che su queste materie aveva da sempre fondato i suoi successi.
Spesso scontrandosi con i vertici sindacali che cercarono invano di frenare e riassorbire nella vecchia politica questa spinta rivendicativa del tutto senza precedenti. A partire dalla primavera '69, quando gli operai delle Officine Prova motori e Ausiliarie della Fiat chiesero il passaggio generalizzato in 2' categoria, questa rivendicazione si estese ad altre fabbriche, a cominciare dall'Alfa di Arese, per poi dilagare in tutte le fabbriche del Nord.
Inquadramento unico operai-impiegati
Fu un'altra importante conquista dell'autunno caldo, che tendeva a scardinare la rigida separazione tra operai e impiegati, coltivata dal padronato, creando un intreccio tra le categorie dei due gruppi e che fu resa possibile dalla scesa in lotta a fianco degli operai di consistenti masse di tecnici e impiegati delle categorie più basse, sotto la spinta oggettiva del clima combattivo e rivoluzionario dominante.
Nel settembre '70 si apre la vertenza nella siderurgia pubblica: all'Italsider la piattaforma chiede il passaggio da 50 posizioni retribuite a 6, e un "inquadramento unico" operai-impiegati che fu conquistato il 22 dicembre dello stesso anno. Nel '71 il nuovo sistema su 8 livelli fu al centro delle vertenze nel settore elettromeccanico. Nella tornata contrattuale '72-'73 l'inquadramento unico fu generalizzato ai metalmeccanici e a tutta l'industria.
Contrattazione collettiva e aziendale
Nel '69 scesero in lotta per i rinnovi contrattuali circa 5 milioni di lavoratori, tra cui metalmeccanici, chimici, edili. Al centro delle piattaforme vi erano sostanziosi aumenti salariali, la riduzione d'orario a 40 ore settimanali, la parità normativa operai-impiegati, l'abolizione di ogni limitazione alla contrattazione aziendale, il diritto di assemblea e di organizzazione sindacale nei posti di lavoro. Lo scontro fu durissimo.
Sono oltre 60 i rinnovi contrattuali nel '69, per un totale di 4 milioni di lavoratori dell'industria e dei servizi e per circa 1 milione e mezzo di braccianti e salariati fissi.
Diritti sindacali
Molti diritti sindacali fondamentali, prima impensabili, vengono conquistati con le lotte del '69 e degli anni immediatamente successivi, tra cui il diritto di tenere liberamente assemblee dentro e fuori l'orario di lavoro, con 10 ore retribuite all'anno, permessi sindacali retribuiti per i delegati, possibilità di avere a disposizione spazi per attività sindacale e per affiggere comunicati, ecc. Lo Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 20 maggio '70) non fece che recepire parzialmente nei codici quello che il movimento operaio aveva strappato di fatto al nemico di classe con le lotte, come la legge 604 (15/7/66) sulla "giusta causa" per i licenziamenti, e tutta una serie di diritti e libertà dentro e fuori la fabbrica prima negati.
Democrazia sindacale
L'assemblea dei lavoratori e i Consigli dei delegati di fabbrica sono le due grandi conquiste ottenute dal basso dai lavoratori che rivitalizzano la democrazia sindacale negata di fatto dal sistema della delega e dalle burocratiche Commissioni interne sostenute dai vertici sindacali. I Consigli di fabbrica fioriscono spontaneamente a partire dal '69, formati da delegati eletti su base di gruppo omogeneo di reparto, di squadra e di linea, da parte di tutti i lavoratori, iscritti e non iscritti al sindacato, su scheda bianca e libera, e revocabili in ogni momento dall'assemblea dei lavoratori.
Si tratta dunque di un organismo del tutto nuovo e rivoluzionario di democrazia diretta, mediante il quale i lavoratori decidono direttamente su tutte le questioni che li riguardano senza delegare a nessuno questa fondamentale prerogativa. Questo diritto viene esercitato in modo massiccio proprio nella vertenze contrattuali del 69 e dei primi anni 70, con una partecipazione in massa alla discussione e alla formazione delle piattaforme, mediante migliaia e migliaia di assemblee preliminari, conquistandosi il diritto di approvarle o contestarle, o anche di respingere gli accordi eventualmente raggiunti dalle direzioni sindacali col padronato nel corso delle vertenze.
Nati nel '68 come delegati per i comitati di cottimo e di linea, i delegati di reparto si affermano come struttura di base del sindacato già nel corso del 1970, pur restando ancora in vita le vecchie Commissioni interne. Nel '74, il 1º congresso unitario delle strutture di base segna la ormai generalizzata estensione dei CdF in tutto il Paese e l'esautoramento quasi totale delle Commissioni interne.
Scienza, medicina al servizio degli operai.
La forza sindacale, politica, ideologica degli operai portò tecnici, medici, studenti, a mettere le loro conoscenze al servizio delle risposte alla difesa, miglioramento della condizione operaia. Ma sul fronte della sicurezza in fabbrica, della difesa delle salute, della lotta alla nocività anche fuori dalla fabbrica, furono prima e soprattutto gli operai che fecero piani, proposero soluzioni, dimostrando che le fabbriche, anche quelle più nocive, in mano agli operai possono essere trasformate. Si affermò il rifiuto della monetizzazione della nocività.
Sull’esempio della Cina si affermo: UNIRE IL ROSSO E L’ESPERTO. Mettersi al servizio della classe operaia, e in questo mettersi al servizio della sua causa, delle sue lotte, cambiare la cultura, le conoscenze così come erano state fino ad allora. Alla Ducati di Bologna, per esempio, gruppi di studenti di Medicina realizzarono un rapporto con i lavoratori in lotta sui problemi della salute e sicurezza di chi lavora".
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