BREVI
RIFLESSIONI SULL’ACCORDO INTERCONFEDERALE “PATTO PER LA FABBRICA” - Dario Fontana - Università di Modena e Reggio Emilia
In data 12 dicembre 2018 è stato stipulato un
accordo interconfederale fra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria,
denominato “Patto per la fabbrica”, riguardante l’ambito della
salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Le premesse politiche contenute nell’accordo
sembrano mancare di una riflessione sulla direzione complessiva di
sviluppo della salute e la sicurezza in relazione alle moderne
traiettorie dell’organizzazione del lavoro. Di conseguenza manca
una riflessione sostanziale sui reali poteri che la RLS debba agire e
quindi sulle competenze da implementare.
È ormai cosa nota affermare che i rischi sul
lavoro sono sempre più connaturati ai processi decisionali che
sottendo l’organizzazione del lavoro e sempre meno in rapporto alla
sola merce prodotta. Parallelamente a questo si lega l’abbandono
della centralità di una contrattazione della prestazione lavorativa
da parte del sindacato.
Gli effetti sono purtroppo preoccupanti, si
citano ad esempio le rilevazioni europee sulle forze lavoro (EWCS
Integrated Data File, 1991-2015, ed. feb. 2017), un’attenta analisi
dei dataset mostra come dal 1991 al 2015 sia aumentata
l’intensificazione del lavoro: si passa da un 35% ad un 50% di
forza
lavoro che dichiara di lavorare a ritmi veloci per almeno la metà del tempo, andamento simile anche per chi dichiara di lavorare a tempi stretti. Una tendenza confermata anche dall’ultimo rapporto Censis-Eudaimon (gennaio 2019) che registra un 50,6% dei lavoratori che negli ultimi anni "lavora di più, con orari più lunghi e con maggiore intensità". È eloquente la sintesi che ne fa il Censis per la presentazione del rapporto, ribaltando un vecchio slogan operaio che può essere purtroppo parafrasato in: "lavorare pochi, lavorare troppo" (La Repubblica 30/1/2019).
lavoro che dichiara di lavorare a ritmi veloci per almeno la metà del tempo, andamento simile anche per chi dichiara di lavorare a tempi stretti. Una tendenza confermata anche dall’ultimo rapporto Censis-Eudaimon (gennaio 2019) che registra un 50,6% dei lavoratori che negli ultimi anni "lavora di più, con orari più lunghi e con maggiore intensità". È eloquente la sintesi che ne fa il Censis per la presentazione del rapporto, ribaltando un vecchio slogan operaio che può essere purtroppo parafrasato in: "lavorare pochi, lavorare troppo" (La Repubblica 30/1/2019).
Quello che si è visto nell’ultimo decennio è
il mutare (e l’aumentare) delle patologie correlate al lavoro: ad
oggi i disturbi muscolo-scheletrici e lo stress sono le principali
patologie dell’attuale modo di produzione (in Italia circa il 60%
di tutte le malattie professionali). L’ultimo rapporto Inail per
l’anno 2018 fornisce numeri da record: più di tre morti al giorno
per infortunio; un aumento complessivo degli infortuni dello 0,9%
rispetto all’anno precedente (totale di 641.261); un aumento
costante dal 2008 delle patologie professionali, +2,5 rispetto al
2017 per un totale di 59.585. Di conseguenza negli ultimi anni i
metodi di valutazione del rischio hanno inglobato dimensioni di
analisi che entrano nel merito non solo dell’ergonomia posturale,
ma anche dei carichi, dei ritmi, del controllo e dell’autonomia del
lavoratore, riuscendo a dare una maggiore valenza empirica alle
dimensioni produttive in quanto esse sono le maggiori cause delle
attuali patologie professionali. È chiaro come tali tecniche di
valutazione si integrano, più del passato, direttamente con la
gestione dei meccanismi di valorizzazione del capitale e quindi con
gli interessi diretti delle imprese.
I
moderni sistemi di gestione e valutazione del rischio sono ormai
diventati così articolati da richiedere conoscenza elevate e
distribuite fra diversi attori. Ad oggi le aziende richiamano a sé
diverse figure di responsabilità per la valutazione del rischio,
eppure il sindacato e i lavoratori possono introdurre una sola figura
di rappresentanza (intesa come ruolo: la RLS), che non può neanche
delegare a figure tecniche più competenti l’analisi di
contro-valutazione dell’operato aziendale...
...A fronte di queste brevi considerazioni
generali, si comprendono ancora meno le scelte che i sindacati hanno
intrapreso nel firmare tale accordo.
Alcuni punti critici seguono l’ordine della
prima sezione dell’accordo:
- Sul punto 1 (pag. 3) – che discute
dell’attuale modello di assicurazione Inail – non si può fare a
meno di sottolineare la mancanza di un accenno alle diseguaglianze
sistemiche che i lavoratori incontrano nella fase di denuncia e di
riconoscimento delle malattie professionali... a parità di malattia
professionale e di settore lavorativo, si incorra in importanti
differenze di probabilità di denuncia e riconoscimento a seconda del
territorio dove essa avviene.
- Sul comma 2 del punto 3 (pag. 14) – che
discute la necessità di alleggerire gli obblighi formali – la
genericità dell’affermazione rischia di mascherare dei
peggioramenti sostanziali della normativa. Trincerandosi dietro la
classica retorica dello snellimento delle procedure burocratiche, non
è chiaro cosa esso possa comportare.
- Sul comma 5 del punto 3 (pag. 15) – che
discute la rilevanza penale delle malattie professionali – risulta
pericoloso asserire in modo generico quello che è già un dato di
fatto della legge, cioè affermare l’esistenza di una
responsabilità penale per le cause lavorative inerenti il sorgere
della patologia lavoro-correlata. Che senso ha attestare una
questione già in essere? Qual è lo scopo? Tale “particolare
attenzione” (citazione) posta sull’argomento lascia quantomeno
perplessi, sperando che non si tratti dell’ennesimo intento di
de-penalizzazione di un argomento che nei fatti risulta già troppo
scevro dal perseguire responsabilità reali in modo eticamente
compiuto. Si pensi alle “magre” conclusioni dei processi Ethernit
o della Pirelli (solo per citare gli ultimi gli ultimi processi
sull’amianto), ma anche al divenire delle responsabilità per le
patologie inerenti lo stress lavoro-correlato.
Sul punto 4 (pag. 16) – che discute la
necessità di un organo centrale di vigilanza – i nodi critici sono
molti. Certo la difformità interpretativa dell’applicazione
legislativa in tema sanzionatorio e di vigilanza è un dato di fatto,
ma esso non va superato con l’accentramento delle funzioni, ma con
una maggiore uniformità interpretativa che attiene l’attività
legislativa.
Se esiste un problema di complessità
organizzativa non gestibile, allora è più razionale e corretto che
tali complessità si riducano, entrando ad esempio nel merito delle
scelte produttive o nella proliferazione delle tipologie contrattuali
e delle relative interferenze. Se esiste un problema di
interpretazione allora sarebbe meglio che si facciano funzionare i
già esistenti organismi istituzionali previsti dal Testo Unico 81/08
e preposti all'emanazione di linee di indirizzo per l'applicazione
omogenea delle norme.
A fronte di tali altri percorsi da
intraprendere e di cui nulla è accennato nell’accordo, puntare il
dito solo verso la complessità della vigilanza risulta un’azione
ipocrita e deleteria... Che il sindacato proponga un organismo di
vigilanza unico significa nei fatti ritornare a prima della legge
istitutiva del servizio sanitario nazionale, proprio una delle
maggiori conquiste del movimento operaio e del sindacato stesso.
- Sul punto 5 (pag. 17) – in merito alle
politiche sugli infortuni gravi e mortali – è utile sottolineare
l’insufficienza della riflessione e dei richiami in merito ad un
tema di grande importanza. Sono del tutto condivisibili le
considerazioni dell’accordo che indicano un’insufficienza
dell’azione pubblica di prevenzione rispetto al fenomeno della
“ripetitività” degli eventi infortunistici. Tuttavia non si può
ridurre il problema degli infortuni a tale questione, soprattutto se
nel documento si fa riferimento, in modo acritico, ai dati statistici
dell’Inail che indicano un calo degli infortuni. Innanzi tutto il
dato di riferimento è quello del 2017, ma come sopra riportato il
dato del 2018 segna un ritorno all’aumento del fenomeno. Inoltre
non si può far riferimento ad un dato di diminuzione degli infortuni
senza le pur minime precauzioni scientifiche e facendo primariamente
riferimento agli infortuni mortali. È altrettanto importante tener
presente il tema della sottostima del fenomeno infortunistico... i
sistemi di protezione sono più efficaci del passato, oppure la
“mancata denuncia” si sta diffondendo a tutti i rapporti di
lavoro (soprattutto in anni di crisi economica)? Bisogna riflettere
su quello che avviene fra i sempre più numerosi lavori precari e fra
gli immigrati (vedi statistiche Istat) – per non citare la facilità
al licenziamento dopo la cancellazione dell’art. 18 – perché la
fascia di lavoratori a “rischio ricatto occupazionale” è sempre
più alta. Sono ormai molti gli studi scientifici che segnalano come
proprio fra i lavoratori precari si innestino fenomeni di sottostima,
non solo degli infortuni, ma anche delle malattie professionali e più
in generale di mancanza di cura della propria salute.
- Infine è utile dedicare una segnalazione su
alcune questioni totalmente mancanti nell’accordo... la questione
che riguarda il numero sempre più crescente dei lavoratori non
idonei alla prestazione lavorativa. Non solo con l’avanzare
dell’età al lavoro, ma anche con l’aumentare
dell’intensificazione del lavoro, emerge sempre di più il problema
della ricollocazione dei lavoratori non più idonei o con
prescrizioni permanenti. La legge prevede una ricollocazione interna
in postazioni di lavoro idonee e solo come ultima ratio il
licenziamento. Non molto in là nel tempo si rischia di saturare le
postazioni disponibili e di rendere inevitabile il licenziamento
senza nessun paracadute...
Non per ultimo bisogna anche ricordare come la
pratica dell’affidamento in appalto (o ai lavori temporanei e
precari) sia usata da alcune imprese come strumento per disimpegnarsi
dagli oneri delle attività più gravose. Questa pratica non solo
comporta il restringimento immediato delle postazioni lavorative meno
disagiate per quelle attività esternalizzate, ma scarica gli oneri
su aziende o cooperative che il più delle volte rifuggono dal
proprio dovere (per scelta o per necessità poco cambia).
Adesso si passa in rassegna la seconda sezione
del testo riguardante la parte normativa dell’accordo.
- La prima osservazione è da rivolgere alla
parte che norma l’elezione della RLS (pag. 38 e seguenti). Nel
testo dell’accordo si dichiara immediatamente che la regolazione
elettiva fa riferimento al Testo Unico sulla Rappresentanza del 10
Gennaio 2014, il quale attribuisce ai soli firmatari dei contratti le
prerogative della rappresentanza dei lavoratori. Questo purtroppo
trascina anche la RLS, quindi in generale il tema salute e sicurezza,
nell’alveo diffuso di critiche (con le relative problematicità
materiali) inerenti la questione dell’azione democratica nei luoghi
di lavoro...
È bene premettere che a mio parere è corretto
far assumere finalmente alla RLS un ruolo decisionale più forte e
partecipe negli elementi di contrattazione (in particolare quella
della prestazione lavorativa). La partecipazione della RLS
all’interno della RSU è comunque – a mio parere – da intendere
come azione di un ruolo autonomo da quello agito dalle RSU, elemento
che sparisce quando si lega a doppio filo il destino della RLS a
quella della RSU come sancito dall’accordo. Innanzitutto si deve
intendere il ruolo della RLS come rappresentanza di tutti i
lavoratori (come fra l’altro sancita nella logica dello Statuto dei
Lavoratori e poi del Testo Unico 81/08) e quindi deve essere data la
possibilità di essere eletta anche fuori le sigle sindacali
maggiormente rappresentative. Ciò non è solo un elemento di
democrazia, ma pone diverse questioni: facilita la possibilità di
non censurare figure di competenza in lavoratori che magari non sono
iscritti a un determinato sindacato per legittime scelte politiche;
tutela la RLS dalle infinite vicissitudini che investono gli impegni
che di solito caratterizzano il ruolo di un RSU...
- La seconda critica è da indirizzare al punto
6.1 (pag. 37) in tema di accesso ai luoghi di lavoro. La problematica
riguarda il sancire la necessità di un preavviso di 24h per
l’accesso nei luoghi di lavoro per la RLS e la RLST. Quali effetti
materiali potrebbe comportare tale scelta? Non è peregrino
ipotizzare che in caso di infortunio, o di segnalazione di una
postazione disagevole da parte del lavoratore, la RLS non possa
intervenire tempestivamente. Quale motivazione sottende l’attesa di
24h se non quella di poter far agire l’azienda nel silenzio?...
esiste infatti la possibilità di un vero e proprio mascheramento che
l’azienda può agire in occasione a lei sconvenienti. È quindi
superfluo affermare che tale scelta va in contraddizione con la
ratio-legis del Testo Unico 81/08 riguardo il rendere sostanziale le
prerogative della RLS nei luoghi di lavoro. Inoltre tale regolazione
espone sempre di più la RLS ai ricatti aziendali, limitando non solo
la libertà di rappresentanza, ma anche la tutela del singolo
lavoratore che agisce in quel ruolo. Per la RLST il suo raggio
d’azione risulta ulteriormente vincolato dall’informare anche
l’Organismo Paritetico competente, con la conseguenza di diluire
l’azione in tempi più lunghi.
- Uno dei punti più sfavorevoli di tutto
l’accordo sembra essere quello del punto 6.3 (pag. 45) in tema di
accesso ad informazioni e documentazione aziendale. Su questo punto
emerge una figura chiaramente depotenziata del ruolo della RLS. Nella
sua formulazione il Testo Unico 81/08 sancisce per la RLS il diritto
di accesso alla documentazione inerente la valutazione dei rischi
(DVR) e più in generale alla totalità delle informazioni
riguardante la salute e la sicurezza, come ad esempio la relazione
sanitaria del medico competente (solo per citare uno degli altri
documenti nevralgici). L’ottemperanza di tali facoltà muove da
lontano e precisamente dall’art. 9 dello Statuto dei Lavoratori che
recita: “I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto
di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli
infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca,
l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la
loro salute e la loro integrità fisica”.
È chiaro che a tale formalità deve seguire un
processo tale da rendere sostanziale e materialmente semplice
l’accesso a tale fonti. Purtroppo nel tempo sono seguiti dei
vincoli che, non ledendo la formalità della legge, ne hanno pian
piano disinnescato la fattibilità reale. La storia della modalità
di accesso a tali documenti è stata segnata da diverse vicende
giudiziarie e legislative che vivevano nelle pieghe dei cavilli della
legge (su cui si è posto il lungo contenzioso fra aziende e
sindacati). Dapprima con la precedente legge 626/96 si arrivò a
sancire la consegna dei documenti (anche se a sua volta rimanevano
vaghe le modalità di consegna) alla RLS, tale disposizione è stata
traslata anche nella prima versione del Testo Unico 81/08. Tuttavia
il legislatore intervenne con il D.Lgs. n. 106/2009 sancendo che alla
RLS debba essere negata la consegna e debba invece essere
salvaguardata solo la consultazione del DVR in azienda. A fronte di
una definitiva chiarezza delle modalità di accesso al DVR,
rimanevano comunque non chiare le modalità di accesso alle altre
informazioni riguardanti la complessità della gestione della salute
e sicurezza nei luoghi di lavoro, con le relative conseguenze in
termini di difficoltà. Infelicemente l’accordo “patto per la
fabbrica” sancisce la modalità di consultazione aziendale (e non
di consegna) per tutta la documentazione, ponendo di fatto una pietra
tombale all’azione concreta della RLS.
La differenza fra consultazione e consegna non
è solo una questione lessicale, ma attiene alla sostanzialità
dell’azione della RLS: la “consegna” permette alla RLS di poter
consultarsi con altri tecnici competenti in modo da poter
avvantaggiarsi di conoscenze esterne utili alla sua analisi; invece
la sola “consultazione” comporta una difficoltà enorme che tale
azione diventa ovviamente avvilente e scoraggiante.
Le imprese hanno sempre addotto motivazioni
inerenti la salvaguardia del segreto industriale che è nascosto fra
le pieghe del DVR, ma tale tutela non può scavalcare quella della
difesa della salute... Emerge chiaramente che la questione centrale è
quella di limitare l’influenza dei lavoratori su decisioni
dirimenti che, in quanto parametri di rischio, si sovrappongono ormai
all’organizzazione del lavoro e quindi alla valorizzazione del
capitale (carichi, tempi, ritmi, autonomia, controllo, ecc..)...
...È bene ricordare che occuparsi di salute e
sicurezza sul lavoro non è mai stata una questione meramente etica.
Ormai lo Statuto dei Lavoratori è sotto attacco da anni, anzi si può
dire che è stato quasi completamente smantellato, però è
malinconico vedere come uno degli ultimi fendenti sembri arrivare
proprio dal sindacato.
BOLOGNA 8/2/2019
Nessun commento:
Posta un commento