A fine 2019, le forze armate di ventidue Stati membri dell’Unione Europea inclusa la Gran Bretagna, possedevano circa 5170 carri armati ma con 14 modelli differenti, rivelando così una pesante frammentazione sia sul piano militare che industriale. Il 47% dei modelli in servizio è rappresentato dal Leopard2 di produzione tedesca, il 16%, per paradosso, sono di produzione russa (nei paesi dell’Europa dell’est) e il 9% statunitense.
Secondo un recente studio dell’Istituto Affari Internazionali, entro il 2025 più di metà dei carri armati in servizio andranno sostituiti perché obsoleti. Si viene così a generare una grande domanda per una nuova generazione di mezzi militari tecnologicamente all’avanguardia.
Il sito Affari Internazionali rivela che per cercare di cogliere questa “domanda” di
ammodernamento delle forze armate europee Francia e Germania hanno progettato la produzione congiunta di un carro armato di nuova generazione, per soddisfare le esigenze operative di entrambi, nonché per essere esportato in altri paesi europei, il nome in codice è : Ma in Ground Combat System (Mgcs).
ammodernamento delle forze armate europee Francia e Germania hanno progettato la produzione congiunta di un carro armato di nuova generazione, per soddisfare le esigenze operative di entrambi, nonché per essere esportato in altri paesi europei, il nome in codice è : Ma in Ground Combat System (Mgcs).
Il Mgcs costituirebbe il principale nuovo progetto della società Knds, costituita appositamente nel 2015 con una partnership al 50% tra la francese Nexter e la tedesca Krauss-Maffei Wegman. L’obiettivo è la produzione di oltre 550 mezzi.
Nel 2019 nel programma Mgcs è entrata in campo anche un’altra azienda tedesca, la Rheinmetall (conosciuta qui in Italia per le bombe prodotte in Sardegna e spedite in Arabia Saudita, ndr), creando qualche preoccupazione sui ritorni industriali e la ripartizione degli investimenti in Germania e Francia.
Essendo che il mercato degli armamenti è sempre una gallina dalle uova d’ora, la soluzione è stata quella di suddividere il lavoro in nove “pacchetti” distribuiti tra le tre aziende, in modo tale da garantire comunque una suddivisione fifty-fifty tra il complesso militare industriale di Francia e Germania.
Il 28 aprile scorso i ministri della Difesa di Francia e Germania, Florence Parly e Annegret Kramp-Karrenbauer, hanno firmato un accordo quadro sull’organizzazione del progetto e la ripartizione delle competenze industriali. Il 20 maggio, c’è stata la firma del contratto tra l’ufficio tedesco BaainBw, in quanto interfaccia governativa congiunta di Francia e Germania, e il consorzio Arge in rappresentanza delle industrie coinvolte.
Il contratto prevede l’avvio della fase di studio dell’architettura del Mgcs e dovrà essere concluso in 20 mesi (gennaio 2022). Al momento sembra rimanere preclusa la possibilità della partecipazione per altri Paesi europei al progetto. Ma la domanda di carri armati si è già fatta sentire. La Polonia ad esempio intende urgentemente acquistare circa 500 carri.
L’Italia si trova a fare i conti con la sostituzione del carro armato Ariete (prodotto da Oto Melara e Fiat/Iveco, ndr) entrato in servizio negli anni ’90 e da dismettere intorno al 2030. L’ipotesi riguarda circa 250 nuovi mezzi. In questo caso in molti si pongono l’interrogativo se la produzione di un nuovo carro armato debba far conto sulle industrie “nazionali” o passare all’integrazione compiuta nel complesso militare-industriale europeo.
La contraddizione di Leonardo (ex Finmeccanica) ancora proiettata negli USA ed estranea a progetti aerospaziali europei come Airbus, è ancora appesa e pesante. Se nella UE, tra il trattato franco-tedesco di Aquisgrana e le indicazioni del Piano Altmaier, si procede verso la costruzione di campioni industriali integrati, difficilmente il gioiello di famiglia italiano potrà continuare ad operare in maniera dissonante dal resto dell’industria militare europea.
In altri settori a tecnologia avanzata, come ad esempio il drone europeo nEUROn, l’italiana Aermacchi è presente con il 22% nel progetto.
Infine l’adesione dell’Italia nel 2018 all’Iniziativa Europea d’Intervento ha costruito il quadro per una maggiore spinta all’integrazione italiana nel complesso militare-industriale europeo. Ma a questo punto si tratta di scegliere il campo politico e tecnologico nel quale collocarsi. Barcamenarsi tra quello storico statunitense e quello crescente europeo forse non sarà più possibile. Del resto anche il capitolo di incremento delle spese militari nell’Unione Europea sta indicando una virata verso l’alto.
In tempi di crisi in molti settori industriali, il mercato degli armamenti sembra andare decisamente in controtendenza e macina profitti. Qui si pone una domanda pesante come un macigno: ma il mercato di sbocco di una così intensa produzione di armamenti qual’è? Inutile dire che la risposta sia inquietante sotto tutti gli aspetti.
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