domenica 24 febbraio 2019

pc 24 febbraio - "PATTO PER LA FABBRICA" - PADRONI E SINDACATI CONFEDERALI PEGGIORANO LA CONDIZIONE DELLA SICUREZZA E DELLA SALUTE SUI LUOGHI DI LAVORO - MENTRE CONTINUANO AD AUMENTARE GLI INFORTUNI - Una utile analisi critica


BREVI RIFLESSIONI SULL’ACCORDO INTERCONFEDERALE “PATTO PER LA FABBRICA” - Dario Fontana - Università di Modena e Reggio Emilia

In data 12 dicembre 2018 è stato stipulato un accordo interconfederale fra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, denominato “Patto per la fabbrica”, riguardante l’ambito della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Le premesse politiche contenute nell’accordo sembrano mancare di una riflessione sulla direzione complessiva di sviluppo della salute e la sicurezza in relazione alle moderne traiettorie dell’organizzazione del lavoro. Di conseguenza manca una riflessione sostanziale sui reali poteri che la RLS debba agire e quindi sulle competenze da implementare.
È ormai cosa nota affermare che i rischi sul lavoro sono sempre più connaturati ai processi decisionali che sottendo l’organizzazione del lavoro e sempre meno in rapporto alla sola merce prodotta. Parallelamente a questo si lega l’abbandono della centralità di una contrattazione della prestazione lavorativa da parte del sindacato.
Gli effetti sono purtroppo preoccupanti, si citano ad esempio le rilevazioni europee sulle forze lavoro (EWCS Integrated Data File, 1991-2015, ed. feb. 2017), un’attenta analisi dei dataset mostra come dal 1991 al 2015 sia aumentata l’intensificazione del lavoro: si passa da un 35% ad un 50% di forza
lavoro che dichiara di lavorare a ritmi veloci per almeno la metà del tempo, andamento simile anche per chi dichiara di lavorare a tempi stretti. Una tendenza confermata anche dall’ultimo rapporto Censis-Eudaimon (gennaio 2019) che registra un 50,6% dei lavoratori che negli ultimi anni "lavora di più, con orari più lunghi e con maggiore intensità". È eloquente la sintesi che ne fa il Censis per la presentazione del rapporto, ribaltando un vecchio slogan operaio che può essere purtroppo parafrasato in: "lavorare pochi, lavorare troppo" (La Repubblica 30/1/2019).

Quello che si è visto nell’ultimo decennio è il mutare (e l’aumentare) delle patologie correlate al lavoro: ad oggi i disturbi muscolo-scheletrici e lo stress sono le principali patologie dell’attuale modo di produzione (in Italia circa il 60% di tutte le malattie professionali). L’ultimo rapporto Inail per l’anno 2018 fornisce numeri da record: più di tre morti al giorno per infortunio; un aumento complessivo degli infortuni dello 0,9% rispetto all’anno precedente (totale di 641.261); un aumento costante dal 2008 delle patologie professionali, +2,5 rispetto al 2017 per un totale di 59.585. Di conseguenza negli ultimi anni i metodi di valutazione del rischio hanno inglobato dimensioni di analisi che entrano nel merito non solo dell’ergonomia posturale, ma anche dei carichi, dei ritmi, del controllo e dell’autonomia del lavoratore, riuscendo a dare una maggiore valenza empirica alle dimensioni produttive in quanto esse sono le maggiori cause delle attuali patologie professionali. È chiaro come tali tecniche di valutazione si integrano, più del passato, direttamente con la gestione dei meccanismi di valorizzazione del capitale e quindi con gli interessi diretti delle imprese.
I moderni sistemi di gestione e valutazione del rischio sono ormai diventati così articolati da richiedere conoscenza elevate e distribuite fra diversi attori. Ad oggi le aziende richiamano a sé diverse figure di responsabilità per la valutazione del rischio, eppure il sindacato e i lavoratori possono introdurre una sola figura di rappresentanza (intesa come ruolo: la RLS), che non può neanche delegare a figure tecniche più competenti l’analisi di contro-valutazione dell’operato aziendale...
...A fronte di queste brevi considerazioni generali, si comprendono ancora meno le scelte che i sindacati hanno intrapreso nel firmare tale accordo.
Alcuni punti critici seguono l’ordine della prima sezione dell’accordo:
- Sul punto 1 (pag. 3) – che discute dell’attuale modello di assicurazione Inail – non si può fare a meno di sottolineare la mancanza di un accenno alle diseguaglianze sistemiche che i lavoratori incontrano nella fase di denuncia e di riconoscimento delle malattie professionali... a parità di malattia professionale e di settore lavorativo, si incorra in importanti differenze di probabilità di denuncia e riconoscimento a seconda del territorio dove essa avviene.
- Sul comma 2 del punto 3 (pag. 14) – che discute la necessità di alleggerire gli obblighi formali – la genericità dell’affermazione rischia di mascherare dei peggioramenti sostanziali della normativa. Trincerandosi dietro la classica retorica dello snellimento delle procedure burocratiche, non è chiaro cosa esso possa comportare.
- Sul comma 5 del punto 3 (pag. 15) – che discute la rilevanza penale delle malattie professionali – risulta pericoloso asserire in modo generico quello che è già un dato di fatto della legge, cioè affermare l’esistenza di una responsabilità penale per le cause lavorative inerenti il sorgere della patologia lavoro-correlata. Che senso ha attestare una questione già in essere? Qual è lo scopo? Tale “particolare attenzione” (citazione) posta sull’argomento lascia quantomeno perplessi, sperando che non si tratti dell’ennesimo intento di de-penalizzazione di un argomento che nei fatti risulta già troppo scevro dal perseguire responsabilità reali in modo eticamente compiuto. Si pensi alle “magre” conclusioni dei processi Ethernit o della Pirelli (solo per citare gli ultimi gli ultimi processi sull’amianto), ma anche al divenire delle responsabilità per le patologie inerenti lo stress lavoro-correlato.
Sul punto 4 (pag. 16) – che discute la necessità di un organo centrale di vigilanza – i nodi critici sono molti. Certo la difformità interpretativa dell’applicazione legislativa in tema sanzionatorio e di vigilanza è un dato di fatto, ma esso non va superato con l’accentramento delle funzioni, ma con una maggiore uniformità interpretativa che attiene l’attività legislativa.
Se esiste un problema di complessità organizzativa non gestibile, allora è più razionale e corretto che tali complessità si riducano, entrando ad esempio nel merito delle scelte produttive o nella proliferazione delle tipologie contrattuali e delle relative interferenze. Se esiste un problema di interpretazione allora sarebbe meglio che si facciano funzionare i già esistenti organismi istituzionali previsti dal Testo Unico 81/08 e preposti all'emanazione di linee di indirizzo per l'applicazione omogenea delle norme.
A fronte di tali altri percorsi da intraprendere e di cui nulla è accennato nell’accordo, puntare il dito solo verso la complessità della vigilanza risulta un’azione ipocrita e deleteria... Che il sindacato proponga un organismo di vigilanza unico significa nei fatti ritornare a prima della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, proprio una delle maggiori conquiste del movimento operaio e del sindacato stesso.
- Sul punto 5 (pag. 17) – in merito alle politiche sugli infortuni gravi e mortali – è utile sottolineare l’insufficienza della riflessione e dei richiami in merito ad un tema di grande importanza. Sono del tutto condivisibili le considerazioni dell’accordo che indicano un’insufficienza dell’azione pubblica di prevenzione rispetto al fenomeno della “ripetitività” degli eventi infortunistici. Tuttavia non si può ridurre il problema degli infortuni a tale questione, soprattutto se nel documento si fa riferimento, in modo acritico, ai dati statistici dell’Inail che indicano un calo degli infortuni. Innanzi tutto il dato di riferimento è quello del 2017, ma come sopra riportato il dato del 2018 segna un ritorno all’aumento del fenomeno. Inoltre non si può far riferimento ad un dato di diminuzione degli infortuni senza le pur minime precauzioni scientifiche e facendo primariamente riferimento agli infortuni mortali. È altrettanto importante tener presente il tema della sottostima del fenomeno infortunistico... i sistemi di protezione sono più efficaci del passato, oppure la “mancata denuncia” si sta diffondendo a tutti i rapporti di lavoro (soprattutto in anni di crisi economica)? Bisogna riflettere su quello che avviene fra i sempre più numerosi lavori precari e fra gli immigrati (vedi statistiche Istat) – per non citare la facilità al licenziamento dopo la cancellazione dell’art. 18 – perché la fascia di lavoratori a “rischio ricatto occupazionale” è sempre più alta. Sono ormai molti gli studi scientifici che segnalano come proprio fra i lavoratori precari si innestino fenomeni di sottostima, non solo degli infortuni, ma anche delle malattie professionali e più in generale di mancanza di cura della propria salute.
- Infine è utile dedicare una segnalazione su alcune questioni totalmente mancanti nell’accordo... la questione che riguarda il numero sempre più crescente dei lavoratori non idonei alla prestazione lavorativa. Non solo con l’avanzare dell’età al lavoro, ma anche con l’aumentare dell’intensificazione del lavoro, emerge sempre di più il problema della ricollocazione dei lavoratori non più idonei o con prescrizioni permanenti. La legge prevede una ricollocazione interna in postazioni di lavoro idonee e solo come ultima ratio il licenziamento. Non molto in là nel tempo si rischia di saturare le postazioni disponibili e di rendere inevitabile il licenziamento senza nessun paracadute...
Non per ultimo bisogna anche ricordare come la pratica dell’affidamento in appalto (o ai lavori temporanei e precari) sia usata da alcune imprese come strumento per disimpegnarsi dagli oneri delle attività più gravose. Questa pratica non solo comporta il restringimento immediato delle postazioni lavorative meno disagiate per quelle attività esternalizzate, ma scarica gli oneri su aziende o cooperative che il più delle volte rifuggono dal proprio dovere (per scelta o per necessità poco cambia).

Adesso si passa in rassegna la seconda sezione del testo riguardante la parte normativa dell’accordo.
- La prima osservazione è da rivolgere alla parte che norma l’elezione della RLS (pag. 38 e seguenti). Nel testo dell’accordo si dichiara immediatamente che la regolazione elettiva fa riferimento al Testo Unico sulla Rappresentanza del 10 Gennaio 2014, il quale attribuisce ai soli firmatari dei contratti le prerogative della rappresentanza dei lavoratori. Questo purtroppo trascina anche la RLS, quindi in generale il tema salute e sicurezza, nell’alveo diffuso di critiche (con le relative problematicità materiali) inerenti la questione dell’azione democratica nei luoghi di lavoro...
È bene premettere che a mio parere è corretto far assumere finalmente alla RLS un ruolo decisionale più forte e partecipe negli elementi di contrattazione (in particolare quella della prestazione lavorativa). La partecipazione della RLS all’interno della RSU è comunque – a mio parere – da intendere come azione di un ruolo autonomo da quello agito dalle RSU, elemento che sparisce quando si lega a doppio filo il destino della RLS a quella della RSU come sancito dall’accordo. Innanzitutto si deve intendere il ruolo della RLS come rappresentanza di tutti i lavoratori (come fra l’altro sancita nella logica dello Statuto dei Lavoratori e poi del Testo Unico 81/08) e quindi deve essere data la possibilità di essere eletta anche fuori le sigle sindacali maggiormente rappresentative. Ciò non è solo un elemento di democrazia, ma pone diverse questioni: facilita la possibilità di non censurare figure di competenza in lavoratori che magari non sono iscritti a un determinato sindacato per legittime scelte politiche; tutela la RLS dalle infinite vicissitudini che investono gli impegni che di solito caratterizzano il ruolo di un RSU...
- La seconda critica è da indirizzare al punto 6.1 (pag. 37) in tema di accesso ai luoghi di lavoro. La problematica riguarda il sancire la necessità di un preavviso di 24h per l’accesso nei luoghi di lavoro per la RLS e la RLST. Quali effetti materiali potrebbe comportare tale scelta? Non è peregrino ipotizzare che in caso di infortunio, o di segnalazione di una postazione disagevole da parte del lavoratore, la RLS non possa intervenire tempestivamente. Quale motivazione sottende l’attesa di 24h se non quella di poter far agire l’azienda nel silenzio?... esiste infatti la possibilità di un vero e proprio mascheramento che l’azienda può agire in occasione a lei sconvenienti. È quindi superfluo affermare che tale scelta va in contraddizione con la ratio-legis del Testo Unico 81/08 riguardo il rendere sostanziale le prerogative della RLS nei luoghi di lavoro. Inoltre tale regolazione espone sempre di più la RLS ai ricatti aziendali, limitando non solo la libertà di rappresentanza, ma anche la tutela del singolo lavoratore che agisce in quel ruolo. Per la RLST il suo raggio d’azione risulta ulteriormente vincolato dall’informare anche l’Organismo Paritetico competente, con la conseguenza di diluire l’azione in tempi più lunghi.
- Uno dei punti più sfavorevoli di tutto l’accordo sembra essere quello del punto 6.3 (pag. 45) in tema di accesso ad informazioni e documentazione aziendale. Su questo punto emerge una figura chiaramente depotenziata del ruolo della RLS. Nella sua formulazione il Testo Unico 81/08 sancisce per la RLS il diritto di accesso alla documentazione inerente la valutazione dei rischi (DVR) e più in generale alla totalità delle informazioni riguardante la salute e la sicurezza, come ad esempio la relazione sanitaria del medico competente (solo per citare uno degli altri documenti nevralgici). L’ottemperanza di tali facoltà muove da lontano e precisamente dall’art. 9 dello Statuto dei Lavoratori che recita: “I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica”.
È chiaro che a tale formalità deve seguire un processo tale da rendere sostanziale e materialmente semplice l’accesso a tale fonti. Purtroppo nel tempo sono seguiti dei vincoli che, non ledendo la formalità della legge, ne hanno pian piano disinnescato la fattibilità reale. La storia della modalità di accesso a tali documenti è stata segnata da diverse vicende giudiziarie e legislative che vivevano nelle pieghe dei cavilli della legge (su cui si è posto il lungo contenzioso fra aziende e sindacati). Dapprima con la precedente legge 626/96 si arrivò a sancire la consegna dei documenti (anche se a sua volta rimanevano vaghe le modalità di consegna) alla RLS, tale disposizione è stata traslata anche nella prima versione del Testo Unico 81/08. Tuttavia il legislatore intervenne con il D.Lgs. n. 106/2009 sancendo che alla RLS debba essere negata la consegna e debba invece essere salvaguardata solo la consultazione del DVR in azienda. A fronte di una definitiva chiarezza delle modalità di accesso al DVR, rimanevano comunque non chiare le modalità di accesso alle altre informazioni riguardanti la complessità della gestione della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, con le relative conseguenze in termini di difficoltà. Infelicemente l’accordo “patto per la fabbrica” sancisce la modalità di consultazione aziendale (e non di consegna) per tutta la documentazione, ponendo di fatto una pietra tombale all’azione concreta della RLS.
La differenza fra consultazione e consegna non è solo una questione lessicale, ma attiene alla sostanzialità dell’azione della RLS: la “consegna” permette alla RLS di poter consultarsi con altri tecnici competenti in modo da poter avvantaggiarsi di conoscenze esterne utili alla sua analisi; invece la sola “consultazione” comporta una difficoltà enorme che tale azione diventa ovviamente avvilente e scoraggiante.
Le imprese hanno sempre addotto motivazioni inerenti la salvaguardia del segreto industriale che è nascosto fra le pieghe del DVR, ma tale tutela non può scavalcare quella della difesa della salute... Emerge chiaramente che la questione centrale è quella di limitare l’influenza dei lavoratori su decisioni dirimenti che, in quanto parametri di rischio, si sovrappongono ormai all’organizzazione del lavoro e quindi alla valorizzazione del capitale (carichi, tempi, ritmi, autonomia, controllo, ecc..)...
...È bene ricordare che occuparsi di salute e sicurezza sul lavoro non è mai stata una questione meramente etica. Ormai lo Statuto dei Lavoratori è sotto attacco da anni, anzi si può dire che è stato quasi completamente smantellato, però è malinconico vedere come uno degli ultimi fendenti sembri arrivare proprio dal sindacato.
BOLOGNA 8/2/2019

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