La copertura da parte dei
tribunali delle torture nelle carceri ad opera degli agenti penitenziari continua
ad imperversare. Ultima in ordine di tempo è quella che riguarda 46 agenti – di
cui 11 erano stati arrestati, ma comunque finiti ai domiciliari! - del carcere
di Trapani che per due anni avevano usato violenze fino alla tortura nei
confronti dei carcerati.
Le indagini sono partite nel 2021
dalle denunce di alcuni detenuti picchiati e trasferiti (la Repubblica Palermo),
ma nonostante le documentatissime prove contro gli infami torturatori, il
tribunale del riesame di Palermo ha pensato bene di derubricare le accuse e
renderle più leggere: siamo passati dalle violenze e torture ad abuso di potere
e maltrattamenti, perché “i giudici hanno ritenuto che [le violenze] non siano
avvenute con sistematicità tale da configurare il reato di tortura! Non bastano
quindi le violenze assurde – spesso nei confronti di detenuti con problemi
psichici - ma vogliono pure la “sistematicità”!
Questi giudici, sancendo di fatto
l’impunità per i torturatori della penitenziaria (che tra l’altro si
autocelebrano con un calendario che li vede armati fino ai denti e in tenuta
antisommossa!), probabilmente sono stati particolarmente sensibili verso le
parole del sottosegretario (fascista) Delmastro che parlando di nuovi suv in
dotazione alla penitenziaria, aveva detto di provare “un’intima gioia” al
pensiero che “noi non lasciamo respirare chi sta dietro quel vetro oscurato”.
Qui di seguito vengono riportati
passi delle intercettazioni che hanno portato all’arresto.
“«Al detenuto gli si devono dare legnate. Anche a Ivrea così facevamo noi, appena toccavano un
collega… a sminchiarli proprio». E ancora: «Facciamoli coricare… Poi quando sono sul letto prendiamoli a secchiate (…) Acqua? È pisciazza mischiata con l’acqua. Mi raccomando prendilo». Queste le parole che raccontano di violenze inaudite all’interno della casa circondariale Pietro Cerulli di Trapani. «Ammazziamolo di botte a sto bastardo». «Gli ho lasciato la forma dell’anfibio in testa». E infine: «Non c’è bisogno di scudi e manganelli, troppo bordello. Invece, se lui ci esce le mani, ci mettiamo un bel paio di manette, lenzuolo di sopra per non lasciargli segni compà e lo fracchi: tanto questo è nero e non si vede niente».“Le violenze avvenivano nel
reparto Blu, adibito all’isolamento dei detenuti. Violenze che pure il
tribunale del riesame ha riconosciuto, ma i giudici hanno ritenuto che non
siano avvenute con sistematicità tale da configurare il reato di tortura. «Era
un reparto da chiudere», denunciavano da mesi i volontari dell’associazione
“Nessuno tocchi Caino”. Ma il loro allarme era rimasto inascoltato. Eppure tutto
era chiaro a tutti. Come ha scritto il gip Giancarlo Caruso nelle 158 pagine di
ordinanza di custodia cautelare, «si trattava di un’ala del carcere senza
telecamere» e questo «ha rappresentato uno stimolo per l’esercizio arbitrario
della forza». Il giudice delle indagini preliminari era però di diverso avviso,
lui scriveva di un uso sistematico di «atti di tortura», in una struttura dove
«i detenuti più fragili e vulnerabili» erano trattati come «vite di scarto, ai
quali è giusto negare ogni forma di umanità ed empatia». L’inchiesta era nata
dalla denuncia di un detenuto. Da qui la decisione della procura di Trapani di
chiedere e ottenere l’installazione di telecamere e microfoni in una sezione
dove gli agenti erano convinti che non ci fossero. Sono stati così registrati
pestaggi, atti di umiliazione. «Violenze anche quando il detenuto era
immobilizzato e impossibilitato a reagire». «Lancio di liquidi in piena notte,
di acqua e urina», ha scritto il gip. Per esempio: un detenuto aveva avuto uno
scontro prima con altri detenuti, e poi con un agente. «Ora stanotte lo andiamo
a sminchiare. Capito perché? Le secchiate d’acqua. Che poi fa caldo, gli facciamo
piacere». I pestaggi erano organizzati. «Creiamo una squadretta di sei persone,
appena succede qualcosa, saliamo nel reparto», diceva un agente. Un’idea che
veniva raccolta dai colleghi. Si legge negli atti che venne organizzata «la
formazione di una squadretta punitiva di poliziotti penitenziari, favorevoli
all’utilizzo di metodi risoluti e violenti per la repressione di forme di dissenso
da parte dei detenuti». Per il tribunale del riesame fu violenza, non tortura.
I microfoni hanno comunque registrato tutto l’orrore del carcere: «Mettilo al
muro». E ancora: «Ammazzalo di bastonate, sto pezzo di merda, ci voleva alzare
le mani alla guardia». Urlavano ai detenuti: «Tu sei un cane, tu sei un cane
capito». (la Repubblica Palermo 10 dicembre 2024)
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