venerdì 13 dicembre 2024

pc 13 dicembre - Torture in carcere: gli infami poliziotti del carcere di Trapani di nuovo in libertà

 

La copertura da parte dei tribunali delle torture nelle carceri ad opera degli agenti penitenziari continua ad imperversare. Ultima in ordine di tempo è quella che riguarda 46 agenti – di cui 11 erano stati arrestati, ma comunque finiti ai domiciliari! - del carcere di Trapani che per due anni avevano usato violenze fino alla tortura nei confronti dei carcerati.

Le indagini sono partite nel 2021 dalle denunce di alcuni detenuti picchiati e trasferiti (la Repubblica Palermo), ma nonostante le documentatissime prove contro gli infami torturatori, il tribunale del riesame di Palermo ha pensato bene di derubricare le accuse e renderle più leggere: siamo passati dalle violenze e torture ad abuso di potere e maltrattamenti, perché “i giudici hanno ritenuto che [le violenze] non siano avvenute con sistematicità tale da configurare il reato di tortura! Non bastano quindi le violenze assurde – spesso nei confronti di detenuti con problemi psichici - ma vogliono pure la “sistematicità”!

Questi giudici, sancendo di fatto l’impunità per i torturatori della penitenziaria (che tra l’altro si autocelebrano con un calendario che li vede armati fino ai denti e in tenuta antisommossa!), probabilmente sono stati particolarmente sensibili verso le parole del sottosegretario (fascista) Delmastro che parlando di nuovi suv in dotazione alla penitenziaria, aveva detto di provare “un’intima gioia” al pensiero che “noi non lasciamo respirare chi sta dietro quel vetro oscurato”.

Qui di seguito vengono riportati passi delle intercettazioni che hanno portato all’arresto.

“«Al detenuto gli si devono dare legnate. Anche a Ivrea così facevamo noi, appena toccavano un

collega… a sminchiarli proprio».

E ancora: «Facciamoli coricare… Poi quando sono sul letto prendiamoli a secchiate (…) Acqua? È pisciazza mischiata con l’acqua. Mi raccomando prendilo». Queste le parole che raccontano di violenze inaudite all’interno della casa circondariale Pietro Cerulli di Trapani. «Ammazziamolo di botte a sto bastardo». «Gli ho lasciato la forma dell’anfibio in testa». E infine: «Non c’è bisogno di scudi e manganelli, troppo bordello. Invece, se lui ci esce le mani, ci mettiamo un bel paio di manette, lenzuolo di sopra per non lasciargli segni compà e lo fracchi: tanto questo è nero e non si vede niente».

“Le violenze avvenivano nel reparto Blu, adibito all’isolamento dei detenuti. Violenze che pure il tribunale del riesame ha riconosciuto, ma i giudici hanno ritenuto che non siano avvenute con sistematicità tale da configurare il reato di tortura. «Era un reparto da chiudere», denunciavano da mesi i volontari dell’associazione “Nessuno tocchi Caino”. Ma il loro allarme era rimasto inascoltato. Eppure tutto era chiaro a tutti. Come ha scritto il gip Giancarlo Caruso nelle 158 pagine di ordinanza di custodia cautelare, «si trattava di un’ala del carcere senza telecamere» e questo «ha rappresentato uno stimolo per l’esercizio arbitrario della forza». Il giudice delle indagini preliminari era però di diverso avviso, lui scriveva di un uso sistematico di «atti di tortura», in una struttura dove «i detenuti più fragili e vulnerabili» erano trattati come «vite di scarto, ai quali è giusto negare ogni forma di umanità ed empatia». L’inchiesta era nata dalla denuncia di un detenuto. Da qui la decisione della procura di Trapani di chiedere e ottenere l’installazione di telecamere e microfoni in una sezione dove gli agenti erano convinti che non ci fossero. Sono stati così registrati pestaggi, atti di umiliazione. «Violenze anche quando il detenuto era immobilizzato e impossibilitato a reagire». «Lancio di liquidi in piena notte, di acqua e urina», ha scritto il gip. Per esempio: un detenuto aveva avuto uno scontro prima con altri detenuti, e poi con un agente. «Ora stanotte lo andiamo a sminchiare. Capito perché? Le secchiate d’acqua. Che poi fa caldo, gli facciamo piacere». I pestaggi erano organizzati. «Creiamo una squadretta di sei persone, appena succede qualcosa, saliamo nel reparto», diceva un agente. Un’idea che veniva raccolta dai colleghi. Si legge negli atti che venne organizzata «la formazione di una squadretta punitiva di poliziotti penitenziari, favorevoli all’utilizzo di metodi risoluti e violenti per la repressione di forme di dissenso da parte dei detenuti». Per il tribunale del riesame fu violenza, non tortura. I microfoni hanno comunque registrato tutto l’orrore del carcere: «Mettilo al muro». E ancora: «Ammazzalo di bastonate, sto pezzo di merda, ci voleva alzare le mani alla guardia». Urlavano ai detenuti: «Tu sei un cane, tu sei un cane capito». (la Repubblica Palermo 10 dicembre 2024)

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